Se il campionato italiano, da anni segnato dall’egemonia di Siena, è divenuto meno noioso nelle ultime due stagioni, gran parte del merito va ascritto alle altre compagini in lotta per i piani alti della classifica, club che stanno producendo il massimo sforzo possibile per colmare il gap tecnico con la formazione biancoverde, peraltro di recente colpita da diverse problematiche extra cestistiche che potrebbero metterne in discussione lo strapotere economico col quale ha costruito il suo pluriennale dominio in Italia.

Fra le società più impegnate nel voler spezzare la dittatura toscana ce ne una che, pur non vantando nei suoi cinquantaquattro anni di storia un passato blasonato come Milano, Varese, Cantù o Roma, può seriamente pensare di inserirsi nella lotta per il titolo grazie alla forza di un progetto che in pochi anni ha dato slancio ad una piazza calda, competente e corretta come quella di Sassari.

Sicuramente non c’è mai un solo artefice alla base di una serie di risultati così importanti come quelli conseguiti in poco tempo dalla Dinamo, ma possiamo affermare, senza timore di smentita, che un uomo, più di ogni altro, ha garantito la continuità nel momento buio, quando la famiglia Mele, precedente proprietaria del sodalizio biancoblu, non riusciva più ad assicurare la sopravvivenza del club a certi livelli. Stiamo ovviamente parlando di Stefano Sardara, 44enne imprenditore nel ramo assicurativo, che ha saputo creare in poco tempo un modello di riferimento, toccando anche le corde giuste per convincere nuovi e numerosi partner a sposare il suo progetto, creando così una base solida di risorse su cui poter pianificare serenamente il futuro.

Visto dall’esterno, quello di Sassari sembra essere un ambiente piccolo ma ideale per sviluppare un progetto come il Vostro, ci spiega un po’ meglio dall’interno il mondo Dinamo?

“Il mondo Dinamo prima di essere una realtà sportiva è un fenomeno sociale perché grazie alla forte identità  del popolo sardo, tutta l’isola si è ritrovata coinvolta nel sostenere ed alimentare il progetto che, da un lato non dimentica chi è e soprattutto da dove arriva, dall’altro ha l’ambizione di salire in alto, un gradino alla volta, e accrescere l’intero sistema, step by step. Il tutto però sempre rimanendo con i piedi ben saldi per terra. Si pensa sempre a Sassari che è sicuramente la roccaforte del progetto ma in realtà è l’intera isola il motore della società”.

Nel Paese dei campanili, la sua società va in controtendenza incassando le simpatie di tutta la Sardegna, una regione intera che tifa per la Dinamo, come spiega questo fenomeno?

E’ collegato a quanto dicevo prima, i campanilismi sono concettualmente sbagliati ma diventano stupidi quando non esiste la “concorrenza merceologica”. E’ il caso della Dinamo, unica società di basket professionistica della Sardegna. E’ stato sufficiente fare un passo verso tutti e la risposta è stata fantastica, perché, se ti fermi a riflettere un attimo, e questo evidentemente è quel che è successo, ti rendi conto che non puoi non amare una realtà sarda così identitaria, anche se appartiene ad un’altra provincia. Noi però dobbiamo essere bravi a cercare di restare vicini a tutti ed è per questo che giriamo tantissimo per tutta l’isola non declinando mai gli inviti che ci pervengono”.

La crescita graduale avuta dopo l’arrivo nella massima serie è stata spesso definita come “miracolo sportivo”, un’etichetta che probabilmente sminuisce quella che è invece una seria programmazione a medio – lungo termine?

Mi trova abbastanza d’accordo senza volerci lodare. Effettivamente abbiamo applicato al mondo sportivo le regole economiche e gestionali di una normale azienda commerciale, e quindi la programmazione ed il dover rispondere a chiari regole economiche è il pane quotidiano per la Dinamo. Così come la diversificazione e la predisposizione di offerte commerciali adeguate al nuovo contesto economico. Poi il risultato sportivo è il turbo che può sparigliare le carte, nel bene e nel male, ma il tutto avviene all’interno di uno spartito ben chiaro. Ecco perché mi piace poco la parola miracolo, non perché non rappresenti bene il cambio di direzione ma perché quello che sta avvenendo è il risultato di anni di lavoro che oggi pongono attualmente la Dinamo in corsa per le Last 16 di Eurocup, a 4 punti dalla vetta del campionato, qualificata alle final eight, ma sopratutto senza un euro di debito! Questo è frutto del lavoro di tutti, tifosi, sponsor, istituzioni, giocatori e società”.

Promozione in A, salvezza, conquista dei playoff, accesso alla final eight e approdo in Europa, quanto tempo sarà necessario per aggiungere la parola “Scudetto” a questo splendido percorso?

