Ennesimo riconoscimento per Amedeo Tessitori acquistato da Sassari quando era ancora in minore età in barba alle leggi comunitarie che, ad esempio, la Croazia ha fatto valere per un caso analogo (Saric) e arrivato in Serie A dopo una stagione di apprendistato a Forlì con coach Dell’Agnello con 503 voti (58%) su 874 ha vinto l’Oscar GIBA per il Giocatore più migliorato. Seguono altri giovani lanciati dai vivai italiani, il moro canturino Awudu Abbass (275 voti, 31%), uno dei punti fermi della medaglia d’oro della Under21 di Sacripanti, l’altro ex gioiello della Virtus Siena Matteo Imbrò della Virtus Bologna (77 voti, 9%), giovane play siciliano di Mazara del Vallo che aveva avuto offerte da club calcistici, e il pescarese della Virtus Bologna Simone Fontecchio (19 voti 2%). Chiuso il sondaggio on line GIBA per il MVP della regular season della Serie A, i candidati all’Oscar sono in ordine alfabetico Pietro Aradori (Cantù), Andrea Cinciarini (Reggo Emilia), Daniele Cinciarini (Montegranaro) e Daniel Hackett (Siena e poi Milano).
Intanto sono già stati assegnati gli Oscar 2014 per le seguenti categorie:
DNA Gold: Andrea RENZI (Trapani), si tratta dell’ala forte che Pianigiani portò agli europei 2011 senza mai entrare in campo; giocatore più migliorato: Tommaso LAQUINTANA (Capo d’Orlando) nazionale giovanile.
DNA Silver: Eugenio RIVALLI (Ravenna); giocatore più migliorato: Giampaolo RICCI (Casalpusterlengo).
SERIE A FEMMINILE: MVP Valeria BATTISODO (Parma); giocatrice più migliorata A-1 e A-2 femminile Virginia GALBIATI (Ragusa).
SERIEA – Giocatore più migliorato: Amedeo Tessitori (Sassari), il pisano che si è segnalato con le giovanili azzurre ed è stato lanciato dalla Virtus Siena “scuola Vezzosi”.
Quello che fatico a comprendere, adesso, è come sia possibile continuare sulla strada esterofila di Siena con la scusa che gli stranieri costano meno degli americani, pur guadagnando – come minimo – il doppio. Beh, il “trucco” c’era, a leggere le carte che la GdF hanno consegnato alla stampa nella conferenza stampa dell’8 maggio mattina. Con buona pace di Giorgio Buzzavo che un giorno in Lega chiese come mai il suo decimo giocatore italiano costava più di uno dei big di Siena, l’ipotesi di reato ascritta, fra gli altri capitoli, riguarda infatti la frode fiscale: e cioè c’erano due contratti, quello “ino” depositato in lega e quello “one” all’estero. Siena, ci si chiede, era l’unica?
Altro snodo le naturalizzazioni, soprattutto gradite alla causa della nazionale e si sa con quale successone. Travis Diener agli europei ha fatto poco, Maestranzi invece zero. Proprio così, un americano che mette piede in campo in diverse occasioni, invocato dai corifei per risolvere il problema del tiro da 3 (sic!), senza segnare un solo punto in tutto l’Europeo. Beneficiato grazie al basket di una cittadinanza che gli ha permesso lauti ingaggi, anche se Siena, constatato il modesto rendimento ha transato il triennale, un caso sul quale è scesa una cappa di strano silenzio. Con Diener, almeno siamo riusciti a scoprire la personalità e i nervi d’acciaio di Andrea Cinciarini, il play reggiano del quale ripeto spesso non mi stupirei se andasse nella NBA perché il suo gioco è simile – e per ora di poco inferiore – a quello di Goran Dragic che da due stagioni sta giocando ad alto livello dei Phoenix Suns.
Tornando a Tessitori, non mi spiego proprio come si possa fargli spazio e farne la miglior ala-alta in circolazione, il Mirotic italiano, impostando in un ruolo chiave del basket prendendo invece un’ala cinese, Qiu Bao, di 31 anni e 9 punti nel suo campionato, probabilmente conosciuto solo nel mondo degli agenti. Campionato che non ritengo migliore della Spaghetti-League. Forse si vuole arrivare al mercato cinese, convinti di scovare un nuovo Jeremy Lin? Tanto di cappello a guardare fuori dal proprio orto, ma quando discutevo con un amico di questo affare strano mi ha tacciato di ignoranza mandandomi un messaggio: “È chiaro che lo vogliono italianizzare!”. Che credo sia solo una battuta, in ogni caso il leit motiv del post-campionato sarà l’applicazione delle norme comunitarie sulla libera circolazione dei cittadini di vari paesi. Penso che anche gli italiani, mettendosi nelle mani di bravi agenti, cominceranno ad emigrare anche nei campionati europei, con l’aria che tira.
