Chi è Josh Mayo? Semplicemente un giocatore di basket americano arrivato in Francia nel 2009. Un po’ di gavetta in Lettonia ed Ucraina prima di approdare in Italia, nel 2013, a Montegranaro. Con i marchigiani, però, il rapporto dura solo fino al successivo febbraio complice anche la crisi in cui versava il club.
Tappa successiva Roma: voluto fortemente da patron Toti, Josh fu scelto dalla coppia Alberani – Dalmonte per sostituire l’infortunato Taylor. Niente male le sue statistiche al primo anno in terra nostrana: 13 punti di media, conditi con 3 assist, e la semifinale scudetto all’attivo.
Dopo una piccola parentesi in Turchia, ritorna nel Belpaese, stavolta sponda Scafati. Josh Mayo, infatti, rappresenta il fiore all’occhiello del presidente Longobardi che ha voluto affidare a coach Perdichizzi – sì, lui lo sceriffo esperto in promozioni – un roster di tutto rispetto candidato a recitare un ruolo da protagonista nell’attuale campionato di A2. E tuttora le premesse sono state ampiamente rispettate: la squadra campana vola in campionato guidata proprio dal play americano classe 1987, che sta strabiliando tutti con i suoi punti ed i suoi assist.
Partiamo dalla esperienze italiane: ha militato con Montegranaro e Roma, entrambe nella massima serie. Quanto è stata dura la scelta di approdare a Scafati scendendo di categoria?
«Non è stato poi così tanto difficile perché Scafati ha una grande organizzazione. La società ha costruito una buona squadra che sta facendo molto bene. In ogni caso, sono felice di giocare a basket, amo troppo questo gioco!».
L’inizio della stagione è sotto gli occhi di tutti, tante vittorie e pochi passi falsi. Crede ci siano ancora margini di miglioramento?
«Sicuramente, c’è tanto ancora da fare. Possiamo e dobbiamo lavorare ogni giorno. Nel basket, come in ogni cosa, se ti adagi vai incontro alla sconfitta».
Scafati manca dalla massima serie dal 2008. Quest’anno Perdichizzi ha a disposizione un play delle sue qualità e un pivot come Simmons. Può veramente essere l’anno della promozione?
«Questo è il nostro obiettivo finale ma vogliamo giocare una partita alla volta e farlo sempre in buona forma. Solo così faremo una grande stagione».
Proprio sotto questo aspetto, che pressioni ci sono nell’ambiente scafatese?
«Non avvertiamo pressioni dal pubblico ma c’è solo un caloroso supporto. I tifosi sono fantastici e sono convinto che, finché combatteremo in ogni gara, loro ci sosterranno sempre».
Oltre a distribuire assist, in alcune gare ha anche sfiorato i 30 punti. Si sente il leader di Scafati?
«Per il ruolo che rivesto ho sicuramente tante responsabilità ma credo che anche il nostro capitano, Patrik Baldassarre, sia un buon leader in campo e fuori».
Ha girato perlopiù campionati dell’Est europeo come Turchia, Lettonia ed Ucraina. Quanto è differente l’attenzione verso il basket di questi paesi rispetto all’Italia?
«In ogni federazione in cui ho giocato ho riscontrato tanta passione e rispetto verso la pallacanestro. I tifosi sono strepitosi e devo dire che sotto quest’aspetto gli italiani mi hanno sorpreso di più. Quando sei sul parquet avverti realmente la loro passione».
È arrivato in Italia a 26 anni, che impatto ha avuto con il basket e la vita dello Stivale?
«L’Italia è stata una vera sfida per me, perché so che è uno dei migliori campionati in Europa. Mi piace molto lo stile di vita italiano e per me resta il miglior paese in cui abbia vissuto».
Consiglierebbe ad un suo connazionale di raggiungerla?
«Gli italiani sono tra le migliori persone al mondo. Venire qui è stata una vera benedizione per me e sono contento di aver fatto questa scelta. Per questo, lo raccomanderei ad un mio connazionale ma gli consiglierei sempre di fare una ricerca sullo stile di vita della città in cui vivrà. Per un giocatore americano, infatti, questo è un aspetto fondamentale oltre che quello finanziario della società».
A quale giocatore si è ispirato o si ispira tuttora?
«Jordan, Kobe, Lebron, Chris Paul. Prendo un pezzetto da ognuno di questi: dalla competitività al lavorare con impegno ogni giorno».
L’anno scorso Golden State si è aggiudicato il titolo. Tuttora sono primi nel proprio girone. Chi, secondo lei, quest’anno può togliere lo scettro a Stephen Curry?
«Penso che anche quest’anno Golden State sia tra i favoriti. A seguire ci metto gli Spurs».
Se non fosse stato un cestista, cos’altro le sarebbe piaciuto fare?
«Mi piace molto lo sviluppo delle abilità, dalla forza al condizionamento fisico. Per cui, mi sarebbe piaciuto molto diventare un personal trainer».
Quindi tra dieci anni si vede in queste vesti?
«Si, può darsi. Mi dedicherò comunque alla mia famiglia, curerò i miei affari, frequenterò di più la mia chiesa e continuerò ad amare come Gesù Cristo».
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