Un tempo indefinito che sarà lungo quanto tutto il sistema impiegherà a crescere ed adeguarsi ad un evento di questa portata. Torniamo al concetto di pianificazione. Il mio sogno è una Dinamo competitiva e sostenibile senza dover lavorare dodici ore al giorno per inventare sempre nuove fonti di ricavi per alimentare un progetto ambizioso per una regione ed un contesto economico come il nostro.

Per poterlo fare non dobbiamo illuderci, ci vorrà tempo perché i giocatori li compri ma la mentalità vincente l’acquisisci solo con la maturazione, ed è per questo motivo che nella scelta dei giocatori guardiamo molto anche a questo aspetto, vedi Omar Thomas o Bootsy Thorton.

Purtroppo però ci vuole tempo per tutti noi e quindi ti capita ancora che qualche giocatore pregiudichi una partita fantastica con una alzata di testa come ha fatto Drew Gordon a Cantù domenica scorsa, che i tifosi si chiedano quale altro giocatore arriverà dopo l’ultimo acquisto, astraendosi dalla realtà, sopratutto economica, che la società sbagli nell’impostare una strategia, che il direttore sportivo valuti male un giocatore o che l’allenatore sbagli un cambio. Questo perché non siamo stati programmati per vincere lo scudetto visto che tre anni fa stavamo combattendo per la sopravvivenza ed oggi le cose sono cambiate. Per raggiungere grandi traguardi dovremo essere tutti perfetti e i tifosi capaci di distinguere i sogni dalla realtà, perché la troppa pressione e le grandi aspettative spesso generano delusione e poiché il nostro sistema si fonda sull’entusiasmo a 360 gradi, la delusione è come la criptonite per Superman.

La società, lo staff tecnico ed i giocatori, lavorano sempre su quei dettagli che fanno la differenza, tutti impegnati per creare quella mentalità vincente e quel tipo di approccio a tutto ciò che ti circonda che deve sempre essere positivo e risolutivo”.

Sarà anche un campionato livellato verso il basso, come si sente dire da più parti, ma la Serie A, da un paio di stagioni sembra essere decisamente più vivace e interessante, forse non poi è tutto da buttare via allora…

Secondo me dopo gli anni dei grandi patron e dei grandi sponsor che hanno consentito al basket di diventare il secondo sport più amato in Italia, oggi il nostro movimento sta attraversando una seconda giovinezza che, in un contesto economicamente più sostenibile, sta facendo appassionare di nuovo milioni di italiani. Questo anche grazie alla maggiore fruibilità televisiva e non solo delle partite. Assolutamente non è tutto da buttare via ma al contrario, stiamo ripartendo e con una Lega forte potremo, insieme ad una Federazione che sta facendo veramente bene con il Presidente Petrucci, rilanciare definitivamente questo sport meraviglioso”.

Può indicare tre punti programmatici, secondo Lei imprescindibili, per favorire il rilancio dell’intero movimento?

Televisione e fruibilità in generale, vedi quel che accade per esempio con la diretta su Gazzetta.it; marketing congiunto sullo stile della NBA; Lega e FIP, nel rispetto dei ruoli, costantemente sedute allo stesso tavolo”.

Lei è un dirigente attento ai nuovi media, ritiene siano solo la moda di questo decennio oppure potranno realmente contribuire alla diffusione e alla crescita della visibilità della pallacanestro?

Certo, io ho 44 anni e sono cresciuto sentendo le partita alla radio e, negli anni più illuminati, vedendo una partita alla settimana se avevo un televisore a disposizione. Una delle cose più “appaganti” da ragazzo era la lettura della gazzetta ed alle13 tutti in silenzio perché papà doveva guardare il telegiornale. Quando ho voluto comprare un maglione o una felpa, mi sono recato al negozio a Sassari oppure ho approfittato delle rare volte in cui con la famiglia eravamo a Roma. Mio figlio che ha 15 anni, le notizie le legge su internet, non credo abbia mai sfogliato la Gazzetta dello sport perché va direttamente sul sito Gazzetta.it, se gli chiedo se ha ascoltato la partita alla radio chiama il medico di famiglia perché pensa che io stia male e, sistematicamente, con un click compra ciò che gli serve a prezzi iper competitivi in tutto il mondo, con possibilità di reso se la merce non è come immaginava. Secondo voi possiamo tornare indietro? Dovremo solo essere bravi a non farci fagocitare da questo sistema che spersonalizza in maniera devastante le relazioni. Tornando al parallelo di prima, a noi sudavano le mani per andare a chiedere ad una ragazza di uscire, oggi invece si mandano sms o messaggi Facebook in modalità codice fiscale tipo “TVB”. Tutto bello, ma le relazioni interpersonali devono rimanere tali e non trasformarsi definitivamente in rapporti virtuali”.

Che uomo è Stefano Sardara lontano dalla Dinamo?

Un ragazzo che ha nella famiglia la sua forza, che ama il basket ed il suo lavoro di assicuratore, che non può prescindere dalla vita “in branco” con i suoi amici di sempre e che ha un sogno…”.