Stefano Sardara, 48enne imprenditore ed assicuratore, è il timoniere della Dinamo Sassari dal luglio del 2011, dopo l’addio della famiglia Mele.
Ha condotto gli isolani dalla serie A2 allo scudetto in meno di quattro anni, bruciando le tappe rispetto ai programmi; ha riorganizzato la società e le ha dato un’invidiabile stabilità economica, dopo anni di tribolazioni nella serie inferiore. Il quadriennio sportivo passato è stato un crescendo rossiniano di successi per il Banco emblema della Sardegna sportiva che ha celebrato i suoi fasti nel PalaSerradimigni trasformato in un fortino quasi inespugnabile.
Dopo il tricolore – conquistato il 26 giugno scorso a Reggio Emilia in una storica ed entusiasmante finale scudetto (anche se la vittoria in gara 6, dopo tre supplementari, resta una delle gare con più pathos della storia del basket italiano) – è arrivata la rivoluzione estiva (via Dyson, Brooks, Sanders e Lawal) e, con essa, gli stop ripetuti culminati nella valanga di fischi dei tifosi al termine della debacle interna contro Trento, oltre all’en plein negativo di sconfitte nella fase a gironi dell’Eurolega.
La traumatica prima parte di stagione ha minato gli equilibri facendo riaffiorare problemi antichi ed è così arrivato l’addio a Meo Sacchetti, lo storico coach che, dopo aver portato in A Sassari nel 2010 ed aver colto il primo trofeo (la Coppa Italia 2014), nella scorsa stagione aveva messo a segno il triplete.
Il presidente Sardara però non ha tentennato e con dichiarazioni secche, ma pragmatiche, e dopo aver minacciato le dimissioni al termine della stagione, ha riportato l’ambiente con i piedi per terra, ha affidato la squadra a Calvani ed il Banco ha ripreso il gruppo di testa del campionato.
Recentemente sono scoppiate proteste dovute forse ad un carico di aspettative eccessivo, come nel caso vostro e in altre piazze…
«Ciò può essere legato anche al periodo sociale che viviamo: una volta si andava al palazzetto per svuotarsi la testa che ora è già piena e magari c’è già un bel po’ di nervosismo in generale. Qualsiasi tifoso di piazze come le nostre di provincia può analizzare gli impegni che le società hanno fatto in relazione ai risultati e non può non riconoscere gli sforzi profusi. L’ambiente deve essere consapevole degli sforzi che le società fanno ed essere allineato a quello che le piazze possono esprimere. Poi, nella concitazione (e noi per primi) si possono fare scelte poco razionali. Il dovere di una società è quello di richiamare (come ho fatto io) l’attenzione su questi temi, affinché la gente possa riflettere».
Ha dichiarato che i dirigenti devono usare la ragione per prendere decisioni, mentre i tifosi agiscono con il cuore, spesso non conoscendo le dinamiche interne alla società…
«Spesso, in questo periodo, ho usato la metafora del matrimonio e del divorzio. Intanto ciò che è dentro il rapporto non è giusto portarlo fuori, poi per poter capire bisogna comprendere le dinamiche, anche di anni, e nelle separazioni non c’è sempre e per forza un colpevole. Ci sono momenti in cui si hanno approcci, obiettivi, aspettative ed entusiasmi diversi. I tifosi vivono la parte emotiva legata all’addio di un giocatore o di un allenatore, come è accaduto a noi con Travis Diener ed ora con Meo; la capisco ed è giusto anche che venga esternata. Il tifoso però deve arrivare fino ad un certo punto ed altrettanto deve fare la società, poi bisogna fermarsi perché nessuno può arrivare oltre».
È possibile che l’aver raggiunto in anticipo l’obiettivo dello scudetto rispetto al progetto “Dinamo 2018” possa aver fatto perdere l’identità?
