Il passaggio natalizio della NBA ha portato due avvenimenti rilevanti, secondo noi

Il primo viene dagli uffici del management dei Philadelphia 76ers, e si è immediatamente, felicemente tramutato in una W a Phoenix vs i Suns (la prima in trasferta, la seconda assoluta). I Sixers hanno acquisito dai New Orleans Pelicans la pg Ish Smith (14+5 nel sacco in Arizona). Avevamo messo, in sede di presentazione stagionale, questo giocatore tra i potenziali emergenti, pur essendo lui già 27enne ed avendo già una carriera NBA poco brillante alle spalle: lui non ci ha deluso e ogni volta che è stato impiegato ha dimostrato il proprio valore. E’ 20′ nella classifica degli assists con 5.7 di media, e dei primi 50 solo Schroeder (posizione 35) e Barea (49) hanno giocato meno minuti di lui (Ish ne ha 23.1 a gara); in altre parole, tra coloro che giocano meno di 24′ a gara, lui è il miglior assistman. Ciononostante, coach Gentry ha ritenuto Ish non degno di sopravanzare Norris Cole nelle gerarchie, dando modo al giocatore di entrare nella trade che lo ha fatto approdare a Philadelphia. Potete catalogare questo scambio come steal a vantaggio dei Sixers: è la prima mossa sensata del loro Office of Basketball Operations a partire dalla offseason precedente alla temporada 2013-14 e non crediamo sia un caso abbia avuto luogo poco dopo il commissariamento del GM Hinkie e dell’arrivo di Colangelo sr. Ora la cabina di regia dei 76ers è formata da due pg di alto livello, per quanto assai poco fortunate in carriera: Ish Smith e Kendall Marshall hanno un livello superiore di comprensione del gioco, e hanno l’occasione per dimostrare tutto il loro valore, perché i disastrosi Sixers sono tuttavia un campo adeguato per chi voglia dimostrare di valere più di quanto mostrato finora nell’Associazione. Isaiah Canaan può in questo modo venir utilizzato da guardia per sfruttarne al meglio il tiro da 3 (4/8 nella W a Phoenix). Il secondo avvenimento è insito nella replica della sfida delle scorse Finals, con la visita dei Cavs alla Oracle Arena il giorno di Natale. Cavs sconfitti, e oserei dire più nettamente di quanto dica il punteggio finale (89-83). La situazione che vorremmo mettere in evidenza nasce da uno scampolo di gioco: LBJ perde palla, e la sfera viene inseguita da Ian Clark (ve ne abbiamo parlato qualche settimana addietro: il MVP della SL del 2013, quello cresciuto nella poco invitante Germantown, Tennessee) mentre James faceva una cosa che era allo stesso tempo brillante e preoccupante. Brillante: LeBron sapeva che l’avversario era in vantaggio sulla palla e, soprattutto, che, anche se fosse riuscito a mantenere il possesso, mancavano meno di 3 secondi alla fine dell’orologio; di conseguenza, rallentava vistosamente, lasciava che il volenteroso Ian recuperasse il pallone e si buttasse verso canestro, solo per venire puntualmente, matematicamente stoppato dal ragazzone di inner Akron. Preoccupante: a circa 6 mesi di distanza dall’aver prodotto (PO e FInals 2015) uno sforzo fisico definito dai medici sportivi di ogni latitudine “mai testato”, a 4mesi di distanza dalla presentazione del suo sforzo (con dati registrati solamente attraverso i media) ad una conferenza medica in Malesia, a circa un mese dall’uscita della classifica che vede LBJ in testa di circa 900 minuti sul secondo (Kobe) per numero di minuti giocati allo spirare dei 30 anni, la stella dei Cavs pone sempre maggior enfasi (in campo e fuori, dichiarazioni sue come del suo entourage) sulla propria tenuta fisica, il dispendio a cui è “costretto”, gli anni che restano da giocare e di conseguenza i potenziali Titoli che restano da vincere. Questo pensiero costante all’usura è di certo anche dettato, conoscendo il soggetto, dall’annuncio del ritiro di Kobe: James non poteva lasciarsi scappare anche un’altra fetta di palcoscenico, dal momento che l’esplosione di Steph già gliene ha divorato una considerevole parte. Resta tuttavia la verità della Solitudine (lo scriviamo con iniziale maiuscola in modo da farla diventare la nuova parola-chiave, più di Legacy, nel mondo del campione dei Cavs) di James. Ora è tornato Irving, ma è un fatto che questa prima trentina di partite della stagione 2015/16 abbiano dimostrato che il mito dei “30 minuti massimo in regular season” sia destinato a restare tale. In questo ha una certa incidenza anche la gestione di Blatt, ma il maggior responsabile è Kevin Love: preso per dar vita ad una nuova edizione dei BigThree, è lontanissimo dallo standard di rendimento che lo possa definire Big, e dal rendimento medio che gli darebbe modo di regalare un paio di riposini in più a LeBron. Il quale, tanto per far vedere di essere stanco, di esser stufo di esser stanco, di esser preoccupato dal suo esser stufo di esser stanco, ha dato vita ad una prestazione indecorosa contro i Blazers nel Boxing Day. Senza, per inciso, che nessuno si elevasse al suo posto prendendo in mano i Cavs. Simili manifestazioni fin troppo evidenti, quasi melodrammatiche, sono forse inscindibili dalla essenza stessa di un uomo che fin troppo evidente è in ogni parte del proprio fisico, dalla complessione totale fino alla superficie delle unghie. Quel che è certo è che non ha tutti i torti, speriamo che la spirale di fastidio in cui è entrato non gli faccia scordare che la scorsa è stata, per tanti versi, la sua migliore stagione e che la grande annata dei Cavs è dipesa al 90% dal suo atteggiamento di “sharin’ and caring” nei confronti di tutti i compagni, anche i più tristazzuoli.
Intanto, stanotte si son giocate queste gare.

