Oggi lo sport è un vero e proprio settore economico – come rileva Speroni ([1]) – essendosi trasformato da semplice intrattenimento a “business del tempo libero”. Ciò è dimostrato dall’incidenza del settore nell’economia nazionale misurabile in termine di fatturato, valore aggiunto, numero di addetti, come qualsiasi altro comparto industriale.
Pur potendo generare interessanti flussi finanziari, e nonostante che la pallacanestro sia il secondo sport per incassi, non suscita un interesse conseguente da parte degli esperti finanziari e sono pochi gli studi economici realizzati.
In Italia il calcio monopolizza gli introiti derivanti da attività sportive, grazie anche alla passione storica di un’intera nazione, per cui la nostra situazione è molto differente rispetto a quella di Grecia (dove il basket è lo sport nazionale), Spagna, Turchia (idem come la Grecia) e Russia. I proventi per la vendita dei diritti audiovisivi; la capienza degli stadi; i bacini di utenza e la diffusione capillare sono solo alcune delle ragioni che fanno dell’industria-calcio una delle più rilevanti del nostro Paese.
Non potendo incidere positivamente sulle entrate (la c.d. “legge Bosman”, annullando di fatto il valore dei cartellini, ha depauperato le casse delle società), con una legislazione fiscale penalizzante rispetto, ad esempio alla Spagna, si ricorre al taglio dei costi al fine di raggiungere l’equilibrio.
Sul fronte delle entrate, a differenza del calcio, il basket di serie A non può contare su consistenti introiti derivanti dalla cessione dei diritti audiovisivi anzi, ultimamente, drasticamente impoveriti, dopo il boom degli anni Novanta. Basti pensare che, mediamente, dalla vendita dei diritti, una società di A incassa circa 40.000€ che non bastano nemmeno per ingaggiare uno straniero mediocre. Nessuna società di basket è ancora quotata in borsa (nonostante i proclami di Boccio…) e la vendita dei biglietti copre, mediamente, a malapena, il 25% dei costi di gestione di un club che partecipa al massimo campionato. In Italia appare, inoltre, problematico adottare il salary cap come nella N.B.A.
Dai dati ufficiali dell’ultima stagione della Serie A Beko ([2]), si rileva che le 274 gare (tra regular season e playoff) disputate dalle sedici società di A hanno fatto registrare 1.112.314 spettatori, con 11.934.098 di euro di incasso. Rispetto alla stagione 2012-13 è stato registrato un aumento del 3.8% del pubblico, con una media di 4.060 spettatori a partita (a fronte dei 3.911 dell’anno precedente), e un proporzionale incremento degli incassi del 2.9% (43.555 euro per gara a fronte dei 42.319 euro dell’anno precedente).
I campioni dell’EA7 Milano hanno fatto registrare la maggiore affluenza con 8.531 spettatori di media, potendo sfruttare la capienza del Forum di Assago (13.200 posti a sedere). Alle spalle di Milano, la Granarolo Bologna con 5.727. Dietro di loro, oltre quota 4.000 solo Banco di Sardegna Sassari (4.644), Montepaschi Siena (4.285), Cimberio Varese (4.112) e Pasta Reggia Caserta (4.000).
Nella stagione in corso (2014/15) il basket italiano sta vivendo un momento importante e, per certi versi cruciale ([3]). Arrivato a toccare il fondo, il movimento cerca segnali positivi e nuove idee alle quali aggrapparsi.
I dati delle campagne abbonamenti sono condizionati da vari aspetti: in primis la vetustà e scomodità degli impianti, poi ovviamente l’andamento dei risultati sportivi. Ciò non impedisce che in alcune realtà, come Reggio Emilia, si arrivi al sold out con 3.410 posti, tutti venduti in abbonamento.
Lo sviluppo del basket italiano di vertice è parzialmente limitato, oltre che dalla situazione economica del Paese, dalla ridotta capienza dei palazzetti, come nel caso di Reggio Emilia, Brindisi Venezia, Capo d’Orlando, Cremona e, in parte, anche Sassari.
Alcune piazze storiche mantengono il loro zoccolo duro di abbonati (Cantù e Pesaro hanno sempre più di 3.000 abbonati, mentre Pistoia ha capitalizzato gli ottimi risultati del campionato scorso andandoci molto vicina). A Varese ha indubbiamente pesato il benefico effetto-Pozzecco, traino per (ri)portare il grande pubblico a Masnago. A Trento, infine, gli oltre 1.600 abbonati sono un dato interessante per una piazza che si affaccia alla serie A per la prima volta (in un impianto bello e funzionale) e che sta vivendo subito una grandissima stagione. Ci sono poi “piazze” dove si vive un periodo di appannamento (si spera temporaneo) come Avellino, Bologna e Caserta.
I dati relativi alla serie A non sono, ovviamente, comparabili con quelli di Eurolega e N.B.A. che hanno maggiori dimensioni economiche e potenzialità dei bacini di utenza.
