“Ma chi è Hiroo Onoda…?” Nell’incessante, continuo rimbalzare di voci sulla irreversibile crisi del basket tricolore, di idee, di esposizione mediatica e “chipiùnehapiùnemetta”, nel mentre, si sconquassano le gerarchie che hanno governato nelle ultime decadi “il mondo arancia”, in verità tutti o quasi tutti sanno dell’ultimo samurai giapponese, rimasto a combattere fino al 20 febbraio del 1974 un conflitto mondiale terminato quasi ventinove anni prima – Il 9 agosto 1945 – e morto solo qualche giorno fa. È il ricordo di cosa fosse la pallacanestro invece a latitare.
E l’origine dell’oblio va ricercata, forse, nella incapacità di proporre idee, persone e cose in grado dire cosa è, vuole essere, sarà in futuro la pallacanestro.
Troviamo un Hiroo Onoda che sia capace di posare con un pallone a spicchi, possibilmente giovane e credibile, che convinca tutti coloro che ancora si emozionano quando la retina fa ciuff, che “la guerra non è finita”.
Gallinari… Belinelli… Bargnani…? Può darsi, perché no – ma anche uno dei “golden boy” dell’under 20 di Pino Sacripanti può andar bene. E non credo sia una questione di immagine, quanto di idee. L’importante è che tutti sappiano che “la guerra è bella anche se fa male, che torneremo ancora a cantare”, che ci sia ancora voglia di far suonare il legno con la palla, disegnare parabole e sogni, di immaginare il gioco.