Stefano Albanese compie gli anni. E dov’è la notizia dell’Aiace dei canestri?Aspettate un momento, mi voglio fare un regalo perché mi piace ricordare – magari sotto forma di invettiva giornalistica – i campioni che non hanno avuto la fortuna di giocare nel triangolo dello scudetto Milano-Varese-Bologna e rivalutarli col tempo, specie se coltivano ancora il senso di appartenenza al proprio movimento e rendendosi utili in altre vesti, senza stipendi, cariche onorifiche. Il tempo è galantuomo, il campione deve fare i conti anche con la persona, e non sempre i campioni fuori dal parquet sono stati tali o migliori. A me piacciono quelli del contropotere, quelli fuori dal coro, quelli di cui la stampa non si è curata di conoscere, quelli che non hanno avuto i mezzi di altri. Parlamoci charo: la fortuna del sedicenne Meneghin, il n. 1 nel suo ruolo, è stata quella che il professor Nico Messina era l’insegnante di educazione fisica e lo tolse dal lancio del peso per farlo lavorare coi pesi trasformandolo in un impressionante atleta, ma questa innovazione era del tutto sconosciuta fino agli anni settanta, alcuni dotti lo criticavano: basta guardare le foto di quegli anni, i nostri giganti del basket sembravano dar ragione a Gianni Brera e alle sue tesi sulla fame atavica del popolo italiano.
Stefano è figlio metaforicamente dell’epoca più bella del basket, quando il nostro amato sport trova la spinta ascensionale favorevole fra il “miracolo italiano” e la prima grande depressione inizi Anni 90. Depressione che spicciamente il dottor Giuliano Amato risolve prelevandoci dai conti correnti una bella fetta di quanto ci eravamo sudati, mentre lui continuerà a divertirsi manovrando i fili della politica, giocando a tennis e godendosi le decine e decine di migliaia di euro mensili di pensioni d’oro.
Stefano, che del basket non credo abbia avuto quando ha dato, e per quanto ancora si rende utile cercando di scandagliare i social-forum e tenere assieme i Maturi Baskettari, un gruppo simile a un prezioso manifesto vivente al quale Gianni Petrucci dovrebbe attingere come la Federtennis di Ricci Bitti fece con Pietrangeli e la Pericoli, è invece figlio in senso fisico, molecolare, di un’‘invidiabilissima famiglia siciliana, se vogliamo di censo – ma per stile ed educazione e cultura. Al punto che colpito da un invito nella loro tenuta fuori Palermo – cosa di cui Stefano non ha mai menato vanto, quasi scusandosi – Charlie Recalcati, persona pratica, ha voluto dedicargli un cammeo, come peraltro hanno fatto anche giocatori, allenatori, dirigenti e amici nel libro di Stefano “Cuore, canestri e successi” che mi diverto spesso a sfogliare perché ogni volta ci trovi un aneddoto, una data, e una selezione di “ritratti d’epoca” del suo archivio fotografico, fornitissimo, come nemmeno quello di un’agenzia fotografica. Ah, questo libro è nato col contributo di amici, senza pretese letterarie, come l’’opera recente sulla Stella Azzurra che pure ben scritta, mi spiace dirlo, ha utilizzato solo parzialmente il flusso di materiale inedito che gli ha fornito Stefano e anche la testimonianza diretta di altri giocatori, preferendo la modesta bibliografia dei gazzettieri e peccando di generosità. La molla basilare per illustrare la stagione dei” “mejo ragazzi de Roma””.
Proprio quella generazione protagonista dell’’impresa che ha portato la squadra in A e ne ha fatto una bella storia che potrebbe andare bene anche per il cinematografo. Il racconto di un gruppo di giovani allegri in gita, ben vestiti, tutti studenti che si mettono in viaggio la domenica mattina prima dell’’alba e raggiungono in treno Milano e Varese rientrando a Roma che è già l’alba del giorno dopo per non mancare il lavoro o la scuola.
