La U è volutamente maiuscola, in quanto ritengo che giocatori dalle sue caratteristiche faranno sempre le fortune di qualsiasi club. Simbolo di grinta e determinazione, tosto in difesa ed al contempo più che discreto in fase realizzativa. Da un paesino della cintura torinese chiamato Castellamonte, alla conquista delle vette cestistiche. Mestre, Trieste, Fortitudo le tappe principali di una carriera che lo ha visto recitare un ruolo da protagonista anche a Cantù ed in quella Virtus Bologna impegnata nella faticosa rincorsa a riappropriarsi del proprio blasone. Sfiorati i 500 gettoni in A, il palmares formato “soltanto” dallo scudetto Fortitudino del 2000 e dalla supercoppa vinta sempre con la EFFE scudata due anni prima, non gli rende giustizia.

Inizia a farsi strada giovanissimo, in quella Mestre fucina di talenti. Cosa ricorda di quegli anni?

«Per un ragazzo alle prime armi, crescere in un ambiente sano è una fortuna. Sono entrato in società da ragazzino e andai via da uomo. Ebbi la fortuna di vivere anni caratterizzati da grande fervore, nei quali la saldatura tra città e squadra era solidissima. In quel periodo la figura del mitico Pieraldo Celada, sensazionale scopritore e valorizzatore di talenti si stagliava su tutti. Basti pensare che in questo club militarono in diverse fasi il grandissimo Davide Ancilotto, Andrea Forti, Stefano Teso, Claudio Coldebella. Qui ho assaggiato il basket che conta. La A2 era un campionato competitivo e duro. Pensa che nel raggio di pochi chilometri affrontavamo derbies molto sentiti, con Treviso e Venezia» (a cura di Gerardo De Biasio). Continua a leggere su Basket Story #37 


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