«Mi rendo conto che, talvolta, trasportare concetti economici ed aziendali in ambito sportivo crea disorientamento. L’obiettivo del Progetto (raggiungere la stabilità economica della Dinamo) va avanti a prescindere dai risultati sportivi e da quello che sarà il futuro sportivo della squadra. Come ho detto, se domani mattina esco di casa e una macchina mi tira sotto, l’azienda Dinamo Sassari ha ricavi per andare avanti tranquillamente fino al 2018 ed oltre. Il risultato sportivo è una conseguenza che può arrivare prima, dopo o anche non arrivare mai; ci sono società che hanno speso tanto e non hanno vinto niente. La conseguenza del raggiungimento di un obiettivo sportivo subito è che tutto l’ambiente (società, sponsor, tifosi) si trova a dover gestire il cambiamento. Quando vuoi raggiungere un obiettivo, vivi con quella ambizione, dopo averlo raggiunto devi però saper gestire il cambiamento. Ecco perché dobbiamo essere bravi ed io, anche in maniera forte, ho richiamato l’attenzione su questo aspetto che, se non adeguatamente valutato, potrebbe minare le basi del progetto stesso. Se viene meno il “fuoco” che ci ha portato a raggiungere questi risultati, potrebbe essere messa in discussione la nostra stessa esistenza».
Ci sono tante società che non hanno programmato e poi sono scomparse dal panorama cestistico nazionale; il primo obiettivo è dunque la stabilità economica?
«Esattamente, è proprio questo il tema. In questo momento la Dinamo attraversa una crisi post vittorie che tutte le società hanno vissuto e ciò è fisiologico, ma la società non ha problemi economici. La crisi sportiva, anche in futuro, potremo sempre averla in certe fasi in cui tutto l’ambiente si sente più bravo, dal presidente al tifoso, ma senza una solida programmazione alle spalle, anche dal punto di vista economico, ciò sarebbe devastante e potrebbe accadere ciò che è successo in tante realtà scomparse dal basket che conta».
E’ possibile che anche lei a giugno abbia deciso con il cuore e non con la ragione?
«Lo abbiamo detto: sia Meo che io abbiamo ragionato con il cuore e l’abbiamo fatto in buona fede, pensando che sarebbe stato possibile un ciclo più lungo. Errori di cuore se ne fanno tanti e non ho difficoltà ad ammetterli. Si, sicuramente siamo stati poco razionali».
Lei è anche il presidente della Sassari che ha istituito il “terzo tempo”, un’iniziativa originale e davvero molto bella…
«Si, peraltro ce l’hanno invidiata anche società importanti come il CSKA, il Real Madrid ed il Maccabi, oltre a tante italiane! E’ effettivamente una cosa bella che da la misura giusta a quello che deve essere lo sport».
Si discute della necessità che la Lega si doti di un commissioner…potrebbe essere uno dei candidati?
«No, assolutamente. Anche quando si è parlato di un mio impegno in Federazione ho detto no perché penso che uno debba fare una cosa e farla bene. Non avrei il tempo ed ammiro Nando Marino che è un grandissimo imprenditore, un grande presidente che sta lavorando benissimo all’interno della Lega. La Lega deve continuare ad essere sempre compatta e fattiva e l’impegno di tutti i club si vede. Anche nel caso dell’instant replay (per cui siamo stati massacrati per anni): recentemente ha risolto una gara importante, immaginiamo le polemiche se non ci fosse stato questo strumento…».
Le idee espresse da Sardara sono chiare, la progettualità è definita nei dettagli e non verrà certo intaccata da questo inizio di stagione traumatico. I contratti di sponsorizzazione in essere sono a lunga scadenza ed altri partner si stanno avvicinando alla galassia-Dinamo, mentre la promozione prosegue quotidianamente con varie iniziative ed incontri in ambito regionale.
La sensazione è che Sassari, con il suo timoniere in plancia, abbia messo le basi per iniziare un nuovo ciclo, vincendo il naturale appagamento dopo la trionfale stagione passata.