Vanno bene anche le giaculatorie, i fioretti e la “due diligence” (espressione più grottesca che sconosciuta, per quanto sta accadendo di brutto nell’amato basket e che da almeno 15 anni avevo previsto) ma i canestri che hanno acceso la luminosa Stella Azzurra, tracciando la via per la Coppa dei Campioni e lo scudetto tricolore capitoline con le grandi folle del Palaeur, che rivive solo nelle pallide celebrazioni locali e non nell’esempio, li hanno fatti i vari Spinetti, Napoleoni, Volpini, Falcomer, Albanese . E se il gioco lo creava l’impareggiabile Tonino Costanzo, facondo coach-giocatore, erano loro, i Monelli di Trinità dei Monti a scozzonarsi con gli squadroni professionistici del nord, e se ne tornavano pieni di lividi, che -con tutto il rispetto- non era certo la fede a guarire. .
Pur conoscendolo più a fondo, Stefano mi appare sempre come la prima volta che lo vidi sul linoleum della Palestra dei Vigili del Fuoco , la prima casa della Ignis, a metà anni sessanta. Il lunghissimo e impeccabile giovane barone di Mongrifo dal nome della tenuta avita coi muri color pastello, gli antichi orci nel giardino, il profumo di gelsomino e zagare. . Il titolo nobiliare è solo una mia invenzione, e se lo chiamo barone di Mongrifo lo vedo ancora arrossire, credo che forse nemmeno gli piaccia ma non posso farne a meno. Son fatto così, credo in quello di cui sono convinto, se non fa del male.
Quel che non riesco a capire come un ragazzo andato via da casa minorenne, sradicato da una famiglia che lo coccolava come il più “piccolino”, per prima la bellissima madre Lucrezia, una famiglia tanto unita, tanto tradizionalmente siciliana, stile Ottocento, educato agli studi dagli encomiabili fréres del Collegio De Merode di Piazza di Spagna dalla quale sono usciti onorevoli, economisti, statisti, artisti, abbia saputo costruirsi come persona un equilibrio tanto saldo. E senza rinunciare alla frenesia della gioventù, alle trovate della goliardia simpatica, alle tentazioni della Roma felliniana, senza travalicare mai la misura dello spirito di indipendenza, la regola dell’atleta. E scalfire il senso del dovere, costruendosi in seguito anche una solida reputazione nella banca in cui ha lavorato dove ancora si ricorda con gratitudine la volta che mise in fuga un rapinatore andandogli incontro alla cassa con l’imponenza dei suoi oltre 200 centimetri.
Appetito dai grandi club quando i pivot scarseggiavano, ha rifiutato di monetizzare il suo dono (e il talento) in cambio della libertà scegliendo per chiudere la carriera e il posto fisso.
In compenso, Vigevano l’ha amato più di una statua equestre degli Sforza o di un calciatore, non meno di Meneghin o Marzorati, figli delle loro città mentre lui veniva dalla Sicilia, elevandolo a modello per il gioco guerriero come per i tratti della personalità: leale, uomo di spogliatoio forte e sensibile , capace di entrare in contatto con la gente di una città laboriosa, quando Vigevano era la capitale della calzatura. E anche grazie alla barba da statua greca, si è guadagnato l’invidiabile nomignolo di “ Supremo Aiace”, perché solo i grandi hanno diritto al nick-name, L’angelo Biondo, Superdino, il Nembo Kid della Brianza, il Mozart dei canestri, la Mosca atomica, e così via. Con Aiace si parla dell’eroe incompreso della guerra di Troia che, racconta la mitologia, si crucciava di non godere lo stesso favore che gli Dei riservato a Ulisse , al punto da suscitare in lui una collera “bestiale”. Fortunatamente Stefano non ha mai manifestato gesti inconsulti, anche se quando Art Kenney gli fece cadere alcuni denti con una gomitata , non porse certo l’altra guancia.
