“Clarity”, la parola usata da Zach Kleiman, GM di Memphis, per motivare il licenziamento di Taylor Jenkins.

Fare chiarezza. Esigenza che nasce, anche, da una errata percezione che la fanchigia ha di sé stessa e delle proprie capacità. C’è una differenza tra desideri e ambizioni, e a MEM se la sono scordata. L’esonero parte dalla stagione precedente, addirittura dalla squalifica di Morant. Ecco la storia.

AGOSTO 2024. Quando erano tuuuuuuutti in vacanza, Jenkins ricevette una chiamata dagli uffici dei Grizzlies: gli veniva chiesto di collaborare nel notificare a ben 5 suoi assistenti che non avrebbero avuto posto nello staff 24/25. Jenkins, con spirito aziendalista, pur con dispiacere si adeguò. Tra loro Blake Ahearn, che lavorava in particolare con Ja Morant. Sono importanti le tempistiche: piena off-season, già si era consumato il briefing di fine stagione in cui ci si dice “arrivederci a settembre”. Si è trattato di una scelta societaria, solo avallata da Jenkins. Inoltre, i principali nuovi erano due allenatori molto giovani e abbastanza spuri: un coach finlandese ormai esploso in Europa ma non conosciutissimo oltreoceano + uno specializzato nello sviluppo-giocatori. Tuomas Iisalo e Noah LaRoche. A Jenkins fu data la possibilità di un colloquio preliminare coi due, ma, quando le cose accadono con simile modalità, è evidente che il reggente la panchina non può mettersi di traverso, a meno di dimettersi, rispetto al volere della franchigia.

IL 23/24. Era stata una stagione disastrosa, terminata 27-55, punteggiata da infortuni e dalle conseguenze di episodi fuori dal campo: alludo alla squalifica di Ja Morant per comportamenti il cui esito “andava a detrimento” della rispettabilità della NBA. Quando un allenatore passa attraverso una stagione da quasi 60 sconfitte con infortuni e problemi extra campo di quella portata: è già un miracolo arrivi sano a metà aprile. Si tratta per lui di aspettare per vedere se A) prevarrà il considerare le difficoltà attraversate, e quindi manterrà il posto o B) prevarrà il record negativo con annessa la responsabilità “del buon padre di famiglia” su infortuni e casini, e quindi non manterrà il posto. Dopo un consistente intervallo in cui Jenkins pareva averla scampata, la doccia fredda. La quasi totalità dello staff licenziata: se non suona come delegittimazione…

VIA DAL PICK AND ROLL (VIA DA JA?). Problemi extrabasket a parte, dopo il primo anno in cui tutti ci siamo innamorati di Morant per il suo stile di gioco vecchia scuola di piccolo che sfida i pitturati (tra tutti i paragoni: Derrick Rose), sono iniziate valutazioni più analitiche, in relazione anche alla perdurante episodicità del suo tiro da fuori. La NBA ha stats per ogni cosa. Dal suo primo giorno nella NBA, tra i giocatori con ingaggio annuo di media superiore al salario-medio NBA (8 MM$$ ca) che avessero tirato almeno 750 volte un jumper uscendo in palleggio da un blocco, solo Russell Westbrook, su 110 giocatori, aveva una effective field goal % peggiore di Ja (44.7%). Solo il fatto che esista una stat del genere è iperuranio, ma superata la sorpresa bisogna ammettere che per tempo considerato, numero di tiri, numero di giocatori: è un dato significativo. Indica che, a dispetto dello stile di gioco da lui preferito, Morant non ha una efficacia definibile come “decisiva”. Dopo 4 anni, la franchigia (NB: non il coach, ma il GM/CBO) ha deciso di prendere atto della situazione e di cambiare lo stile di gioco: questo passaggio è fondamentale, dovete leggere “visto che non lo faceva il coach”. Senza allontanare né Ja né Jenkins; senza, però, lasciare in piena legittimazione il coach né zittire in maniera decisa i rumors su una trade per Morant.

