Ci sono tante cose inesatte sul modo in cui la questione viene trattata. In 12 comodi punti, cerco di rendere spazio alla realtà.

1 – INVESTIGAZIONE. Dal lemma Oxford Dictionnary. Investigation: formal and sistematic examination or research. Quindi una investigazione è una cosa ufficiale e sistematica, a scopo di esame o ricerca. La NBA, insomma, non sta aprendo processi. Non si capisce perché dovrebbe farlo il mondo del basket. In particolare i commentatori europei, in particolare quelli che lo fanno senza riuscire a trattenere il tifo-contro che anima i loro interventi. Nello statuto della Associazione, inoltre, è previsto che essa sorvegli sul gioco, sui suoi sviluppi: la NBA sta esercitando una delle proprie facoltà. Un simile principio e la funzione che ne discende sono atte a tutelare il Gioco, e il concetto di “ricerca” (con i suoi esiti) esclude l’ignoranza, ovvero la cecità volontaria di fronte a determinati temi come, in questo caso, il tiro da 3 punti.

2 – THE THREES. Larry Bird ha preso una media di 133 tiri da 3 a stagione; il triplista iconico dei primi 15 o 20 anni da quando il tiro da 3 fu introdotto (1979) è Dale Ellis, la cui media stagionale è di 251 triple. Per fare un esempio del volume odierno, posso citare 299: le triple dei 3 confronti 24/25 Celtics-Bulls, squadre che detengono il nuovo record (106) di tiri da 3 in singola gara. In 3 gare si tira più di quello che faceva Ellis in una stagione, più di quello che Bird impiegava due anni per tirare. I volumi sono aumentati in misura netta a partire dalla stagione 2010/11: la seconda di Steph nella NBA, la prima in cui ebbe contatto con Mark Jackson (ebbene sì: Steve Kerr c’entra ma arriva dopo). Il semplice fatto di parlare di 1979, Ellis, della evoluzione da Bird a Steph dovrebbe fare capire che il tiro da 3 E’ BASKET, esattamente come il tagliafuori o la zona-press. Invece viene ancora considerato e trattato come un infiltrato di recente apparizione, un ragazzino maleducato, un po’ deficiente, capace di rovinare le feste meglio organizzate. Quando, se si volesse estremizzare, si dovrebbe riconoscere che è vero l’esatto contrario.

3 – COME, NON QUANTO. I giocatori nella era delle triple sono globalmente migliorati. La padronanza dei fondamentali si è estesa per qualità e quantità. Ha imparato a tirare da 3 anche Alex Len, vivaddio. I Golden State Warriors di Steve Kerr o i Celtics di Joe Mazzulla giocano pallacanestro di qualità superiore, con grande movimento dei giocatori e circolazione della palla. Ci sono cattivi interpreti di questo sistema, ma non è colpevole il sistema. 50 triple prese giocando in maniera esemplare su 90 tiri totali sono basket di élite; 25 prese giocando schifosamente su 80 tiri totali sono cattivo basket.

4 – PRETESTO PER LA CRISI. La faccenda del tiro da 3, e la investigazione della NBA, sono state usate come “prova” del fatto che le triple stanno rovinando il basket, il prodotto. Si tratta di una posizione che travalica il ridicolo, ma è cavalcata anche da commentatori e allenatori (ex, più che altro) di grande prestigio, che trovano un motivo per rilanciare crociate di altro tenore (dalla difesa ai vivai al protezionismo a “abbasso i guadagni dateci la purezza”). Tutto il blabla ha oscurato il vero nocciolo della questione: quanto stanno calando gli ascolti e che ascolti stanno calando. Il dato da assumere è che, a seconda delle singole serate, il calo per le gare trasmesse A LIVELLO NAZIONALE varia da 9% a 25%. Non accade lo stesso a livello statale, cioè per le gare trasmesse dai vari canali regionali di NBC Sports Regional Network (quelle con il White Mamba a fare le telecronache dei Celitcs, Wilkins quelle degli Hawks eccecc). Nemmeno, citando i dati sul calo, si tiene sempre conto dello streaming, da NBA LeaguePass in giù. Inoltre viene spesso paragonato l’imparagonabile: documentandomi per questo pezzo sono incappato in un articolo che citava 1.5 milioni di spettatori lo scorso anno per un MIL-BOS novembrino: certificava che per una gara del medesimo giorno quest’anno si erano avuti 1.22 milioni, con un calo del 22%. Ma la gara era tra MIL e Chicago! Appunto: paragonare l’imparagonabile.

