Per SmallBall non si intende semplicemente un gioco basato su quintetti bassi, perché il quintetto basso è una conseguenza e non il punto di partenza. Muovendo da questo assunto, definiremo che lo smallball intende creare una serie di mis-matches intesi a mettere le difese in difficoltà sul perimetro, per sfruttare il tiro da 3 o, meno di frequente, per liberare spazio sottocanestro. SmallBall è un gioco differente da quello predicato dallo “stretch four”, ossia l’ala grande dotata di tiro da 3 punti; ne è per certi versi l’evoluzione e l’estremizzazione, in quanto lo “stretch four” fisicamente rimane un’ala forte, mentre nello smallball si assiste ad uno scivolamento in avanti dei ruoli. Si gioca con una Small Forward in Power Forward. E con 3 altri esterni. La chiave è avere in roster una sf che possa sostenere fisicamente il gioco da “numero 4”, in particolare in difesa. La strada verso lo smallball è stata aperta essenzialmente dalle evoluzioni del gioco di LeBron James a partire dalla stagione del primo titolo con i Miami Heat. LBJ è il prototipo della sf in grado di giocare pf: uno dei soprannomi che lo contraddistinguono, L’Androide, dice tutto sulle sue capacità fisiche. Dato il successo di Golden State lo scorso anno, e dei Miami Heat 3 anni fa, lo smallball ha vinto 2 degli ultimi 3 titoli, e si sta comportando bene anche quest’anno; tuttavia, e non solo per la difficoltà nel reperire interpreti di livello, siamo ben lontani dal trovarlo dilagante tra le 30 franchigie. Le squadre che giocano smallball in assoluta purezza sono i GS Warriors, gli Indiana Pacers (Paul George stabilmente in quintetto da 4) e i Phoenix Suns. I Cavs stessi partono con un centro+ Kevin Love+LBJ da 3, e si portano verso lo smallball nelle gare importantissime, nelle giornate di scarsa vena di Love in cui LBJ è costretto a fare gli straordinari, o nei finali tirati.
Altre squadre hanno costanti fasi di smallball, le nomineremo indicandone i giocatori chiave: Hornets (Batum+Marvin Williams), Knicks (Melo+Porzingis e la loro perfetta ed inattesa sintonia), OKC (quando KD gioca da 4, ma anche loro, come i Cavs, partono con KD+Ibaka+Adams), Denver (il Gallo da 4+Faried/Lauvergne da 5+Barton/Chandler, se fosse sano, da 3); Milwaukee può rientrare da lontano nello smallball (ma è più simile a quello che una volta era “4 fuori”), e la stessa cosa si può dire per Orlando (Harris+Gordon) ma il loro gioco, grazie a Frye, è molto più aderente al concetto di “stretch Four”, così come quello di Dallas (Dirkone). Chi lo potrebbe fare, ma di fatto non lo pratica, è Memphis, che avrebbe in Jeff Green un discreto interprete: coach Joerger, però è tanto immenso quanto classico, e adotta una versione di gioco assai aderente ai più filologici dettami del pick and roll, con qualche concessione a quello che tutti ci siamo abituati a chiamare “solco tracciato dai San Antonio Spurs”, e che in inglese è sintetizzato (molto sintetizzato) in “share the ball”.
Squadre come Atlanta, Portland, Minnesota, indubbiamente abbastanza piccole, non praticano smallball secondo i principi individuati sopra: Atlanta è “solco Spurs”, mentre, anche per deficit di roster, Minnie e Portland applicano spesso un “4 piccoli”. Insomma, questo vincente (alla prova dei fatti) smallball non è dilagato tra le franchigie, soprattutto perché il mondo della NBA, con buona pace di tutti i perenni detrattori, è sempre il motore di questo sport, il laboratorio principale e sempre in movimento. Su queste basi, già si stanno aprendo almeno due tendenze nuove, o meglio: due tendenze evolutive che, come sempre, oltre ad elementi del tutto originali, rinnovano e ri-applicano elementi del passato. La prima, quasi fisiologico rovescio della medaglia smallball, è un ritorno al “go big”. Due esempi su tutti: Detroit Pistons e Spurs. I Pistons, alla fine e secondo quanto sperato, si sono ritrovati in casa, nella persona di Bimbone Drummond, il miglior centro della NBA, e così hanno deciso di usare p’n’roll, per esaltare le qualità della loro pg Reggie Jackson e dei loro innumerevoli “four” in grado di sparare da 3, ma hanno anche rispolverato con notevole continuità il caro vecchio, e commovente, post basso; gli Spurs, senza tradire se stessi, hanno aggiunto LaMarcus Aldridge a Timoteo: al di là di qualità atletiche (leggi: salto) non inarrivabili, i due omoni costituiscono un ombrello non facilmente perforabile, e permettono agli esterni di mettere in atto quella che Pop ha scelto come tattica anti-Warriors in funzione dell’Anello, ossia chiudere l‘arco dei 3 punti. Gli Spurs sono la miglior difesa contro i triplisti di tutta la NBA.
L’altra tendenza evolutiva è individuata da 2 squadre e 2 giovani e già rispettatissimi allenatori: Boston Celtics e Utah Jazz, Brad Stevens e Todd Snyder. Il loro gioco è la cosa davvero originale della NBA, in un certo senso evoluzione del “solco Spurs”. Si tratta di un sistema estremamente organizzato ma lasciato, allo stesso tempo, alle letture dei giocatori in campo. Osservando le due formazioni si nota che ancora di più è superato il concetto di “schema”, e viene invece messo in atto quello di “possibilità”: in ogni momento dell’azione offensiva 2 o 3 opzioni sono disponibili, per esempio, per l’uomo che ha la palla; può premiare un back door, o servire un uomo che esce in ala dopo un blocco basso, può attendere un istante e vedere se il tagliante appena nominato non termina la sua corsa e si muove ancora stavolta verso canestro, può adeguarsi ad un pick and roll, e così via. Se vi piace l’esempio, potremmo dire che non esiste lo schema, ma ogni possesso viene giocato secondo movimenti e frazioni di quello che una volta era “il gioco chiamato”. Questo tipo di sistema è stato raffinato in maniera davvero entusiasmante dai due coaches, che hanno a loro disposizione rosters abbastanza differenti, ma ottengono risultati assai simili, proprio perché nessun giocatore è “snaturato”, nè “votato” a fare qualcosa, ma è chiamato a leggere di continuo gara e difesa, e ad adeguare di secondo in secondo l’equazione tra fase della partita-proprie qualità-necessità sul campo. Questa lettura si raffina fino a diventare arma anche difensiva (osservare la difesa dei Celtics per capire che intendo), o permette miglioramenti singoli insperati (guardare la stagioncina che, in termini di responsabilità ancora più che numeri, sta giocando Favors).