Stabilendo o pareggiando alcuni record, i Los Angeles Clippers sono stati eliminati dai Playoffs ad opera degli Houston Rockets.

Mentre i giocatori del “suo” Real iniziavano i festeggiamenti per la vittoria dell’Eurolega, Felipe Prigioni giocava tanti ed importanti minuti in quel di Houston, al Toyota Center, affossando definitivamente le speranze dei Clipers di arrivare, al settimo tentativo, alla Finale di Conference. Il record dei Californiani è ora di 0-7. E’ stato difficile far rimontare Houston, e di tutti i fallimenti questo è senza dubbio il peggiore per i Clippers, per almeno 3 motivi. Avevano eliminato i Campioni di San Antonio e avevano affrontato con coraggio e concentrazione l’infortunio a Chris Paul, uscendo dalle prime due partite a Houston con il fattore campo rovesciato a loro vantaggio. Avevano l’inerzia della serie, ma non solo: i Rockets erano quasi groggy, bastava spingerli un altro piccolissimo centimetro, invece…Infine, ora arriveranno tempi di riflessioni inevitabili sul futuro di questa squadra, che, così concepita e costruita, proprio non riesce a vincere. Non so se cadranno delle teste o saranno varate rifondazioni, e nemmeno quanto profonde saranno le variazioni: di certo, se qualcosa cambierà, si dovrà iniziare dalle testa, ovvero allenatore e uno tra CP3 e Griffin. Le facce di Paul (vero: era sotto di 16 ma non è un motivo sufficiente) nei momenti bui della gara di ieri erano quelle del solito “ma che ci faccio qui” che riaffiora ad ogni fallimento dei Velieri, e forse sarebbe il caso d lasciarlo migrare verso altri lidi, dal momento che ha ancora molti estimatori pronti ad accoglierlo fornendo contropartite interessantissime in cambio.

Sul fronte texano, invece, l’atmosfera è opposta, e vengono arrotondati, almeno fino al termine di questi Playoffs, gli spigoli di un formazione non costruita in maniera perfetta, e dalla chimica non eccellente. Howard e Harden si sono riscattati al momento giusto (16+15 e 31-7-8 rispettivamente), ma, se La Barba è davvero assurta al rango di Star Assoluta della NBA, il lungo non ha deposto gli atteggiamenti da stellina isterica e ha confermato una certa fragilità a caviglie e ginocchia, rendendo pesantino il lucroso contratto che gli viene pagato dai Rockets. Certo il contemporaneo panchinamento di gara6, quando McHale si è stufato di bizze e proteste e ha vinto la gara di rimonta con la panchina, ha ridistribuito i pesi all’interno del locker, ora più equilibrati e meno sfavorevoli alla guida del coach. Anche le prestazioni di seconde linee come Prigioni, o di giocatori in ascesa ma non ancora del tutto esplosi come T-Jones, contribuiscono a rendere più ampia la gamma delle soluzioni offensive di Houston (che resta in ogni caso una formazione difesa-dipendente) e potrebbero avere l’effetto di unire verso un bersaglio comune (il Titolo) tutto lo spogliatoio: coach, stelle, resto dei giocatori.

La NBA ha visto arrivare, dunque, alle due Finali di Conference le teste di serie delle rispettive parti di tabellone. Siamo attesi da Hawks-Cavs e Warriors-Rockets: Le due squadre della Eastern COnference non hanno mai vinto un Anello, quelle della Western Conference sì, ma per i Rockets si risale al 1995, mentre per Golden State addirittura a 40 stagioni or sono, col Titolo vinto nel 1975…talmente tanto tempo fa che i figli del giocatore-franchigia di allora, Rick Barry, hanno fatto in tempo a crescere, giocare da pro anche nella NBA (Jon, Brent e Drew, mentre Scooter non ha mai giocato nell’Associazione ma ha vinto un Titolo NCAA con Kansas) e ritirarsi: siamo sicuri che nessuno dei Barry sarà assente dalle poltrone della Oracle Arena. In ogni caso, come si evince dagli albi d’oro delle franchigie, sarà una stagione di aria nuova al vertice della NBA, e di certo nè i tifosi nè il Commissioner si lamenteranno di questo.