5 – QUANTO VALE. I Knicks valgono quasi il quadruplo dei Grizzlies, che sono la franchigia meno valuable della NBA. Ma mediamente ogni franchigia vale 4.6 Billions, in euro miliardi 4.42 (al cambio di 1.04). Il valore include le strutture legate al business sportivo di proprietà della franchigia (o del suo owner) e il valore di tutti gli affari “team related”, dal merchandising al food eccecc. Paragonata al 2020, questa cifra potrebbe anche farvi esclamare in modo maleducato nei confronti di chi predica la crisi della NBA; nel 2020 il valore medio di una franchigia era 2.7 B$. I Celtics furono acquistati nel 2002 per meno di 500 MM$$; il principale azionista, Vic Grousbeck, ha annunciato subito dopo l’Anello 18 che la franchigia era in vendita: la base d’asta è 5.6 BB$$. Il valore dei Celtics è 12 volte quello di 22 anni fa.

6 – QUALE CRISI. Una lega che ha appena stipulato contratti per 76 miliardi non può essere in crisi. Una smentita ulteriore arriva dai personaggi che vogliono essere nella / legarsi alla NBA. Ultimo in ordine di tempo Mr. Amazon, Jeff Bezos. Un calo di ascolti alle dirette nazionali è motivato da molteplici fattori. Uno di essi è che la NBA ha operato in modo che il calo arrivasse. Nel nuovo millennio è stata la lega sportiva più attenta alle novità tecnologiche nel campo dei media e dei social, la più attenta alla relazione tra media, social e fan-base. Nella NBAapp è possibile vedere le gare scomposte e ricomposte in una decina di reel salienti: nello spazio di 3 (app) o 9 (YouTubeTV Full Recap) minuti è possibile vedere l’essenziale di una gara; vi posso garantire che non solo i fans meno attenti li guardano: anche io uso quelle risorse per risparmiare tempo nelle notti da 12 gare, riuscendo a guardare più serenamente e più analiticamente le 2 o 3 partite che eleggo. Ce lo sentiamo dire in ogni piega del “moderno”: la velocità dell’usufruire è importante quanto il contenuto. Adam Silver ha sguinzagliato i suoi cervelli e il suo marketing, e il traffico di contatti che passa per la app e gli altri media e social è uno dei motivi del calo di ascolti, ma anche uno dei motivi dell’aumento di interesse e denaro attorno alla Associazione.

7 – GLI USA OGGI. Per esaminare un fenomeno bisogna anche considerare il popolo presso cui accade. In rapporto alla NBA significa domandarsi che tipo di nazione costituisce il bacino di utenza oggi rispetto a 10 ma anche solo a 5 anni fa (pre-Covid). La NBA è sempre stata in testa alle battaglie per i diritti civili, la prima lega a ergersi in difesa e sostegno del movimento BLM: Stephon Jackson e Karl-Anthony Towns guidarono manifestazioni a Minneapolis; il primo comunicato dello sciopero in the Bubble fu letto dal capitano dei Bucks, George Hill, accanto al quale, iconicamente, stava il compagno Sterling Brown, stesso nome e cognome di uno dei più celebri attivisti Black Panthers. Negli USA di oggi è probabile che questo venga fatto scontare da parte di chi è su posizioni meno illuminate. Gli USA che eleggono Trump sono meno NBA-Friendly di quelli che votarono Obama. L’americano arrabbiato e reazionario medio evita le dirette nazionali ma guarda la trasmissione a livello statale, per ribadire un atavico contrasto tra governo Fed e governo degli Stati.

8 – TUTTAVIA. Perdonino i sostenitori della crisi se cominciamo a dubitare della reale gravità di essa. O della sua esistenza. Tuttavia la NBA sta certo domandandosi come migliorare la situazione attuale. Difficilmente si avranno interventi diretti sul tiro da 3 pti. Il tiro da 4 o l’arretramento della riga amplierebbero la distanza dei long-two, i tiri più disusati al momento, e quindi i metri quadri di campo non utilizzati. Si tratterebbe di una cura destinata a peggiorare i termini delle criticità delle triple. Ancora peggiore l’istituzione del limite di triple sganciabili (divise per quarto, half o intera gara). Uno degli aspetti su cui continuare ad agire è aumentare l’interesse della RS tra novembre e dicembre e poi tra metà gennaio e metà febbraio (quando scade la trade dead-line e arriva lo ASG). La NBA Cup ci guida quasi a Natale, serve qualcosa tra la Befana e lo AllStar Weekend. Dare interesse alla RS non può prescindere dalla organizzazione del calendario e dal solenne comandamento di non aumentare le 82 gare; al limite, ridurle un po’.

