In questi giorni alcuni signori dello sport vogliono una Tv privata, e ci mettono un pacco di soldi pubblici alla faccia della Corte dei Conti, come se la televisione risolvesse i problemi e le disfunzioni acclarate e sotto gli occhi di tutti.
Le Tv non sono la scatola magica, devono essere gestite da persone e se magari prendi, faccio un nome, un professionista capace, come Freccero (ma ne potrei indicare altri 4-5 perché ci ho lavorato con le Tv) è sicuro che diventerà al di là dell’argomento – sport come cultura o lavoro -uno strumento sociale. Ma se vai all’avventura come qualche “amico mio” non so se il valore dell’investimento sarà ripagato e se fino a quando il Governo e la Corte dei Conti ignoreranno lo sperpero.
Bisogna riparare i guasti e dimenticare in fretta la tristezza della Mens Sana Siena, un’azienda che produceva canestri, vittorie su vittorie sull’italico suolo e meno in terra straniera, che aveva alle spalle la premiata ditta F&F “fatture false” (e per prestazioni inesistenti!). Tale ce l’hanno presentata per le spicce la Gdf, dopo la brillante azione, definendola un’ “Organizzazione Criminale” – e soffermandosi solo su 7 anni di attività…. Per cui a chi ama conoscere la storia del nostro sport e del paese, consiglio di accendere lunedì e martedì l’amatissima Tv di Stato e non quei “canaletti” presuntuosi e velleitari per capire cosa è stata l’Ignis Varese, la creatura prediletta di Giovanni Borghi. Il quale ha dato credibilità allo sport e alla sua funzione sociale e anche al marketing vero, non quello virtuale di cifre inventate, investendo parte dei proventi di un’azienda innovativa su scala mondiale che oggi opera sempre a Comerio, la cittadina che si affaccia sul lago di Varese dove era il suo impero, passato in mani straniere, che occupava più di 10 mila dipendenti.
Nel basket ebbe alcuni benemeriti imitatori, come il cavalier Giovanni Maggiò da Pisogne, detto “il Borghi del sud “capace in soli 104 giorni, lavorando anche di notto con le fotoelettriche, il Palazzetto di Pian delle Noci dove gli scugnizzi casertani hanno vinto il primo e unico scudetto sudista.
Con Agnelli (e Olivetti) colui che come intercalare spesso usava l’espressione “s’el custa?” o “el comenda”, un titolo che oggi molti portano senza onore, è stato personaggio iconico dell’Italia del boom economico. Lasciamo stare la storia dei “miracoli”, perché in questi giorni mi è capitato per caso di leggere questo vocabolo tanto fuori posto nell’agiografia stomachevole che sosteneva il gruppo di Siena agli arresti.
Era fiorita pure una leggenda popolare di gelosia fra Borghi e Agnelli, per la quale l’ex giovanotto milanese sfollato da un quartiere povero, l’Isola, dove è cresciuto anche Berlusconi( il quale ne ha scritto come del suo mito), senza la conoscenza del latino non volendo da essere da meno del re dell’auto e tanto disturbato da quel “Fiat voluntas tua” ascoltato alla messa andò dal Papa a chiedere quando costava aggiungerci anche Ignis nella funzione religiosa. In realtà Borghi conosceva perfettamente il significato, perché chiamò la sua azienda Ignis che in latino significa fuoco e lui, come Prometeo, rubò il fuoco agli dei americani per darlo al popolo italiano e non solo, come ho scritto in un racconto per i 90 anni del basket italiano, giusto per esaudire un desiderio di Meneghin che lo voleva per il suo libro ma ancor più per ricordare questa straordinaria persona. E anche per gratitudine, perché mi raccontarono fosse intervenuto a salvarmi la ghirba (posto di lavoro) quando diciannovenne, ai primi mesi alla Gazzetta dello Sport, dopo un mio articolo che fece infuriare un presidente importante, costui chiamò il direttore Zanetti chiedendo la mia testa. Mi assicurarono, infatti, che saputolo Borghi chiamò il direttore della rosea avvertendolo, se mai fosse successo, che avrebbe comperato il giornale e l’avrebbe cacciato. Spero solo sia una favola metropolitana, in ogni caso grazie a lui e grazie anche allo stesso presidente che, in seguito, mi disse di aver apprezzato l’onestà intellettuale e la coerenza del sottoscritto.
Il basket senza l’immaginazione di Bongoncelli e Borghi non sarebbe stato il primo sport a inventare la sponsorizzazione, anche se poi gli epigoni, specie quelli “tardi”, hanno distorto questo concetto quando, con la sciagurata Legge Mammì, lo Stato ha sancito la defiscalizzazione dell’investimento per lo sport. Era una scappatoia per surrogare alla mancanza di una politica per lo sport, per controllare le imprese, ed è stato invece il momento in cui sono nati i matrimoni di interesse, per. . Procura. Quello delle fatture false, di quelle per prestazioni inesistenti, e delle “indeterminate evasioni fiscali” di cui si è molto letto in questi giorni.
Borghi e la sua famiglia, che mi onoro di aver conosciuto e frequentato, hanno portato un valore sociale al paese. Andando oltre il “nazionalismo” di Mussolini che comunque allo sport ha fatto bene partorendo almeno un orgoglio nazionale considerando lo sport benefico e vitale per il fisico e le menti.
