All’indomani dell’ennesima, sanguinosa sconfitta rimediata dalla Vanoli Cremona a Caserta, è opportuna una seria riflessione, scevra da sterili polemiche e facili isterismi. Le opinioni espresse sono quelle di chi scrive; come tali, possono essere condivise oppure no. Di sicuro, non mancherà mai il rispetto per tutti coloro che saranno chiamati in causa – direttamente o indirettamente – da questo articolo.
La situazione – La débacle in quel di Caserta lascia la Vanoli desolatamente ultima in classifica a 8 punti. Solo la contemporanea sconfitta patita da Varese nel derby contro l’Olimpia, tiene virtualmente in corsa Cremona per la salvezza. La concomitante vittoria di Pesaro traccia un solco poco rassicurante con i biancoblu, che hanno a sfavore anche lo scontro diretto dell’andata. Sia chiaro: non si sta parlando di aritmetica, altrimenti staremmo sprecando tempo tutti (tanto chi scrive, quanto chi legge). Il punto è che non vi sono segnali concreti che la squadra sia attualmente in grado di affrontare ogni partita come fosse l’ultima. Il sussulto avuto con le due, convincenti vittorie su Varese e a Reggio, aveva illuso che la squadra stesse reagendo nel miglior modo agli stimoli del neo head-coach Lepore; purtroppo, quelle due vittorie hanno temporaneamente mascherato la tara impressa nel DNA della Vanoli di quest’anno: l’incapacità di gestire i vantaggi e ammazzare la partita. Anche al PalaMaggiò, Cremona ha letteralmente “resuscitato” la compagine avversaria, scoprendo il fianco non appena questa ha accennato un cambio di passo in termini di energia. Come già visto in altre occasioni (Pistoia, Torino, Capo d’Orlando, Brindisi, Cantù…), partendo da vantaggi anche importanti, la squadra allenta la pressione difensiva e rallenta le ripartenze, finendo col soccombere ai ritorni avversari.
Le origini del problema – La stagione è figlia di tanti fattori che – se di per sé potevano non essere negativi – hanno finito per ritorcersi contro i biancoblu. Andiamo con ordine: al termine della precedente annata sportiva, la più luminosa della relativamente breve storia societaria, i vertici biancoblu hanno deciso (concordandolo con lo staff tecnico guidato da coach Pancotto) di chiudere un ciclo e di ripartire dai giovani prospetti già in organico (Mian, Gaspardo e Biligha), con l’aggiunta del confermato Turner. La rinuncia all’asse play-pivot costituito da Luca Vitali e Cusin è stata coraggiosa e da molti vista con scetticismo; eppure, questa scelta impopolare non costituisce il “peccato originale” che sta pagando la Vanoli. Se mai, il vero peccato è stato quello di non aver sostituito adeguatamente quell’asse fondamentale. Se è vero che lo scorso campionato Biligha era il cambio naturale di Cusin, è altrettanto vero che quest’anno Biligha non ha un cambio naturale, in panchina. Dunque, la più che positiva crescita di Biligha è in parte vanificata dall’impossibilità di farlo rifiatare, senza dover stravolgere l’assetto di gioco. Tra gli altri lunghi, il solo Gaspardo (un 4 puro) ha dato segnali di crescita tecnica e motivazionale. TaShawn Thomas, che pure avrebbe un gran potenziale, manifesta una mancanza di costanza nella profusione di energia, che è costata parecchio alla squadra. L’altro lungo, Wojciechowski, è un 4 prigioniero nel corpo di un 5: il meglio di sé riesce a darlo quanto più lontano dal canestro riesce a giocare (dunque, non dove/come servirebbe alla Vanoli). Come cambio di Biligha, è perennemente in ritardo rispetto agli avversari, nel pitturato. Se a tutto ciò si assomma che per il ruolo di play è stato ingaggiato Tu Holloway (sicuramente il giocatore più talentuoso del roster), che da subito è apparso poco propenso a fare da collante tra i compagni, compreso com’è nel suo essere (quasi impermeabile alle vicissitudini della squadra, al punto di chiedere la rescissione del contratto in un momento così delicato), i risultati non potevano che essere quelli ingloriosi che sono.