9 – WESTERN e EASTERN. Si parla spesso di annullamento della divisione in Conference per i playoffs (in post-season i migliori record 1-16 senza barriere territoriali) ma, soprattutto in Italia, si fa grande confusione equiparando EC/WC a NL/AL del baseball o AFC/NFC del football. La NBA, dei 3 grandi sport, è la sola ad avere una rigida barriera territoriale. Nel baseball e nel football trovo squadre, per esempio, californiane o texane in entrambe le leghe/conference. Avviene per una questione di tradizione, per il modo in cui NFL e MLB si sono formate. La tradizione in questo caso gioca a sfavore della NBA. Di solito all’avanguardia e “liquida”, in questo caso è arretrata e rigida. Il nodo è nel merger con la ABA del 1976. Prima della fusione entrambe le leghe erano in cattiva salute: la ABA stava però molto peggio. La fusione fu più che altro fagocitazione e la NBA si comportò come Roma su Cartagine: cancellò tutto, anche il nome della ex rivale. Fu difficile ridistribuire le franchigie: per un periodo Detroit, Chicago, Indiana furono a Ovest, Houston per due anni a Est e quando i Mavericks entrarono ci furono dubbi su dove collocarli. Forse per quel difficile processo attraversato, ora la NBA si mostra poco propensa ad abbandonare i criteri e la conformazione raggiunti. Però potrebbe essere positivo. In questo senso è da attendere la prossima expansion. Un nuovo assetto, bipartito ma su differenti canoni, potrebbe dare alla NBA una duttilità nuova, utile anche a ridurre il calendario: diciamo 32-35 squadre e 70 gare.

10 – GIOVANI NON A CASO. La mano della NBA sta per giungere in Europa. Tra quanti anni non è dato al momento prevedere: potrebbero essere 2 o 5, 3 o 10. Potrebbe avvenire in forma di inziale tutoraggio relativo al marketing e alla vendita del prodotto basket, oppure con una diretta creazione della E-NBA. In ogni caso: avverrà. Una lega in crisi non prepara operazioni del genere. E non lo fa rivelando quale sia il vero scopo. Certamente: nuovo bacino, nuovo flusso di denaro (l’Europa è tuttora, per qualsiasi tipo di merce, il mercato più ricco e remunerativo); ma non si tratta solo di questo. Cosa scappa alla / dalla NBA per colpa di una pura e semplice mancanza di posti di lavoro? Talento giovane. Ogni, davvero ogni movimento recente della NBA è stato indirizzato a trattenere sotto il suo controllo quanto più giovane talento possibile. La prossima expansion (cioè: aumento dei posti di lavoro), la riforma della D-League in G-League; la creazione all’interno della lega di sviluppo della squadra per i giovani che non vogliono andare al college: Ignite. Il recruiting NCAA che, grazie alla novità degli accordi NIL (Name – Image – Likeness), ora è possibile con maggiore vigore. La cosa investe l’Europa: i 18enni nostrani possono ricevere cifre non pareggiabili dai vivai di qui (tra i prossimi: Dame Sarr). Per la NBA signifca: maggiore controllo del talento giovane mondiale, da cui in potenza maggiore livello della competizione, e l’arrivo di ragazzi già parzialmente americanizzati (meno difficoltà di ambientamento e simili fattori).

11 – FLUSSO. Negli ultimi 2/3 anni è mutata la tipologia di giocatore NBA che arriva in Europa, o meglio: nella lega di eccellenza europea, la Eurolega. Prima erano Europei di ritorno o giocatori nella fase calante della carriera o giocatori giovanissimi. Ora arrivano giocatori nel loro prime: Nunn, Lonnie Walker, Sterling Brown, Elijah Bryant, Carsen Edwards, Stanley Johnson, Admiral Schofield, altri ancora. Indipendentemente dalla riuscita o meno dell’acquisto si tratta di atleti compresi tra 24 e 29 anni. Perché accade? Perché la NBA preferisce tenersi i giovani. Non solo per una questione di futuro, ma anche monetaria: i primi 4 anni di un giocatore (con il rookie contract) sono i meno costosi per la franchigia. Quindi invece di avere a roster Nunn con un certo costo, è preferibile avere una guardia un po’ meno ready-to, ma futuribile e dal costo inferiore: la franchigia così può mantenere il monte–salari più basso e duttile. Questo flusso verrà enfatizzato con la E-NBA, sia per numero che per qualità dei giocatori. E la NBA sarà sempre vincente perché il richiamo degli Hornets (franchigia tra le meno prestigiose) sarà sempre superiore a quello del Real Madrid. Un riferimento esemplare di quello che accadrà in futuro potrebbe essere il percorso di Guerschon Yabusele: NBA – Real – NBA (da giocatore ancora giovane ma molto migliorato).

12 – QUINDI. Una lega in crisi progetta e costruisce e architetta con così profonda lungimiranza? NO. Una lega, con questo tenore di progetti in corso, può dirsi in crisi perché qualche ex allenatore sclera contro il tiro da 3 o per un calo di ascolti compreso tra 9 e 25% (e non ovunque, e non sempre), peraltro compensato da nuovi tipi di contatti? NO. Gli ascolti delle gare in TV Nazionale sono in calo, ma la NBA non è in crisi. Anzi.