Podio del Power Ranking, come giusto che sia a 4 giorni dall’inizio della stagione NBA.

HOUSTON ROCKETS. Non so come / se / quando Harden e Westbrook arriveranno a una simbiosi positiva, ma credo accadrà. Altra eventualità che ritengo possibile: potrebbe non essere Mike D’Antoni a realizzarla. I Rockets si reggono tutti sull’esito della strada intrapresa dal GM Morey: mettere insieme due talenti pazzeschi ed entrambi a loro agio nel fare tutto in proprio e portarli (obbligarli) a coesistere efficacemente. Il secondo livello di HOU è quello costituito da Clint Capela, Eric Gordon e PJ Tucker. Il lungo svizzero è il terzo angolo: serve un giocatore sottocanestro per raccogliere i frutti dei raddoppi sulle due SuperStelle. La guardia uscita da Indiana U. è l’equilibratore: soprattutto partendo dal pino rappezzerà le giornate storte della Barba o di Russ. PJ è l’uomo del lavoraccio: rimbalzi, difesa, gomiti e qualche tripla da piazzato. Dopo questi 5 giocatori c’è il baratro: il terzo livello a Houston non esiste, perché gli stipendi da pagare al quintetto (dai quasi 40 attuali di Harden e Westbrook ai quasi 9 di Tucker) sfiorano i 110 MM$$ sui 150 totali del monte stipendi texano. Significa che gli altri 13 cui la franchigia deve soldi mediamente guadagnano poco più di 3 MM annui. Ecco perché a Houston arriviamo direttamente al quarto o quinto livello, ed ecco il principale difetto dei Rockets: sono praticamente senza panchina. Gerald Green e Austin Rivers provvedono a qualche impulso tra le guardie, così come sarà possibile stillare qualcosa da Sefolosha e McLemore, ma i lunghi piangono: troviamo il vecchio Nene Hilario, il vecchio Tyson Chandler e la promessa tedesca (finora non realizzata) Hartenstein. Con 5 giocatori veri e una delle panchine peggiori della NBA il terzo posto è il massimo che posso tributare ai Rockets: vederli alle Finals sarebbe un miracolo.

 

 

TORONTO RAPTORS. Non ci sono molti motivi per esser contenti del terzo posto in un Power Ranking quando le Finals paiono essere blindate da Bucks e Sixers. I Raptors hanno perso la Magia di Kawhi, rimangono un buon team ma senza l’ex San Diego State non hanno possibilità di ripetere il miracolo. Il Titolo è stato meritato, ma va letto anche alla luce delle proporzioni, ora: quando ti ricapita di passare gara 7 coi Sixers con un tiro dai mille rimbalzi sul ferro e di affrontare le Finals vs GS priva di Durant e poi di Klay? Molti negli USA (per es. John Schumann) sostengono che il roster di TOR sia profondissimo. Io non sono d’accordo. Anzi, senza l’apporto in ogni stat da parte di Leonard i Raptors sono un po’ a corto di talento in sg e di cambi tra i lunghi. Lowry e VanVleet in pg non si discutono, così come sono sostanzialmente positivi gli arrivi di Stanley Johnson e Rondae Hollis Jefferson che daranno il cambio a Paskal Siakam in ala. Gasol, Ibaka e OG Anunoby si divideranno il pitturato, ma forse con eccesso di puntigliosità ritengo siano pochi 3 giocatori per reggere una stagione intera. In sg Norman Powell, McCaw, e Cameron Payne (che non ha speranza di troppi minuti da pg) fanno decisamente piangere il piatto, rappresentando soprattutto nella metà campo offensiva il vero punto debole dei Raptors. Nove uomini di rendimento più o meno garantito non sono tanti per 82 gare più i Playoffs. La partenza di Leonard ha alleggerito il salary cap: la squadra è tra le prime 8 della NBA, il monte stipendi solo il 14mo. Però, se alla trade dead-line i Raptors arrivassero in brutta posizione di classifica, tornerebbe in mente a molti che Gasol e Ibaka sono in scadenza..