Non mi riferisco all’ennesima sfida tra Milano e Cantù dal punto di vista sportivo, anche perché, nella migliore delle tradizioni stracittadine, ha vinto chi aveva più motivi e motivazione per farlo. La tesi vichiana la applico al prodotto televisivo che si è visto in tv: la prima impressione è stata quella di un ritorno alle prime partite prodotte dalla Rai, poche idee, realizzate alla bell’e meglio, con telecamere che viaggiavano evidentemente da sole, diverse nei colori, nel dettaglio e nella qualità. Troppe sventagliate mandate in onda, segno che gli operatori non venivano preavvisati in intercom poi ripetizioni di inquadrature sui Vip anche quando non c’era motivo di proporle e i formati delle inquadrature random, a volte larghe (meglio) a volte strette. Poi ho l’impressione che alcuni operatori non sapessero, di preciso, chi doveva essere inquadrato… e tutto questo mi riporta ai primi tempi di “critica televisiva” (…) ormai diversi anni fa.
Da appassionato ho sperato, dopo la serie finale della stagione scorsa, che la rete nazionale, scoperto di avere un paio di registi che sul basket danno il loro meglio, continuasse a farli lavorare sul campionato di pallacanestro. Ma si sa che chi vive sperando, con quel che segue: le rotazioni sembrano fatte da un coach impazzito, che manda in campo con logiche che tali non sembrano. L’idea di creare una squadra con il minimo di rotazioni possibili è ormai un pio desiderio, anche perché per il giochino dei costi al ribasso, la maggioranza degli operatori più bravi non vuole più lavorare e quindi si lavora con il chi c’è c’è. Ora, speriamo che almeno nei playoff, ci sia una continuità nelle scelte di tecnici e regie, perché l’intensità delle partite sarà garantita e sarà necessario farla vivere anche a casa.