Prima dell’arresto Minucci aveva comunque già tranquillizzato il presidente CONI Malagò assicurandogli che la Lega sarebbe stata ossequiente: lasciate fare a me, tutto si sistema. La fretta nel fargli il contratto triennale (che peraltro nessuno ha mai visto) potrebbe avere tante ragioni, una di queste, che la Federazione non sapeva che pesci pigliare e bisognava decidere. Sentitosi scavalcato dal “dominus” senese, Gianni Petrucci imbarazzatissimo ha rovesciato di 180 gradi il suo giudizio e a Rimini, in occasione del Festival della Lega Nazionale, mi dettò questa dichiarazione: “Ai vertici federali non sono piaciute le mosse di Minucci”.
Strano dietrofront perché il 12 dicembre 2012, un mese prima del suo ritorno alla Federbasket, sul Corriere dello Sport con un’enfasi che “Super Gianni” aveva riservato nemmeno ai magnate come Benetton, Scavolini, Armani, proclamò: “Minucci è il miglior dirigente del basket italiano”. E che timing! Pensate un pò, cinque giorni dopo scattava la perquisizione disposta dal Magistrato della Procura di Siena per l’inchiesta denominata Time Out e gli veniva trovata nella sua villa con piscina e maneggio e guardiani una cassetta di sicurezza con 1.250.000 euro in contanti.
Da Udine, nella consueta presentazione settimanale, nei giorni scorsi Petrucci ha fatto appello alla Lega di trovare in fretta un presidente e trovare una soluzione, invece il problema è suo e avrebbe già dovuto da tempo radunare le varie componenti del basket, con tanto di esperti e associazioni interessate, per cercare di giungere a una forte politica comune (e comunitaria) e capire cosa fare per tutelare una spogliazione repentina, perché le leggi sono fatte per portare un beneficio ma quasi sempre c’è qualcuno che finisce per essere danneggiato irreparabilmente.
Il mio modesto suggerimento, come ripeto da anni avendo studiato il problema, è il liberismo: aprire le porte a tutti, come nella NBA, e parallelamente stabilire tetti salariali stretti su due fasce per contratti di almeno 2 anni: 30.000 euro per la A, 16.000 per la Gold, vitto e alloggio e benefit esclusi e con fortissime penali nel caso di rescissione del contratto prima dei 3 mesi e fra i 3 e 6 mesi. Il ricavato delle penali andrebbero in una cassa comune e suddivise fra i club per gli incentivi sul vivaio. E’ quel che in economia si die un “Patto di Sindacato”. Si producono giocatori, chi esce dall’Italia è eleggibile per la Nazionale, acquisisce mentalità internazionale (anche di gioco, oggi sempre più snaturato dalla lezione dei grandi maestri della panchina anni Settanta-Novanta), il campionato diventa più stile NCAA, di produzione, con budget alla portata di tutti. Ovviamente le coppe non sono un problema, per chi vuole farle: potremmo essere quello che è il basket slavo che quest’anno avrà forse due prime scelte. In attesa che poi la Lega costruisca il suo futuro senza bisogno di un signore più pagato di un manager di Stato e che l’Italia esca dalle secche della crisi economica.
E’ questo, comunque, il primo passo possibile per rilanciare un basket oggi fatto di tre livelli, squilibrato, col superbone di turno, dove ciascuno pesa per il potere economico che quasi sempre dipende dagli sponsor. Vedi i 200 milioni che la Gdf ha calcolato fluissero dal Monte dei Paschi allo sport, che trova comunque una ragione nell’ormai superata Legge Mammì che permette dall’82 alle aziende (e alle banche!) che investono in sponsorizzazione sui club sportivi di detassare interamente i redditi d’impresa, questo per surrogare la carenza di una politica sportiva da parte dello Stato. E’ chiaro che i club maggiori sono i più beneficiati, anche se in tempi di crisi sono quasi sparite le aziende che scaricano utili d’impresa, ma quelli che li hanno – e giganteschi – oltre a fare un affare, godono di un credit sociale comunque utile. Ecco la fabbrica del cosiddetto panem et circensens. Forse bisognerebbe distinguere fra sponsorizzazione e identificazione sport-azienda. Non dobbiamo nemmeno andare lontano per capire che questo succede anche in casa nostra e forse non ha alzato né il livello di gioco né la cultura sportiva, anche perché bisogna comunque saper spendere e comperare, che sono due cose diverse, e non vale il concetto di chi più spende meglio spende, come dimostrano i risultati di certi club.
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