Gli USA – Altre considerazioni vanno fatte sulla scelta e la gestione degli americani. Come detto, l’unica conferma del quintetto della passata stagione è stata quella di Turner, giocatore assolutamente involuto sul piano atletico, tecnico e motivazionale. Ovviamente, non si può imputare alla società di averlo riconfermato: nessuno poteva immaginare la sua trasformazione in negativo, da uomo dal ventello facile ad autentica zavorra in campo. Per una squadra dal budget ridotto e dal tasso tecnico limitato, una tegola non da poco, considerato il fatto che il suo cambio naturale, il capitano Fabio Mian, risulta anch’esso la controfigura di sé (sfiduciato, con percentuali al tiro troppo basse ed un linguaggio del corpo non idoneo, il più delle volte). La scelta estiva di Omar Thomas si è rivelata un azzardo, dato che erano ben note le sue condizioni atletiche in ribasso, nelle ultime due stagioni. Difatti è stato l’unico, vero taglio poi operato dalla società (Gabe York, come Holloway e, negli ultimi giorni, Andrea Amato, hanno tutti chiesto la rescissione). Paul Harris – chiamato a sostituire O.T. – profonde molta energia difensiva, risultando però poco incisivo in attacco: dunque, un problema risolto a metà (nonostante l’ingaggio piuttosto oneroso del giocatore). Matt Carlino – che ha sostituito l’ineffabile York – è giovane che ha dei numeri potenziali interessanti, che tuttavia stenta a tirar fuori nel contesto “pesante” in cui si ritrova. Dopo la partenza di Holloway e il passo indietro di Amato (che pretendeva minutaggi importanti, salvo giocare malamente quelli concessigli), è il portatore di palla della squadra per vocazione, dato che il neo arrivato Johnson-Odom non è prettamente un creatore di gioco, bensì una combo-guard. DJO lo ha dimostrato anche a Caserta: alla prima partita con i suoi nuovi compagni, con tre allenamenti alle spalle, ha messo a referto 27 punti, risultati insufficienti alla squadra per espugnare il parquet di Pezza delle Noci. Fatali – tra le altre cose – i liberi sbagliati proprio dall’ex Sassari, nel finale (comunque, le sue statistiche di specialità parlano del 55% dalla lunetta).
Conclusioni – Dopo circa due mesi dall’inizio del campionato, con le dinamiche sopra esposte e due cambi USA già effettuati, senza miglioramenti, la società ha dolorosamente optato per l’esonero di Pancotto: una scossa alla squadra andava data, in ogni caso. La scelta di Paolo Lepore – da alcuni criticata – ha una sua logica nella profonda conoscenza dell’ambiente e della squadra da parte dell’allenatore in seconda. E’ innegabile che una certa risposta la squadra l’abbia data da subito, sfiorando l’impresa a Desio. Dopo due vittorie che hanno dato ossigeno alla classifica asfittica, ora un nuovo filotto di tre sconfitte consecutive. La sconfitta patita a Caserta è emblematica: dal +18 al -4, passando attraverso un 4° quarto in cui si sono subiti 33 punti (trentatré). Poco da aggiungere, se non che la sostituzione del play titolare è sempre un trauma, per qualunque squadra e che la Vanoli dispone attualmente di una rotazione in meno, finché non sarà definita la questione Amato (il g.m. Conti ha comunque detto che arriverà un ragazzo a minutaggio zero, giusto per avere il numero di atleti adeguato negli allenamenti). La società, nelle persone del presidente Aldo Vanoli e del vice Davide Borsatti, ha fatto uno sforzo extra ingaggiando un top player come Johnson-Odom. Difficilmente le si potrà chiedere di più, sotto questo aspetto. Ora tutto passa dalla testa e dalle mani dei giocatori rimasti: un appello al loro orgoglio di professionisti, al loro rispetto per una società tra le più corrette e puntuali dell’intero panorama cestistico nazionale, al loro rispetto per una tifoseria forse troppo pacata sugli spalti, ma ugualmente appassionata di basket e profondamente affezionata alla #VanoliFamily. Una tifoseria corretta, certo, che sta però mostrando qualche segnale di comprensibile nervosismo. Una tifoseria che ora è aggrappata solo all’aritmetica, in attesa che qualcuno in maglia biancoblu le restituisca con i fatti il sogno della permanenza in Serie A.