Tra proventi per la cessione dei diritti audiovisivi e incassi per la vendita dei biglietti delle partite, nella stagione 2013/14, l’Eurolega ha fatturato ben 375 milioni di euro, con un volume d’affari complessivo quasi doppio rispetto a quello dell’Europa League del calcio, il cui giro d’affari è stato di poco superiore ai 200 milioni di euro.
Nel dettaglio, il fatturato diretto di Euroleague Basketball è di circa 28 milioni di euro. La fetta più grossa di questi ricavi proviene dalla cessione dei diritti televisivi che, da sola, vale il 61% dell’intero fatturato. La maggior parte di queste entrate è garantita dai mercati cestistici economicamente più consistenti: Grecia, Spagna, Israele, Turchia e Russia. I dati sull’affluenza del pubblico hanno fatto registrare una presenza media di circa 7.000 spettatori a partita nelle sfide della fase a gironi e di oltre 9.000 spettatori nelle Top 16 ([4]).
Al riguardo è stato sottolineato il ruolo del merchandising e la tutela che gli ordinamenti giuridici accordano a quei segni ex se capaci di racchiudere un valore per il pubblico in termini di attrattività, ciò che viene definito “capitale simbolico” ([5]), in grado di conferire maggior pregio al prodotto-spettacolo, come i loghi delle squadre e delle competizioni, come quello, nel caso del basket europeo, della Euroleague.
Negli USA la N.B.A., pur essendo seconda alle spalle della N.F.L. del football americano, incasserà, per la cessione dei broadcasting rights, 24 miliardi di dollari per nove anni, a partire dal campionato 2016/17, con una media di 2,6 miliardi di dollari a stagione (circa 2 miliardi di euro), triplicando dunque il valore economico dell’accordo attuale. Il nuovo contratto impatterà anche sugli ingaggi dei giocatori, in particolare delle “stelle”: un esempio è Carmelo Anthony, il cui nuovo ingaggio, per i prossimi cinque anni, sarà di oltre 124 milioni di dollari ([6]).
In Italia, il raffronto tra calcio e basket riferito alla stagione sportiva 2012/2013 è, ovviamente, a netto favore del primo in termini di spettatori paganti medi, ma soprattutto come numero di spettatori paganti.
Gli spettatori paganti medi, riferiti ai campionati di pallacanestro di Serie A e Lega Gold, sono stati 3.000- nella stagione 2012/2013 – con una media di 4.000 in Serie A e soli 2.000 in Gold ([7]).
Nel calcio invece, considerate serie A e B, la media è stata di 14.800 spettatori, 24.700 in serie A e 4.900 in B ([8]). Pertanto, dai dati rilevati, gli spettatori paganti medi della pallacanestro sono stati il 20% di quelli del calcio.
Considerati gli stessi campionati la rilevazione relativa agli spettatori paganti totali delle 522 gare di basket (285 per la serie A più 237 per la Gold, regular season più playoff) sono stati 1.614.000 (1.140.000 per la A e 474.000 per l’ex Legadue). Nel dettaglio, alle 848 partite giocate nei massimi campionati di calcio (380 per la serie A più 468 per la serie B, stagione regolare per la serie A e B, più playoff della serie B) hanno assistito, complessivamente, 11.679.200 spettatori paganti (9.386.000 per la serie A più 2.293.200 per la serie B).
Dall’analisi comparativa di questi dati emerge che, nel 2012/13, gli spettatori paganti complessivi della pallacanestro sono stati il 14% degli spettatori paganti, ma il calcio ha giocato 326 gare in più.
E’ stato inoltre rilevato che la percentuale di riempimento degli impianti sportivi utilizzati è, mediamente, del 77% per il basket con punte del 90% per sei delle sedici squadre della Serie A Beko, mentre relativamente al calcio la percentuale scende al 55% per la Serie A e 33% per la B, in ragione della maggiore recettività degli stadi.
(to be continued)
[1] SPERONI C., Il business del tempo libero nello sport, Rivista Lombardia Nord Ovest, C.C.I.A.A. Varese n. 3/2000, anno LXIII, settembre-dicembre 2000. [2] Dati LEGABASKET, 7 luglio 2014. [3] PEDICONI A., Abbonamenti in crescita, ma la serie A resta spettacolo per pochi. http://www.sportxpress.it, 20 novembre 2014. [4] BELLINAZZO M. e GIARDINA B., L’Eurolega di basket vale 375 milioni, Il Sole 24 Ore, 14 maggio 2014. [5] E. LOFFREDO, L’impresa di spettacoli, anche sportivi, in AIDA (Annali italiani del diritto d‘autore, della cultura e dello spettacolo, 2007. [6] BELLINAZZO M., Il “modello” Nba: il nuovo accordo sui diritti tv, Il Sole 24 Ore, 7 ottobre 2014. [7] Fonte S.I.A.E. [8] Fonte Lega Calcio serie A e B.