Milano non è finita, resta la più forte come individualità, può vincere a Siena e tornare sul proprio campo venerdì, che per i lombardi è sempre giorno di paga e farsi perdonare dai propri tifosi, un pubblico che regala record di affluenza alla storia del basket mentre il club contraddice, con una politica antistorica rispetto all’Olimpia dei 25 scudetti, di occuparsi di ciò che gli compete e pretendere di scegliere personalmente il manovratore di turno della Lega ancor prima di vincere qualcosa. Una storia gloriosa, quella del basket milanese, sulla quale qualche “stranamore” arrivato per vie traverse, dovrebbe documentarsi ignorando certamente che nacque nel dopoguerra per volontà dell’arcitaliano Adolfo Bongoncelli per promuovere l’idea di Trieste italiana e non consegnarla al Maresciallo Tito.

Perdere da una società in fallimento sarebbe il peggiore dei fallimenti, ma lo sport nella sua essenza è uno smacchiatore perfetto, rigenera, sistema le cose e quindi fino all’ultimo nano secondo dell’ultimo minuto di gara 6 del giorno il match ball può ancora cambiare di mano.

Guai a dare Milano già spacciata. In fondo lunedì ha perso di 6 punti soli, è stata avanti ma di un punto in una gara dove è stata dominata, ha giocato male, ha messo in campo quintetti sbagliati, lasciando in panchina per tutto il terzo quarto – preferendogli uno dei tanti onesti oriundi argentini che si guadagnano la pagnotta in Italia – il suo capitano che questo giovedì potrebbe essere chiamato nel draft dai Sixers. Con Melli in campo ma senza farsi vedere, se non per lo spazio che ha dato a Ress che gli è andato via facilmente nei primi minuti, con l’ex senese Moss che toppa sempre le partite importanti e sembra non veda l’ora di prendere il primo aereo per gli States. Con Samardo Samuel, gigante buono, che si fa intrappolare nell’area mentre invece dovrebbe salire in lunetta per ricevere la palla, smistarla essere l’aggiunto in regia, perché l’Armani possiede play da palleggio e da passeggio che non verticalizzano mai o aprono il gioco, che sopravvalutano se stessi commettendo il peccato di superbia di pensare che sul 2-0 Siena fosse finita e fallita.

Guai anche a credere anche a una Siena tremebonda nell’ultima chiamata della storia perché per iscriversi, come da regolamento Fip, avrebbe dovuto nei termini ricapitalizzare il deficit, buco di bilancio (5,4 milioni) e cartelle dell’Agenzia delle Entrate per 17 milioni di evasione, mettendo sul tavolo una fidejussione pari a 3 volte il debito, quindi più di 50 milioni. La banca che ha orecchie da mercante ha fatto sapere stavolta di aver già dato il suo, qualcuno ha giocato pure con la storia degli “sponsorucci”: chi sono, dove sono? E quindi il 4 luglio, il giorno dell’Indipendenza americana, per Siena sarà un brutto giorno, il tribunale fallimentare metterà i sigilli a questa malagestione e difatti per la Polisportiva e il liquidatore e anche per la federazione tutto è ormai scritto. Si riparte da zero.

Gli altri anni Siena collezionava trofei (nazionali, solo nazionali!) fra le polemiche, quest’anno gioca la miglior pallacanestro, esibisce l’energia e l’entusiasmo di un formazione di college che corre per il titolo delle finali NCAA, per tanti ragazzi e scuole di basket l’American Dream.

Questa squadra spumeggiante di Marco Crespi, un milanese, un altro ex che l’Olimpia aveva a portata di mano andando a prendere il supercoach Scariolo colui che al suo arrivo disse “Milano è una città non si può vendere fumo” e ha combinato solo disastri, va oltre gli errori. E magari anche l’inganno, a leggere i capi d’accusa del Magistrato su quello che sarebbe successo fra viale Sclavo e il mare di Rimini e confermato da intercettazioni, documenti e anche , come dicono le voci sempre bene informati dei senesi, delle prime ammissioni dei collaboratori, non del capo che ritengo sarà sempre fedele al suo personaggio, abilissimo nel cercare il consenso e spianarsi la strada se qualcuno lo ostacolava.

Questo orgoglio Mens Sana affidato a sublimi “mercenari” che sanno, come tutti gli americani, diventare eroi per una causa giusta, è uno spartiacque imprevisto interessante e bello fra un momento e l’altro di un ciclo sofferto quanto una dittatura: va oltre il minuccismo con la sua “nuclearizzazione” della pallacanestro italiana, incapace di chiudere per tempo le sue finestre, e un ammonimento anche alla strisciante minuccizzazione intrapresa da Milano: giocatori, allenatori, sistemi arrivati da Siena. Lo si capisce dai cartelli dei tifosi impietosamente ripresi dalla Tv, le foto di Ciamillo pubblicate da Baskettiamo.com parlano da sole. Soprattutto di una fede strappata. Di un distacco dalla gente, anche se è tanta. Magari si potrebbe anche scoprire che da Milano è partita l’astuta l’offerta della presidenza di Lega in cambio di Hackett, mossa che doveva cambiare la storia di Milano mentre gli innesti a metà stagione spesso risultano rattoppi peggiori del buco e per ora l’affarone lo sta facendo Siena che, indebitata fino al collo – senza che mai il socio di maggioranza alzasse ciglio – ha trovato a Milano i denari per poter finire la stagione.

