Essere o non essere, scrivere di fatti miei, mie emozioni e sensazioni o fare quello che sa di qualche argomento. Siamo sempre lì, il dubbio è tra l’esternare emozioni, come se il web fosse un divano gigantesco seguito da miliardi di psicoanalisti, o il raccontare fatti esposti in modo “tranchant”, come se tutto fosse una certezza e in ogni singola cosa non ci fossero diverse chiavi d’interpretazione. A volte le cose sono collegate: passi una giornata in cui affronti le diverse problematiche che ti si pongono, a volte le risolvi e in altre ti ci incarti, ma comunque lo fai convinto di averlo fatto nel migliore dei modi. Questo ti dà soddisfazione e non accumuli stress. Poi ci sono sfumature, emozioni nel quale ti ci perdi e ….il basket visto di persona o in tv comprende e racconta tutto ciò.
I playoff sono la quintessenza dell’emozione vissuta e raccontata: paradossalmente per me sono più facili dei tatticismi di una partita di stagione regolare sia da vedere che da raccontare. Chi fa il mio mestiere deve conoscere il proprio dovere, che è quello di trasmettere il più possibile i fatti, la storia e sopratutto le emozioni del campo. Nei playoff le partite traboccano di tutto ciò, con una crescita esponenziale di emozioni man mano che il cronometro va avanti, che l’orologio mangia, divora i secondi che separano dal risultato finale dove si scioglieranno le emozioni, dove l’agonismo diventerà gioia o si scioglierà nella frustrazione di essere arrivati ad un passo dal risultato finale scappato via. Poi i playoff sono un tour de force per tutti, anche per noi che lo raccontiamo in tv.
Un tempo, quando la crisi non mordeva i talloni come un border collie con le pecore, c’era un’escalation di mezzi man mano che le partite diventavano più importanti, che ci si avvicinava alla finale. Più telecamere e replay, più giornalisti, più mezzi e scalette in cui servizi, clip e grafiche facevano bella mostra di sè. Adesso che i budget sono più “attenti” (eufemismo…), dobbiamo essere bravi a raccontare con i mezzi a disposizione, cercando di inventarci o reinterpretare idee nuove o altrui a modo nostro. Un esempio? L’audio originale dei coach, originariamente “wired” visto in Nba. Un’acqua calda la cui scoperta è apparentemente semplice. In realtà ci sono molti ingredienti : gli allenatori disponibili ad essere microfonati, chi sceglie cosa mandare in onda del loro audio ( ovviamente registrato, la diretta è pericolosissima e altrettanto da evitare), il lavoro per integrare insieme immagini e audio mentre si gioca la partita… E poi alcune chicche, come i quintetti consegnati e detti al tavolo dieci minuti prima dalla palla a due e graficati quasi in tempo reale. Insomma, all’italiana; compensando con la fantasia e l’iniziativa quello che non c’è. E anche questo è basket… In tv!