FEDEX FORUM, MEMPHIS. LA LAKERS 96 – MEMPHIS GRIZZLIES 112
Kobe gioca 24′ e infila 14 dei 19 di serata nel primo quarto. Il quintetto dei Lakers tira un po’ sotto al 40%, quello dei Grizlies un po’ sopra al 60%, e nessuno degli starters di Joerger gioca più 25 minuti. Lo “sgobbone” è Jeff Green (17-4-4), portato in quintetto dalla metà di Dicembre per far partire Randolph dalla panchina. L’esperimento del coach di Memphis è arrivato dopo una dichiarazione che suonava “non abbiamo identità offensiva senza Gasol o Z-Bo in campo”: da qui la decisione di usare Zach dal pino per diminuire drasticamente i minuti in cui i due siano contemporaneamente seduti. Per ora la mossa paga: Randolph non pare eccessivamente indignato dalla “retrocessione” e Green porta il suo. In una gran notte di tiro di tutta la squadra, Randolph ha tirato 7/8, sua % top nella lunga carriera NBA. Per i Lakers migliore in campo Nance jr (17+11 con 8/12), che ha preso quasi gli stessi tiri di Bryant (6/15) e più di Sweet Lou (2/10), tirando decisamente meglio di entrambi. Che fosse un giocatore di culto lo avevamo detto dalla preseason, ma da quello a vederlo diventare miglior opzione offensiva dei Lakers il salto è lungo, e dice molto del momento dei gialloviola.