Siena ha dimostrato di aver semplifica le cose difficili, mentre Milano ha complicato quelle facili, squadra acefala, senza gerarchie in campo e fuori. Per prima cosa riuscire a rimontare da 0-2 paludata da Araba Fenice, vincendo tre partite di fila con la corazzata milanese senza guida nel mare agitato, andata in vantaggio per somma di individualità nelle prime due gare.

La Siena di gara1 e 2 era stranita, giocava sotto ritmo, senza circolazione di palla, mentre questa ha espugnato Milano conquistando il match ball con un canestro superbo di halley oop di Otello Hunter, il centro che veste il frack e che potrebbe andare a Venezia e diventare il re del nuovo Carnevale, sul passaggio al bacio di Matt Jannings. Il tenentino di marina che tornato a Siena perché in Croazia non lo pagavano, diventa generale giocando da play, non più d cambio tattico, l’uomo dei break o delle rimonte per il tiro. Non solo il non-regista più bravo dei titolari delle due squadre ha migliorato il livello del gioco e mostrato un fondamentale sconosciuto, il passare direttamente dal palleggio e al passaggio e tiro, vedi il morbido sottomano (lay up) in entrata nel finale. Un momento di tecnica raffinata che praticamente non si vede più nella nostra pallacanestro diventata vecchiotta, innamorata che play che pompa la palla e, come ha fatto Hackett, giocatore che per quanto mi piace e ho difeso quando alla Benetton faticava a essere compreso, mi irrita vedere in queste partite arrivando a 10-12 palleggi prima del passaggio, o andare a chiudersi come post basso, spalle a canestro bloccando il già debole meccanismo dell’attacco coi compagni a chiedersi cosa accadrà. Il movimento senza palla dei giocatori, soprattutto se la difesa è furba, tecnica, agile e graffiante come quella senese, è il primo passo per battere una difesa, anche in serata brutta di tiro.

Mi scrivono: “concorderai che qualora dovesse vincere il titolo sarebbe il più pulito di tutti”. Non ho elementi per affermare che gli altri non erano puliti, i titoli sportivi non si toccano, se qualcuno o alcuni, anche in senso di responsabilità oggettiva, hanno sbagliato o ne hanno approfittato in concorso, ne risponderanno nelle sedi competenti. La magistratura e la guardia di finanza stanno lavorando due anni in silenzio arrivando alla conclusione di reati pesanti che per somma sarebbero “associazione per delinquere” con tutti i vari capitoli, trovando un sistema melmoso, resistente, nel quale vigeva (e vige ancora) l’antidemocratico ostracismo per cui ti chiamavano per metterti fra le mai una conchiglia e dovevi andare in esilio per 10 anni come potrei raccontarvi documentando tutto quanto.

Ma il saggio va oltre, guarda al trionfo della verità, il basket si merita il paradosso – o meglio la nemesi – che chi ha tentato di distruggere un sistema per fini personali è al “confino” e alla sua uscita è stata spazzata via quell’aria rancida di cui parlava Sergio Scariolo , sostenuto improvvidamente dal suo club con tanto di carte bollate. Oggi c’è aria pura, magari gli ultimi residuati bellici tentano in questo momento di spartirsi le spoglie, per la rima volta una squadra e un pubblico han fatto una società e non viceversa.

E’ anche un basket da quadratura del cerchio, low-cost ed high-profile per dirla come Marco Crespi il profeta del “something special”, sostenuta nel silenzio delle istituzioni , solo dal suo popolo generoso che, scoppiato il bubbone, è sceso in strada compostamente sfilando sotto le finestre del Monte dei Paschi dietro quel cartello. poi affisso come una reliquia sulla balconata dei tifosi , che ammonisce: “Mens Sana: la nostra fede non si ruba”. Un messaggio che la Rai replica continuamente durante le telecronache e che la tifoseria milanese ha imitato ala quale no basta esibire l’invidiabile fair play di Giorgio Armani che va in campo a ringraziare i giocatori ad uno ad uno anche dopo la sconfitta. E lunedì aveva un volto spettrale, senza il proverbiale sorriso che ha contribuito al fascino della sua vita di successi, ma non nel basket.

Partita difficile, che pretende il massimo rispetto delle regole, ciascuno al suo posto nella Santabarbara senese che l’ex sindaco voleva radere al suolo per costruire un’Arena che la Mens Sana poteva costruirsi da sola risparmiando un milione di euro all’anno nei tempi dell’abbondanza rinunciando a un decimo e un undicesimo giocatore : pubblico, dirigenti, panchine, giocatori, dirigenti, arbitri, tutti devono fare il proprio lavoro, stare al loro posto. A proposito di posti, rimarrà vuoto anche quello della Fip forse per timore di essere mal ripagata da tanta benevolenza. Chiamiamola realpolitik, nel calcio non sarebbe successo.

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