KOBE BRYANT lascia il basket NBA. Nel momento stesso in cui la sua lettera di addio al Gioco inizia a fare il giro del mondo, inizia la guerra dei fans e degli haters, iniziano le classifiche che lo esigono nel novero dei Migliori 10 di Sempre e quelle che lo espellono da quel novero in malo modo. Per togliere di mezzo ogni dubbio, dirò che una classifica di sempresempre è irrazionale quanto illogica, dal momento che il Gioco si compone evidentemente di due parti: prima e dopo il 1980, prima e dopo Larry and Magic. Quindi, KOBE è di sicuro nei primi 10 dal 1980 in poi, e nei primi 3 tenendo conto degli anni da quando entrò nella NBA ad oggi. E’ nei primi 3 anche per maniacalità della dedizione a The Game, insieme a Larry e MJ.
Il talento, ok. Ma quello che rende quei campioni QUEI CAMPIONI è il loro livello di dedizione. Negli ultimi 35 anni di sicuro sono nati altri 3 MJ, 4 Bird, 5 Magic e 6 KOBE, ma ne è arrivato al traguardo uno solo per ognuno, e a far selezione è stata, più della fortuna, della condizione sociale, di qualsivoglia ostacolo, la maniacale dedizione. Quindi attenzione haters e detrattori: la superiorità di certe figure sportive sta nella mente, nella psiche, a volte nelle ferite dell’anima.
KOBE non tollerava perdere e non tollerava non avere il controllo. Puoi chiamarlo egoismo, se vuoi. E’ anche una assoluta presa di responsabilità. La voglio IO. C’è un video in cui Metta ironizza sulla sua vita accanto a KOBE, dicendo cose come: “Take a coffee… pass to KOBE, go to bed … pass to KOBE, have lunch…. pass to KOBE, receive the ball…pass to KOBE”. Di certo toglieva e toglie tuttora spazio ai compagni, ma li faceva vincere. E sì, probabilmente Shaq aveva le carte in regola per vincere anche da solo gli Anelli che ha vinto insieme al Giovane KOBE. Probabilmente. Perché dovreste immaginare Bryant nei Sacramento Kings o in qualunque altra squadra appena più dotata, per esempio, dei Sixers che non seppero dare Anelli ad Iverson: immaginatela, mettetela contro quei Lakers, e poi vediamo.
In un altro video bulla letteralmente il povero Nick Young, durante un allenamento, e Swaggy-P se ne sta fondamentalmente zitto a prendersi tutto quel che KOBE gli combina.cose piccole, ma significative. Rapporto di odio-amore quello tra i due, perché Young è leggero e ridanciano, talentuoso ma pacchiano, volenteroso ma concentrato sì e no come un pettirosso…tutto quel che KOBE non ha mai voluto essere, e in un certo senso mai potuto essere. Da bambino aveva un sacco di zii, per esempio tutti i compagni avuti nel corso del tempo da suo padre Joe durante le magiche stagioni in Italia e poi anche tutti gli spettatori dei palazzetti che vedevano quel cosino di 5 anni imbucarla all’impazzata. Nel ritorno negli USA, invece, KOBE trovò più che altro solitudine. Introverso di suo, non aiutato dal suo inglese pulito e non da “fratello”, e nemmeno dalla spontaneità imparata in Italia coi compagni di scuola, ma che dall’altra parte dell’Atlantico, in una Philadelphia in pieno periodo buio, lo faceva sembrare un tipo naif e non lo rendeva accettato se non quando….
Se non quando aveva in mano un pallone da basket. “My best friend, those years, and then”. E piano piano, dalla solitudine e dalla tendenza naturale alla perfezione, nell’imitazione dei gesti di Jordan, nasceva la maniacale dedizione di KOBE a quell’amico, e la sua diversità rispetto a quelli che gli erano compagni aumentava invece che diminuire. Anche Larry Bird fu un ragazzo dai pochi amici, portato ad isolarsi da naturale timidezza e da problemi famigliari che gli facevano preferire la compagnia del… tun… tun… del palleggio e dello swish della retina.
Non vi annoierò con le stats e i record di Bryant, potete trovarli ovunque. Non nasconderò la parte oscura, con quell’accusa di stupro mai verificata perché sepolta, come capita spesso agli sportivi ricchi in particolare se neri, dai dollari versati alla partner occasionale che li denuncia. Non negherò che gran parte del gramo destino degli ultimi due anni è stato costruito, oltre che dagli infortuni, dal faraonico e stupido ultimo suo contratto, che ha oberato così tanto il salary cap dei Lakers da spingerli a volte, per cercare di vincere, verso tentativi clamorosamente sballati, come l’ingaggio di Howard, o del “ciò che restava di Steve Nash”. Però, così come ho avuto la fortuna di scoprire, in questa vita da innamorato del Basket, tutta la parabola sportiva di Larry, Magic, Jordan… allo stesso modo sono proprio contento e grato di aver avuto la possibilità di vedere questi 20 anni di KOBE BRYANT, ricordando quanto l’ho detestato quando batteva i Celtics e quanto non riuscivo, tuttavia, ad odiarlo perché grande lo è stato sul serio. Grande e complicato, forse il più complicato di tutti i grandi dell’era moderna, e onestamente, anche se so che sarebbe bello, spero non venga mai a giocare in Italia e che si ritiri davvero dal Gioco giocato.