Minnesota Timberwolves. Minnesota è un cimitero di speranze. Un cimitero sommerso da una palude. Un cimitero sommerso da una palude infestata di alligatori, piranhas, pesci siluro antropofagi. La carne di cui si cibano: giocatori di basket.
Franchigia di espansione anno 1990: in 32 anni ha avuto solo 9 stagioni vincenti, ben 16 stagioni con 50+ sconfitte a fronte di solo 4 con 50+ W, solo 9 apparizioni ai PO, solo 1 volta ha superato il primo turno. Il record totale di RS è 1028-1570, percentuale al 39.6%; simile risultato per i PO: 18-34 per il 34.6%. Il punto è che, in questi 32 anni, I Timberwolves hanno avuto 3 volte (una in questo momento) la possibilità di fare il salto di qualità, grazie all’arrivo di grandi campioni. Nulla da fare: Kevin Garnett e Kevin Love, per non vedere le loro carriere del tutto obliterate dall’insipienza della proprietà e del management, hanno dovuto lasciare Minneapolis. KG avrebbe vinto l’Anello a Boston, Love a Cleveland. E’ significativa la scansione temporale degli arrivi/partenze dei grandi giocatori: quando andava uno, subito arrivava l’altro. Garnett 1995-2007, Love 2008-2014, Towns 2015. Quando le franchigie di qualsiasi sport sono così ossessivamente perdenti, è sempre una questione di cattive decisioni manageriali, salariali, di reclutamento. Ma se pensate che a Minneapolis stanno anche i Vikings, la franchigia NFL con più apparizioni al SuperBowl senza mai averlo vinto… Gli Illuministi a questo punto si prenderebbero gioco di me, ma oltre a sbagliare decisioni, GM, allenatori e molti giocatori, è innegabile che nel costruire sconfitte conti anche l’atmosfera che NON si riesce a creare all’interno di una squadra.
E’ da questo punto di vista che ritengo il vero franchise-player dei T’Wolves sia la Prima Assoluta dell’anno scorso, Anthony Edwards. Ha vinto il ROY, ma è passato un po’ sotto silenzio perché etichettato come giocatore “solo atletismo”, a causa anche della politica scellerata dei minivideo virali, che ovviamente mandano sempre azioni spettacolari, ma non fanno capire una mazza del Gioco; la schiacciata di Edwards sopra al povero Watanabe: quante volte l’avremo vista…9000? Il punto è che AE è un giocatore per nulla banale sotto ogni punto di vista, e molto di là dei paragoni abbastanza facili con il primo Jordan, tra i quali quello più significativo è l’essere bollato, appunto, “solo atletismo” come accadde a MJ. Edwards, fisicamente è il prototipo della guardia del prossimo decennio, in una parola: grossa. 195 x 105: una massa difficile da fermare. Nel rookie year in tanti hanno criticato il suo tiro da 3: in realtà si è fermato un decimo di punto sotto la soglia di sopravvivenza, al 32.9%, quindi si sarebbe dovuto ipotizzare un miglioramento. Puntualmente accaduto. In questa Stagione Edwards tira di più: +1.6 tiri/gara, un aumento fatto solo di triple. Le sue % sono salite al 36.6%: manca poco a un livello di eccellenza. Quello che più colpisce del giocatore, il vero boost che offre alla sua franchigia, è la positività, la determinazione vestita di allegria ma non per questo meno forte. Quando ha vinto il Rookie of the Year, ha detto: “Mi piace il ROY, ma il GOAT mi piace anche di più”. All’inizio della stagione ha dichiarato: “So di essere migliorato, lo vedrete, e migliorerò ancora: quest’anno voglio i Playoffs, l’anno prossimo le Finals e lo MVP”. E’ proprio l’atteggiamento che serve per dare vita alla palude, drenare la melma, far sparire le bestie che divorano le carriere; lo è ancora di più dal momento che, per motivi personali anche di una certa gravità, nessuno degli altri due giocatori più importanti, Karl-Anthony Towns e D’Angelo Russell, è esattamente un esempio di allegria e positiva fiducia nella vita. E poi non sono spacconate, finora Edwards ha mantenuto: Minnie è settima a Ovest, in piena PO Picture.