TD GARDEN, BOSTON. NY KNICKS 91 – BOSTON CELTICS 100
Quarta in fila per i Celtics, che iniziano ad aggiustare il record casalingo, che ora è quasi pari a quello in trasferta. Le difficoltà da “patema del TD Garden” sono testimoniate dal rendimento casalingo di AB, che a Boston sembra un cornerback della NFL più che un giocatore di basket (ottimo in difesa, assente in attacco), mentre fuoricasa ha una media-punti di 10 unità più alta e una percentuale da 3 quasi doppia. Stanotte i biancoverdi hanno dovuto star attenti fino alla fine ai Knicks, che son rimasti attaccati alla partita anche grazie a qualche eccesso arbitrale favorevole. A questo capitolo vanno ascritte le prime severe critiche che rivolgiamo ad uno dei notri preferiti, il Magico Lettone: Porzingis (16+12) ha messo in opera, con frutto, due clamorosi flop, che gli son valsi prima lo sguardo un po’ schifato di Jerebko, fouled out proprio sulla seconda pantomima (a proposito dello Svedese: nel Boxing Day ha infilato il dolce game-winner della Vendetta contro i Pistons e SVG, squadra e coach che lo facevano giocare poco, poco più del nostro Datome) e, minuti dopo, la botta aggiuntiva ai genitali mollatagli da Thomas, che non si è certo trattenuto, una volta ottenuto il fallo proprio del Lettone, dal continuare il movimento finendo, già che c’era, con la spalla sulle parti basse del ragazzone. La gara è stata decisa proprio da IT, che in meno di 90 secondi ha messo 6 pti consecutivi nel finale di partita, facendo passare la paura di un comeback a tutto il Garden. Danny Ainge ha di recente dichiarato che i Celtics sono aperti come sempre ad ogni genere di trade, e che se proprio dovesse definire il tipo di giocatore che serve alla squadra, allora direbbe un go-to-guy per i finali di gara. Stanotte, come detto, IT ha assolto pienamente al ruolo, mentre, as usual at home, AB non si vedeva per niente, pur essendo in campo, nella metà offensiva negli ultimi 5 min. Co-MVP’s insieme al nanerottolo, Crowder (per il quale sollecitiamo una chiamata tecnica all’ASG, 18+6) ed Evan Turner (19-5-2), che a Boston ha proprio trovato la dimensione ideale e il coach capace di sfruttarne al meglio le caratteristiche abbastanza spurie e fin troppo, per molti allenatori, old-school. Prima partita dai primi di Novembre per Marcus Smart: bentornato. Per i Knicks Melo a 29+10, con % decenti (11/26).

CHESAPEAKE ENERGY ARENA, OKLAHOMA CITY. DENVER NUGGETS 112 – OKC THUNDER 122
Non proprio agile la W dei Thunder, che a lungo hanno dovuto inseguire i Nuggets: aggancio avvenuto sul 75 nella seconda metà del terzo quarto, e se confrontate i punteggi vedrete che in meno di 18 minuti OKC ha imbucato 47 pti. Doppia…doppia-doppia agli assists per KD (26-5-10) e RW (30-9-12). Nuggets con Mudiay in panchina ma non utilizzato (ancora risente dell’infortunio alla caviglia), e privi anche del Gallo, sempre per fastidi alla caviglia. L’assenza di Gallinari ha aperto il quintetto a Papanikolaou, che (nazionale greca a parte) ha giocato i primi 13′ di un certo peso negli ultimi 18 mesi, e per forza che lo avrete trovato un po’ arrugginito: 3 pti e 3 ass per lui. Manimal Faried come ai tempi belli (torneranno?) con 25+11, ma il secondo scorer di Denver è stato il centro più sottodimensionato della storia recente della NBA (era piccolino per l’Europa…): Geoffrey Lauvergne, dalla Francia via Partizan Belgrado, continua la sua favolistica avventura nell’Associazione, stanotte a 18+4.

SLEEPTRAIN ARENA, SACRAMENTO. PORTLAND TRAILBLAZERS 98 – SACRAMENTO KINGS 94
Tipica gara in cui si affrontano una cicala con spogliatoio non idilliaco e una formica che sembra uno spot dell’amore tra i popoli. Vince la seconda, in un match equilibrato deciso da un quarto periodo difensivo, in cui i vincenti scrivono 18 a 14. Se sei quel tipo di cicala, e se lo sei anche un pochino per via della non semplicissima personalità del coach, allora non ti servono, per vincere, i 36 pti di DMC, nè i 14 rimbalzi di Rudy Gay, e nemmeno i 15 ass di RR. Servirebbe quel “quid” che non hai. Lo ha la formica, che dall’assenza del proprio migliore giocatore (D-Lill ha ancora problemi al tallone, ma sta per tornare), trova l’energia per avere la stellina CJ McCollum al proprio massimo (35-11-9 nella sua migliore in assoluto, e senza troppi confronti da fare) in modo da infilare un’altra W dopo quella in qualche modo regalata la notte prima dai Cavs. A parte i Sixers, i Blazers sono la squadra con meno talento della NBA, ma sono allenati benissimo e hanno un’applicazione feroce, mantenendo un record dignitoso attorno al 40%, e si trovano davanti ad almeno 5 formazioni messe nettamente meglio di loro al capitolo talento. Chapeau a coach Stotts.