In America, nella famosa università di Harvard, si insegna ancora, quando si studia la sponsorizzazione, la lezione di marketing di Mister Ignis che con questo suo marchio portò Varese allo scudetto e a una serie di vittorie “brucianti”. In Europa, nel periodo d’oro la Città Giardino battè addirittura i sovietici, il Real Madrid con 10 finali di Coppa dei Campioni consecutive di cui 5 vinte e anche il Mondiale di club e la stella degli scudetti più tutto il resto, inventando anche una seconda squadra vincente a Napoli. Che teoricamente poteva fare concorrenza a quella madre, mica come negli ultimi anni che bisognava annientare gli avversari, soggiogarli, come nemmeno si sarebbero comportati i marziani arrivando in terra. E non parlo poi della libera opinione, della stampa, ammessa a leccare la punta degli stivali o esiliata. E poi vai a leggere che un presuntuoso signore di cui non si è mai saputo la storia, che non conosceva nemmenolo sport sulle figurine, è accusato di aver inventato un “sistema criminale” e ti chiedi, come tutto questo sia stato possibile e gli organi di vigilanza fingessero di non sapere.
Ben venga quindi la fiction che Rai1 trasmetterà lunedì 12 e martedì 13 maggio in prima serata. Mi dicono che sia stata voluta dal Senatur (Umberto Bossi) anche se Borghi considerava i politici dei fannulloni e le banche un flagello, pur avendo fra le sue amicizie un certo Francisco Franco, il generalissimo, come ho scritto nel mio racconto, che l’invitava all’Escorial fuori dall’ufficialità. Senza dare giudizi politici, perché non sono in grado, mi sembra di capire che – se non sbaglio – la differenza fra due popoli cugini che amano la vita sia che uno non ha avuto le Brigate Rosse e quell’altro sì..
Borghi ci ricorda quando l’Italia aveva una marcia in più, non aveva bisogno di respirare col boccaglio dell’ossigeno della comunità europea e il ghigno cinico dei tedeschi, e le parole più frequenti e dolci erano “occupazione”, “benessere”, “miglioramento sociale” e non truffa, falso in bilancio, corruzione, concussione, disoccupazione, cassa integrazione, fallimento, disagio giovanile C’era la politica del fare e non quella dei proclami, della spartizione delle poltrone, degli arresti eccellenti, delle tangenti, della Tv strillata e di un conflitto sociale che associo al pensiero di un grande filosofo della prima democrazia di questa terra, quella greca: “Quando i politici litigano, il popolo piange”.
Lo sport, per lui, era un soffio vitale, era l’armonia del ciclo generazionale spezzato oggi per mancanza di lavoro, il ricambio d’aria e di sangue. E una competizione vincente che aveva come scenario la purezza di “due atleti ignudi avanti la gara”, come diceva un poeta inglese per descrivere la contesa senza contaminazioni.
Sono contento che il ruolo di protagonista sia affidato a Lorenzo Flaherty, un bravo attore e una persona molto positiva che ho ammirato in “Ballando sotto le Stelle”, l’’unico programma che vedo qualche volta perché ci vanno molti campioni dello sport e gli attori non recitano, ma gareggiano. C’è anche Anna Valle. La regia è di Luciano Mannuzzi, il produttore è Renzo Martinelli che ha pescato spesso nella storia del nostro paese, e non solo contemporanea.
“E’ la storia di un genio che voleva portare il benessere nelle case delle famiglie italiane dopo la devastazione della guerra. Un benessere fatto di fornelli a gas, di frigoriferi, di lavatrici e forse in un momento in cui l’imprenditoria italiana ha perso i punti di riferimento questa fiction può rappresentare un messaggio di fiducia nel lavoro e la speranza per i nostri figli”. Nelle sue parole il bravo Flaherty ha dimenticato però anche lo sport, perché con Borghi sono stati grandi anche calcio, canottaggio, ciclismo, pugilato e naturalmente il basket. E molti campioni, come Vinicio Nesti capitano della Ignis del primo scudetto, scomparso recentemente, lavoravano nei suoi stabilimenti. O durante la carriera ma anche dopo, e chi studiava viveva invece nel collegio dei preti.
In questi giorni ho letto alcuni articoli su “Mister Ignis” che oggi avrebbe 103 anni ed è nato curiosamente nello stesso anno dell’invenzione del frigorifero, il 1910. Vero che da giovane aveva la passione per la musica e suonava il pianoforte in un cinema, vero da “comenda” girava in bici fra gli stabilimenti. Vero che era un inventore più che un imprenditore, che amava la famiglia, che aveva un cuore generoso, amava le persone semplici e coerenti, il senso del lavoro. e dava del pirla a chi gli parlava con affettazione.
Peccato che nessuno abbia ricordato che “rubò” l’idea, andando in America, per l’applicazione di quella schiuma solida miracolosa che raffreddava il frigorifero alimentato dalla corrente. Questa la scintilla che riuscì a fare dell’Ignis il primo colosso mondiale dell’elettrodomestico, con 90 marche in 102 paesi, battendo sul loro terreno gli americani. Per questo mi è sempre apparso, anche per quelle ciglia simili a due cespugli neri, un Novello Prometeo. La divinità che rubò il fuoco agli dei per darlo al Popolo. Non ci sarebbe stato senza di lui un grande basket, anche la prima sponsorizzazione di Siena è avvenuta perché nella città del Palio aveva aperto uno stabilimento che dava lavoro, la gente aveva il posto sicuro e andava a fronte alta. Molti anni dopo vediamo che non è stata più la stessa cosa. Almeno nel basket. Che, leggo ancora, vorrebbe affidare il rilancio di Firenze al figlio Guido Borghi un vero e appassionato sportman e fa il produttore cinematografico fra Los Angeles e l’Italia, e al padre – pochi sanno – ha dato non pochi consigli vincenti nel basket e nel calcio quando Bettega andando alla Juve copiò il modello organizzativo dei Borghi. Speriamo, se Firenze ci tiene sul serio dopo ben quattro retrocessioni, l’ultima anche con un l’aiuto del sindaco Renzi, che gli chieda un progetto e non solo di metter mano al portafogli.
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