Mi piace ricordare oggi, nell’anniversario della nascita avvenuta nel 1963, anzichè nel ricordo della sua morte, uno dei grandi campioni perduti dal basket: Len Bias.
Nella forma più generale la sua storia è nota a quasi tutti. Occorre uno sguardo un po’ più ravvicinato, però, per accorgersi di che tipo di perdita, non solo sportiva, si sia trattato.
Le dispute su chi sia il miglior giocatore di basket di ogni tempo sono frequenti, e non voglio entrare qui nel merito. Osservo però che, mentre molti campioni sono protagonisti di un serrato dualismo (Russell-Chamberlain, Bird-Magic, KD-LeBron), Michael Jordan ha molti avversari ma nessun vero antagonista. Uno dei motivi della solitudine di His Airness è nel fatto che il suo antagonista ha esaurito il suo viaggio terreno in un dormitorio di Maryland U.
I paragoni e i paralleli tra Bias e Jordan erano frequentissimi negli anni delle loro sfide al college, ed un famoso giornalista rilevava che, più di tutte, una cosa li accomunava: “entrambi giocavano con una loro particolare Furia, devastante, quasi rabbiosa, ma rabbia non era, perché è distruttiva, mentre in loro non c’era nulla di distruttivo”.
Nulla di distruttivo, ma tanto di creativo. Pur provenendo dal piccolo cerchio del basket, la morte di Len Bias non è stata un fatto senza importanza per il mondo. Di tante cose che capitano e di tanti campioni che si succedono nello sport, poche e pochi restano, imprimendo in qualche modo il loro segno nella società. Mi vengono in mente l’intera vita di umana eccellenza di Mohammed Alì, le magliette AIR che a Pechino arrivarono ben prima del disgelo USA-Cina, o la famosa vittoria al Tour de France di Gino Bartali che contribuì ad addolcire una fase in cui in Italia si parlava apertamente di guerra civile.
La scomparsa di Bias è stata rivisitata da film, saggi, documentari: in molti di essi si conclude che una certa generazione negli USA fu colpita dal fatto non troppo diversamente da come una generazione precedente fu colpita dall’assassinio di J. F. Kennedy. Non è retorica.
La sua morte fu il risultato di un momento della storia del mondo: in quel momento il mondo intero consumava cocaina a ritmi che si ripresentarono solo a metà degli anni 2000; la catena produzione-trasporto-vendita-consumo non era diversa e meno capillare di quella delle merendine, e al termine di una di quelle miriadi di capillari morì Bias, non un drogato ma un consumatore occasionale, un “social consumer” tra milioni di altri. La sua fine scioccò gli USA e portò un decisivo e finale contributo al cambiamento in senso restrittivo delle leggi contro il traffico, lo spaccio e il consumo di droga a livello Federale. Non deve servire da scusa o giustificazione, semplicemente questo è lo sguardo che si deve avere se si vuole comprendere: tale impatto ebbe sulle persone, sui media e sulla politica. Dopo quei cambiamenti, gli USA portarono soldati in Sud America come “appoggio e consulenza” ai governi locali, ad es. quello colombiano: l’esercito, non più “solo” la CIA, non più “solo” raids clandestini di aerei ad incendiare le coltivazioni.
E poi. Poi c’è il campo. Viene spesso ricordata una partita di Maryland corsara a Chapel Hill contro North Carolina nel 1984: in quella occasione 4/5 del quintetto dei TarHeels erano: Kenny Smith – MJ – Sam Perkins – Brad Daugherty, mentre a Maryland oltre a Bias giocavano Adrian Branch che vinse un Anello coi Lakers nel 1987, e Ben Coleman che ebbe una solida carriera NBA e giocò a due riprese in Italia. In quelle partite, in quei tre/quattro anni di ACC, si sfidarono e/o giocarono insieme: il più grande di sempre + l’uomo che nella seconda metà della sua carriera pro avrebbe creato la prassi del lungo che sul pick si apre per tirare da 3 + il centro che, in maniera non continua anche per via di gravissimi infortuni, diede, insieme a The Dream e all’ Ammiraglio, un nuovo e moderno significato a cosa significasse muovere i piedi e passare la palla per un centro + Len Bias, per molti, quasi tutti, il secondo Prescelto insieme a MJ.
Pur mantenendo per terra i nostri piedi di innamorati del basket chiediamoci: se Einstein fosse morto prima del 1921? Se Rodin fosse scomparso prima di terminare I Borghesi di Calais? Analizzando i molti video facilmente verificabili si vede da che altezza parta il jumper, e quanta morbidezza abbia dentro. Si vede la mobilità. Si vedono il trattamento di palla, la cattiveria a rimbalzo. Veniva dato 6e8, ma si sapeva che stava continuando a crescere. Scelto dai Boston Celtics con il numero 2 assoluto, Larry Bird si disse pronto ed ansioso di frequentare, lui, il rookie camp pur di giocare da subito insieme a Len.
Tutto questo non è mai stato: a causa di quella che vorremmo chiamare una sciocchezza per sottolinearne l’ aspetto di scelta personale sbagliata e nefasta, ed è la verità; una sciocchezza che non va tuttavia sottovalutata e limitata, perché dal mondo del basket si è ripercossa al mondo intero, alla società: molti sono stati arrestati e puniti dalle leggi che la morte assurda di Bias stimolò, e forse qualcuno ne è stato salvato.
Rodin è morto prima: al piccolo basket e al grande mondo manca qualcosa.
Quindi, la prossima volta che vedrete Len Bias messo in mezzo a qualche “jail-players top ten”, come è capitato, tra la pistola in spogliatoio di Gilbert Arenas e i cani da combattimento di Qyntel Woods, o quando la sua morte viene minimizzata e banalizzata, ricordiamo che cosa sia stata in realtà. Potremmo aiutarci con le parole di sua madre alla celebrazione svolta sul parquet di Maryland U. qualche settimana dopo il decesso del figlio, lei stessa sorpresa da una partecipazione che andava dal meno accanito dei tifosi al Presidente Reagan: “…I did not know who this young man was, in terms of how prominent he was…”.