IISALO. Non è possibile asciugare del tutto il basket moderno dal p’n’roll, almeno non all’improvviso e senza un certo tipo di personale. Il coach che ha creato TJ Shorts e gli altri PBBs è un innovatore, perché introduce determinati concetti di sviluppo del gioco PRIMA che si arrivi alla situazione p’n’roll. Li ha instaurati portandosi dietro per 3 anni di seguito 7/8 giocatori dalla Germania a Parigi, fino a vincere la Eurocup a mani basse e lasciando, a sorpresa, il timone in Eurolega a Splitter, proprio per accettare l’offerta di MEM. In breve: ci sono i primi 8 secs, in cui un uomo deve battere l’avversario per crearsi un tiro (meglio) o una situazione che liberi un compagno; ci sono poi i secondi fino a 16 in cui si gioca con il criterio del passaggio e della ricollocazione (pensate a certi movimenti di Steph o a quello che in Europa conosciamo come “movimento Djordjevic”). Poi gli ultimi 8’’ del possesso, in cui il p’n’roll arriva, con spaziature tendenzialmente molto più larghe della media. Questo tipo di gioco ha la pg o lo handler al centro, ma riduce l’incidenza dei blocchi; particolare attenzione, a proposito dei vantaggi conseguenti un sistema simile, Iisalo pone ai rimbalzi offensivi. Potete anche “pensare il pensiero” dei dirigenti di Memphis: se riesce a Shorts, riesce a Ja; non sballato: entrambi con tiro da fuori non affidabile, entrambi in certa misura sottodimensionati (Ja è meno di 190 e meno di 90 kg) anche se iper-atletici.

LA ROCHE. Per inquadrarlo è necessario tenere presente cosa ha fatto nel basket dal 2007 in poi: facilitare (parola chiave) lo sviluppo dei giocatori. Nato nel New Hampshire, ha fondato Integrity Hoops nel 2007: ha iniziato assistendo la squadretta dei suoi fratelli, ora ha clienti Westbrook e Harrison Barnes; il salto di qualità definitivo è stato compiuto quando ha trasformato Duncan Robinson e Georges Niang (non proprio dei naturals, per così dire, e nativi dello stesso angolo di America) in giocatori NBA a tutti gli effetti, capaci di arrivare alle Finals. La sua idea di gioco nasce dal considerare il p’n’roll strumento che lega i giocatori e rende il gioco poco fluido, essendo la fluidità elemento principale della facilità. In questa concezione ci sono verità ma anche marketing: da parecchio il p’n’roll è il villain nel discorso sulla evoluzione del Gioco, ovvio che qualsiasi voce si levi a criticarlo sia favorevolmente recepita. L’input di LaRoche è quello del free-flow, dove il “gioco libero” non ha la cattiva letteratura degli anni ’80 e quindi non coincide più con “giocare a caso”. Si tratta di elementi semplici e non nuovi, anzi: la mezza ruota di memoria URSS, bloccare il bloccante, trasferire il pallone col palleggio è inutile: se palleggi, fallo per segnare o creare vantaggi, nel qual caso i tuoi compagni NON ti vengono incontro (come accade invece nel p’n’roll) ma si allontanano da te per creare spazi o angoli di passaggio o posizionamenti favorevoli per il reboff. Notate come alcuni punti coincidano con il pensiero di Iisalo: tra i due il più rivoluzionario è LaRoche, ma anche il più distante dal concetto di allenare un sistema (una squadra intera con avversari veri). Il fascino esercitato sugli uffici dei Grizzlies da una offense che si allontana il più possibile dal p’n’roll, data la non efficacia di Morant prima ricordata, è evidente.

INIZIO FAVOLOSO. Almeno fino all’ultima settimana di febbraio, tra ASG e trade-deadline. I Grizzlies avevano il minor numero di blocchi sulla palla + hand-offs della NBA: ca 40; nel misurare pensiamo che il penultimo ne aveva 50 e il numero di possessi/gara per una formazione NBA è 90: quindi, a rivoluzione appena iniziata, ben più della metà della offense dei Grizzlies si svolgeva lontana dal p’n’roll e sue conseguenze. Soprattutto: erano terzi nella WC dopo essere stati anche secondi. In quel momento erano al culmine della modernità del Gioco: alle nuove teorie si aggiungeva la composizione secondo il modello del “roster diffuso”, portata avanti anche per proteggere giocatori e squadre dai sempre più frequenti infortuni. Abbiamo parlato del piccolo miracolo che avveniva a MEM anche trattando singolarmente i giocatori: giocavano in 10/11, i risultati arrivavano e giocatori fino a quel momento improbabili (Huff, Kennard, Pippen Jr) o mai testati (i rookies Edey e Wells) avevano impatto.