Gli faccio volentieri il mio piccolo regalo di compleanno con la licenza di parlare di quei tempi sani, che sono stati anche i miei dei primi anni di giornalismo. Lui e il suo mondo, intrecciandolo con la realtà di oggi, un’eredità gestita col “malaffare”, per usare una definizione del PM di Baskettopoli. Per lanciare un’invettiva contro l’imperante e sfrontata ipocrisia del basket che brucia, dimentica, inaridisce, finge di non essere responsabile di quanto è accaduto in una certa città e forse non solo in quella, mentre siamo agli arresti domiciliari anche tutti noi se non abbiamo saputo fermare quel che la Guardia di Finanza ha descritto come “un disegno criminale al fine di arricchimento personale”.
Oggi occorre ripartire da piccole cose, buone cose. Ha ragione con la sua prudenza e concretezza da “Razza Piave” Renato Villalta ad ammonire la Lega e riportarla sui binari giusti dopo la più irresponsabile delle scelte e dei disegni che – chiamiamolo così … – il destino ha fortunatamente demolito. Il ritorno alla normalità in un mondo sempre più difficile, è certamente più complicato di quel che sembra semplice a parole, ecco che servono i personaggi positivi – come Albanese e i colleghi Maturi Baskettari – non solo per un senso di riconoscenza imperante , ma per cancellare la sfrontata ipocrisia della stagione del basket, capace di promuovere modesti bancari e sindacalistucoli che non c’entrano con lo sport a vette impensabili, al cui confronto sfigura persino il personaggio grottesco di Gogol, scrittore russo. Si tratta del famoso Naso, sì colui che presiede all’olfatto, talmente tronfio del suo potere , da sfilare per le strade su un lussuoso cocchio per farsi ammirare credendo di essere il migliore!
Per gli ipocriti, i dissimulatori, e magari anche gli ignavi, adesso la punizione prevista da Dante nel XXIII Canto dell’Inferno: “Le cappe rance/ son di piombo sì grosse, che li pesi/fan così cigolar le loro bilance”. Tradotto: per la legge del contrappasso, gli ipocriti dannati nella sesta bolgia, son costretti a espiare i peccati strisciando sotto cappe pesantissime di piombo ricoperte d’oro con uno stridore grave che spacca i timpani e picchia sulla mente. Quanti si sono nascosti, hanno accettato quello che stava succedendo per convenienza o paura di ritorsioni?
Per completare il regalo di compleanno, vado a cercare nelle mie letture sugli angeli (Haziel, I Poteri dell’Angelo Custode) per riferire a Stefano i doni che il suo HAHAIAH (16-maggio, n. 12) gli elargisce: Amore: possiedono una grande bellezza interiore ed esteriore…l’armonia li circonda… Denaro: generosità munificenza, lusso e grazie alla loro bontà… salute: …bellezza luminosa della loro pelle, del loro viso e delle loro mani…Lavoro: riuscita di tutto ciò che contribuisce a dare alle persone un aspetto gradevole…Iniziazione esoterica: riceveranno messaggi durante sogni, in visioni. . portatori di un mistero difficilmente comprensibile. . e dovranno evitare di rinchiudersi nella solitudine…
Naturalmente Haziel, pseudonimo dell’illuminato teologo spagnolo dentro la Chiesa e non fuori, parla per metafora, penso tuttavia che abbia indicato doni ben visibili che hanno contribuito a fare del “Supremo Aiace” un signore del campo, dello spogliatoio, e capace di collezionare con una pazienza certosina del tutto inaspettata foto, articoli documenti, amici, che raccontano la bella storia del basket italiana. E che trasferisce giornalmente con le sue impressioni sui social forum legando i ricordi al presente e anche il proprio contesto. Diciamo che è un attento e moderno osservatore del costume che non indulge al rimpianto o sparisce, come spesso fanno i campioni passato.
encampana@alice. it