C’è chi crede che Michael Jordan non sarebbe mai diventato il più grande giocatore di basket di sempre senza un pretoriano come Scottie Pippen. Sentite cosa disse un giorno Phil Jackson, l’allenatore dei Chicago Bulls dei sei titoli Nba tra il 1991 e il 1998: «Se il genio di MJ mi meravigliava sempre, avevo un senso d’orgoglio quasi paterno nei confronti del successo di Scottie. Fu lui ad aiutare i compagni a trovare una propria importanza nel contesto della squadra». Uno era il killer, l’altro il collante. Oggi il killer naviga nell’oro, il collante è in bancarotta.
Scottie Pippen ha guadagnato circa 170 milioni di dollari in vent’anni, si è ritirato nel 2004 e pochi mesi dopo era già vicino al collasso, colpa di uno stile di vita folle, sintetizzato dall’acquisito di un jet da 4 milioni (più uno speso per ripararlo), mai decollato perché difettoso. Non è un’anomalia: Forbes ha calcolato che il 60 per cento dei giocatori Nba è in bolletta entro cinque anni dal ritiro dai parquet, nonostante lo stipendio medio viaggi intorno ai 5 milioni a stagione.
Allen Iverson, un altro grandissimo, ha dissipato in un amen i 200 milioni incassati in 15 anni. Poco tempo fa in un’aula di tribunale, durante l’ennesima causa di divorzio, si è frugato nelle tasche dei pantaloni dicendo: «Non ho i soldi nemmeno per un cheeseburger».
Di Antoine Walker, ex stella dei Miami Heat, sua madre – cui ha acquistato una villa con dieci camere da letto – ha detto: «Ha dilapidato più di 100 milioni mantenendo un entourage di 70 persone». Generoso. E innamorato delle auto: Bentley, Mercedes, Cadillac, Hummer. Una corsa finita in manette a Las Vegas, dopo che aveva provato a rifilare dieci assegni scoperti agli addetti di un casinò.
Robert Horry, sette volte vincitore dell’anello (con Houston, Los Angeles e San Antonio), si è ritirato nel 2008 avendo accumulato oltre 50 milioni e da allora ha iniziato la sua carriera di commentatore tv. Salvato dagli studi in economia e finanza al college e da un impiego al Bbva, il gigante finanziario spagnolo, quando gli hanno chiesto perché tanti suoi colleghi annaspino ai margini dell’indigenza ha risposto così: «È lo stile di vita Nba. Odio dirlo, perché sono parte di quella cultura, ma capita più spesso agli atleti di colore: sentono di dover sempre mostrare di avere i soldi. Diavolo, lo sanno tutti chi sei, non hai bisogno di comprare un orologio da 40 mila dollari ogni volta che esci di casa».
Consulenti avidi, ignoranza, entourage sterminati, investimenti sballati, bella vita: così le star della Nba divorano i loro guadagni. Bob Young, direttore di Apex Wealth Management, sostiene che gli atleti spesso non sappiano nemmeno chi gestisce le loro finanze. Sembra aver ragione, a giudicare da certe storie surreali: Latrell Sprewell (squalificato per 68 turni dopo aver preso a pugni il suo allenatore) rifiutò un contratto da 21 milioni in tre anni. Troppo poco: «Ho una famiglia da sfamare». Ora ha dovuto vendere a metà prezzo il suo yacht. Shawn Kemp invece lavora in un bar.
E che dire di Jason Caffey, dieci figli con otto donne, arrestato per non aver pagato gli alimenti? O di Derrick Coleman, uno con i creditori alle calcagna per aver accumulato 5 milioni di debiti (dopo averne guadagnati 87) investendo in operazioni immobiliari a Detroit, una città fallita?
Sprovveduti. Incapaci di pianificare la propria vita: la carriera di un giocatore Nba dura in media quattro anni; una matricola su quattro dopo un anno è già fuori. Non tutti giocano un decennio o più incassando 19 milioni l’anno, quanto Miami dà a LeBron James, senza contare i 40 milioni degli sponsor. Non si possono permettere la casa da 9 milioni a Miami, il ranch di 350 mila metri quadri in Ohio, la quota di minoranza del Liverpool e l’anello di fidanzamento per la moglie da 350 mila dollari.
La disparità di salari è feroce: la cenerentola della Lega, Mario West dei Brooklyn Nets, guadagna 20 mila euro. Finire in bancarotta è un attimo, se sei un giocatore qualunque. Altra cosa è sei ti chiami Scottie Pippen e sei stato il gemello del più grande di sempre. Solo che Michael Jordan incassa ancora adesso 80 milioni l’anno, mentre il povero Scottie è senza un dollaro.
Fonte: La Stampa del 25/02/2014