OMBRE. In quei primi mesi eccellenti, però, si potevano notare alcune ombre. Gli infortuni erano, a loro modo, propedeutici nel creare un gruppo di giocatori capaci di essere tutti utili alla chiamata: però continuavano ad accadere, e man mano che le stagioni si approfondiscono diventa problematico dovere rinunciare a singhiozzo a 2 o 3 giocatori alla volta, spesso i più talentuosi. Poi gli avversari iniziavano a comprendere il sistema dei Grizzlies: al loro ottimo record, inoltre, mancavano le “quality wins”, come se il loro gioco fosse capace di arrivare solo fino a un certo piolo della scala. Infine la non risolta questione-Ja. Un sistema che doveva aiutarlo a governare il campo, trovare tiri di qualità e migliori percentuali, stava in realtà creando la sua peggiore stagione a livello di % (44.8 fino allo ASG), e la peggiore per tocchi di palla, loro durata e numero di palleggi per tocco; se le ultime due (durata e palleggi) sono una logica conseguenza del sistema più aggressivo nei primi secondi, il fatto che il pallone stesse di più fuori dalle sue mani era un problema (gli infortuni, certo, ma…). Morant infatti non era contento: non ha un entourage personale di primo livello nel consigliarlo + molto tempo infortunato significa molto tempo per rimuginare, così che il suo malcontento iniziò a emergere sempre più.

20 FEB – 26 MAR. Jenkins provò a intervenire, aumentando il p’n’roll che nel periodo tra la trade-dead line e il suo esonero passò da 40 eventi/gara a 60, con più tocchi per Ja. Però il giocatore ha mancato per problemi fisici 8 delle 19 gare di quel periodo, tra cui 6 in fila da cui è tornato solo a Jenkins esonerato. In quella fase il record fu 8-11, la squadra è uscita in maniera stabile dalle prime 4 (ora rischia di uscire dalle prime 6) perdendo tutte le gare-qualità e portando a 0-11 il bilancio vs le prime 3 della WC nel 24/25. Caduta in classifica, malumori della Stella, tensioni nello spogliatoio tra “migliori” e “gregari” (episodio Bane vs Aldama visto da milioni di contatti ormai), deviazione dalla impostazione di gioco prevista: questa la combinazione che ha portato al licenziamento di Taylor Jenkins, ma anche, udite udite, di Noah LaRoche. Allontanare LaRoche è stato un piccolo messaggio a favore di Morant. Infatti il giocatore era molto legato al precedente sviluppatore, Ahearn: i non rilevanti (se non del tutto assenti) progressi compiuti sotto LaRoche hanno ispirato la mossa.

PROPORZIONI.  L’esito finora non è stato felice. Iisalo ha perso le prime 3 gare (tutte di qualità: BOS, GS, LAL) e ha vinto poi vs Miami e DET (questa una sorta di W-qualità). Il coach è interim, non ha certezze oltre la fine di questa stagione. Memphis necessita di un serio “regroup” prima dei PO, ma la dirigenza deve modulare le ambizioni. Il successo che stanno avendo small-markets come Cleveland (senza LBJ) e Oklahoma City ha forse illuso la proprietà: giusto tendere al Titolo, ma meglio comprendere le proporzioni che una franchigia come Memphis può avere. L’ultima città con dimensioni / importanza analoghe ad avere vinto un titolo in condizioni “normali” negli ultimi 50 anni… NON esiste. Portland nel 1977 aveva Bill Walton, Cleveland aveva James, Denver aveva e ha il miglior giocatore al mondo, Milwaukee aveva e ha il secondo o terzo migliore al mondo, Dallas è molto più rilevante come mercato e aveva Dirk, e San Antonio (che in ogni caso è il doppio o il triplo delle città menzionate, così come Dallas) ha saputo creare una situazione particolare attorno a un uomo e 4 scelte irripetibili. Per il resto, non si esce da un circuito che fa sembrare piccola Boston. Memphis non ha la stazza né la Stella per ambizioni iperuranie, anzi: dovessero provare a vendere Ja, troverebbero molti meno clienti di quel che possiamo pensare, non solo per le vicende extra-basket.

CONCLUSIONI. La vicenda dell’esonero di Taylor Jenkins, che fino a febbraio era easy nella cinquina per CoY, insegna parecchie cose su come si costruisca una franchigia nella NBA, su cosa e chi comanda, cosa e chi viene preso in considerazione in occasione delle decisioni importanti. Non si può prescindere dai giocatori e soprattutto da quella che, nel momento dato, è la Stella. Oppure si può, che è esattamente quel che ha fatto Dallas liberando Doncic. Per ora Kleiman (letteralmente, per chi ora lo odia, vuole dire: piccolo uomo) ha preso un rischio immediato ma non troppo diverso da quello che sarebbe stato in ogni caso il destino dei Grizzlies: una post-season breve, fosse coi PO diretti o, come probabile ora, con il Play-In; la speranza è creare uno scenario tecnico migliore per il futuro: il coach, Iisalo o chi sarà è ora avvisato che la franchigia non starà zitta sulla conduzione tecnica. La clarity è quella.