Si chiude mestamente la stagione virtussina, tra il rimpianto dei tanti punti lasciati banalmente per strada e la feroce disillusione per un progetto di rilancio più lento e complesso di quanto si pensasse.
A novembre 2017 scrivemmo, proprio su queste pagine, di una squadra incompleta ed apparentemente assemblata senza particolare criterio che, però, si sentiva già grande e pretendeva di essere protagonista per un non meglio identificato diritto divino. Probabilmente tutto questo nasceva sull’onda dell’entusiasmo di una promozione in grande stile e non preventivata, unita ad un nuovo corso societario “danaroso” e ad una campagna acquisti costellata più di grandi nomi che non di progetti tecnici. Come giusto che fosse, rimandammo, tuttavia, un giudizio definitivo a bocce ferme, perché nel basket come nella vita, i conti si fanno alla fine. Ecco la fine e quindi anche i giudizi.
Partendo dal lato “negativo”, parliamo di mercato: la Virtus ha cercato nomi e ruoli, non caratteristiche tecniche. Se punti su Ale Gentile non dovrai farlo su Aradori o viceversa, almeno che il resto della squadra venga costruito per lavorare in uno e un solo modo in attacco, “gestendo” queste due figure. Il 4 mancante ad inizio anno è rimasto tale sino alla fine (non ce ne voglia il povero Wilson, venuto in gita per 2 settimane). Lo spot di playmaker è stato dato ad un giocatore con evidenti e palesati limiti in tal senso, mentre come 5 titolare è stato scelto (e lasciato solo) un ex Real Madrid campione d’Europa si, ma che giocava 15′ a partita come cambio del titolare e non doveva essere il perno unico di tutta la squadra sotto le plance.
Con queste premesse si ridimensiona già l’aura di “grande squadra” che qualcuno palesava, ma il colpo di grazia arriva poi dalla panchina. Nessun miglioramento tecnico in corso d’opera, anzi, quel minimo di gioco fatto vedere nelle prime partite (solitamente sprecato da finali fantascientifici) si è perso ed i tiratori non hanno mai potuto prendere tiri con un metro di spazio grazie alla circolazione di palla. Attacco confusionario, senza schemi precisi e sicuri, conseguente rientro difensivo spesso mal accoppiato e rotazioni corte: ecco la ricetta di un mezzo fallimento. Perché, al netto della grande sfortuna con i tanti infortuni subiti e parlando comunque di una stagione vissuta per buona parte nella metà alta della classifica, con 4.5 mln di euro come budget il nono posto non può considerarsi accettabile.
Passando ai (pochi) lati positivi si deve pensare alle prestazioni di Aradori, Baldi Rossi (al rientro da un anno di inattività), alla grinta di capitan Ndoja (ma un po’ di tutti i ragazzi), a Pajola che ha sorpreso nonostante i pochissimi minuti giocati per buona parte del campionato ed infine all’effetto PalaDozza. Abbonamenti polverizzati sin da subito, palazzo sempre pieno e “caldo”, veri esodi anche quando, come a Firenze, il destino sembrava già scritto in partenza.
Insomma tanto lavoro da fare ma anche una base interessante, seppur risicata, da cui partire per la prossima stagione. Se è vero che si impara dagli errori, la società bianconera studierà molto questa estate.