Chiuso il primo quarto con… FRANCESCO PICCOLO: il 2014 e il ruolo della scrittura siamo pronti per la rimessa a centrocampo per giocare il SECONDO QUARTO: «IL DESIDERIO DI ESSERE COME TUTTI»
Nel tuo libro vincitore del Premio Strega 2014 ti dichiari apertamente ed orgogliosamente comunista. Partiamo dall’uovo, dal nucleo banale della questione. Che cos’è per te il comunismo?
«Il comunismo è quello che ad un certo punto scrivo nel libro in maniera molto semplice e che parte anche da quel goal che racconto e che mi fa diventare comunista, cioè l’idea che una società che mi piacerebbe è una società in cui tutti hanno un punto di partenza uguale. Poi ognuno si esprime con la forza che ha, nei modi che ha e con le potenzialità che ha, però il punto di partenza deve essere uguale. Questa nella sostanza è l’idea di comunismo democratico che ho sempre avuto in mente».
Ha ancora senso oggi parlare di comunismo?
«No, ovviamente non ha più senso parlare di comunismo, la parola comunista si è trasformata in “uno di sinistra”, ma nella sostanza rispetto a quello che dico non è cambiato molto».
Cosa pensi di Renzi e come lo inquadri nella tua idea di comunismo?
«Ne ho un’idea abbastanza positiva, mi sembra che sia uno vivo ed è uno che tenta di cambiare concretamente le cose. Diciamo che ho un pregiudizio positivo, ma non un giudizio positivo, perché bisognerà vedere cosa farà effettivamente».
C’è un tema che ricorre in più punti e in differenti contesti nel tuo romanzo: l’interazione pubblico privato, sia a livello tuo personale – nell’analizzare il rapporto tra il te individuo e il te cittadino/facente parte di una comunità – sia a livello di episodi che hanno segnato la vita politica del paese – la lettera di Moro a Cossiga che da atto privato diventa pubblica, la battuta di Berlusconi a sfondo sessuale alla Reggia di Caserta, Sophia Loren –. Secondo te è più complesso da persona “comune” partecipare alla vita politica senza conoscerne le logiche o i retroscena o da persona pubblica il viceversa?
«Guarda, secondo me i retroscena sono in realtà pericolosi, perché distorcono la realtà. Quando a “Striscia la Notizia” fanno vedere uno che, mentre non era collegato, dice delle cose terribili su un altro… quelle sono cose che non esistono, perché anche io un giorno posso dire a un mio amico delle cose terribili su mia sorella, ma non è la questione fondamentale del rapporto tra me e mia sorella, che invece si basa su tutt’altro. Questi sfoghi sono non soltanto privati, ma anche un po’ terra terra, quindi la dimensione del retroscena non è così importante. Una persona può affidarsi a quello che vede o comunque deve affidarsi a quello che vede come prima istanza, poi se quello che vede non è sufficiente passa ad un secondo livello, ma non bisogna pensare sempre che c’è un retroscena».
Riconoscerai che la levatura umana e professionale dei politici di oggi è un po’ più bassa rispetto ai grandi statisti del passato. C’è una tendenza sempre più spinta, soprattutto nelle generazioni più giovani, ad un’applicazione distorta della proprietà transitiva per cui si passa da “i politici non valgono un granché” a “la politica non vale un granché”, e questo genera un crescente disimpegno politico. Come si può recuperare questa deriva?
«La differenza tra i politici di ieri e i politici di oggi è che i politici di ieri erano dei politici di professione, mentre quelli di oggi no, perché oggi si crede che essere politici di professione sia un male, un cancro della società…».
E’ una cosa che dico sempre anche io, che ci vorrebbe una scuola anche per fare politica…
«Ma infatti prima c’erano le scuole per fare politica… è come se uno dicesse improvvisamente che l’università per fare medicina non serve, che uno ad un certo punto se ha una certa statura morale può mettersi ad operare. Secondo me non è così, quindi la differenza di qualità credo dipenda da quello».
E come si può uscire secondo te da questo disamore della gente per la politica?
«C’è un’idea della politica che è una deriva e secondo me bisogna ricostruirla. Per esempio, le ultime elezioni europee, quelle in cui l’Italia ha votato tanto per il PD, non era soltanto o tanto un voto al PD, ma era un voto ad un’idea politica costruttiva. Forse da questo punto si può cominciare a risalire».
L’altro spunto che mi ha fatto riflettere è quello legato all’influenza della rete e dei social network sulle scelte individuali. Quando cerchi una cosa, la rete memorizza questa tua ricerca e ti mostra poi sempre quel tipo di cosa, come se non ci fosse altro. La rete, tu dici, finisce per rendere i desideri delle persone una specie di gabbia, chiudendo di fatto la mente. Considerando l’influenza sempre più importante che i social e il web hanno nella nostra vita, quali sono le lime per evadere da questa gabbia?
«La lima per evadere da questa gabbia è riuscire a conservare l’idea che quello che non ti piace a gennaio potrebbe poi piacerti a luglio. Devi comunque essere curioso e capire se ha un’evoluzione, perché è molto riposante chiudersi in questa gabbia, però secondo me la coscienza che questa sia una gabbia è già una risposta alla rete e forse la rete risponderà a questa cosa…».
Ma tu pensi che davvero ci sia tanta coscienza di questa gabbia?
«Non ce n’è tanta, ma comincia ad esserci. Il fastidio per questa risposta positiva ai tuoi piaceri comincia ad esserci. Perché all’inizio sembra molto bello, io adoro le scarpe viola e mi propongono tutta roba viola. Bello. Ma poi cominci a pensare “ma a me piace veramente solo il viola?”. Quando comincia questo stato di coscienza la cosa cambia».
Nel tuo libro c’è uno sdoganamento ufficiale e convinto della superficialità. La realtà è che la superficialità di cui tu parli nel libro sarebbe meglio definibile come leggerezza, capacità di sdrammatizzare. Perché hai voluto usare un termine che normalmente ha un’accezione così negativa?
«Ho voluto utilizzare questo termine proprio perché di solito ha un’accezione negativa, mentre invece secondo me la leggerezza ha un’accezione positiva, soprattutto in ambito letterario. La superficialità invece è considerata negativa e secondo me il libro va un po’ contro questi conformismi. Per questo ho spinto verso questa parola. Io penso che anche la superficialità ha diritto di esistere quanto la profondità e lo racconto anche attraverso l’episodio dell’uomo primitivo che usciva e rischiava la vita per procurarsi cibo, ma anche per cercare i coralli per le collane. Evidentemente la superficialità è nata con noi e non capisco perché debba essere demonizzata».
Ma una persona che non nasce superficiale riesce a farsi contagiare?
«Secondo me non c’è chi non nasce superficiale, credo che in ognuno ci siano degli ingredienti diversi».
Allora parliamo magari della tendenza a sdrammatizzare. Chi ce l’ha vive certamente meglio…
«Beh, quella sì. Quella se non ce l’hai non la recuperi».
to be continued… (Nel terzo quarto Lo sport e il basket)