Ogni società sportiva, dilettante o professionista che sia, se ha un progetto pluriennale nei propri obiettivi, non può prescindere dall’organizzare un settore giovanile che garantisca la continuità del progetto stesso.

Nel settore giovanile, il capitolo minibasket, se organizzato con criterio, occupa sicuramente una grande fetta di risorse ed impegno. Non sempre però gli obiettivi di questo specifico settore sono condivisi con i bambini stessi e soprattutto con i genitori.

Per approfondire meglio l’argomento abbiamo chiesto la collaborazione di Cristina Benussi, Responsabile Settore Minibasket A.D. Basket Nave (BS) e A.S.D. Basket Bovezzo (BS) e Istruttore Minibasket gruppi 5/10 anni. Cristina ha un’esperienza decennale maturata in varie società sportive, tra le quali, dal 2008 al 2016, annovera il ruolo di Dirigente Responsabile e Istruttore del Settore Minibasket alla Virtus/Basket Brescia Leonessa. Dopo il Diploma di Perito Aziendale – Lingue Estere, ha ottenuto un Master in Gestione Industriale e Marketing (presso l’Associazione Industriali Bresciani). A seguire la specializzazione, con il Corso Dirigente di Centro Minibasket, il Corso Istruttore Minibasket Regionale ed il Corso per Ufficiali di campo, organizzati dalla F.I.P. di Brescia. Alla formazione specifica, si sono aggiunte, durante gli anni presso il Basket Brescia Leonessa, numerose esperienze formative/tecniche anche fuori Regione che hanno completato il suo modo di “interpretare” il minibasket che oggi propone con il proprio stile e la propria “filosofia” educativa.

Cristina quali sono le maggiori difficoltà organizzative che tutt’oggi incontra nell’organizzazione del minibasket? 

Innanzitutto quelle logistiche. Nella Provincia di Brescia, ma possiamo dire, un po’ in tutta Italia, mancano gli impianti sportivi e, spesso, dove esistono, manca una gestione di buon senso degli stessi, di conseguenza, per noi che abbisogniamo di spazio e di due canestri ad altezza variabile, diventa difficile offrire ai bambini soluzioni tecniche ottimali. Secondariamente reperire Istruttori; in realtà, a Brescia, ci sono tantissimi Istruttori tesserati, ma pochi veramente formati e pochissimi quelli disponibili negli orari del minibasket (primo pomeriggio). Inoltre, per molti, il minibasket rappresenta solo il trampolino di lancio per l’attività di Istruttore/Allenatore per arrivare al settore giovanile e poi alle senior.

I bambini cosa chiedono al minibasket in generale e all’allenatore in particolare?

Moltissimi bambini arrivano da noi senza sapere esattamente cosa sia il minibasket; questa per noi è una grande sfida. In poche lezioni dobbiamo trasmettere il fascino del basket alle nuove leve. Normalmente chiedono di divertirsi, fare gruppo, misurarsi con se stessi ed anche una certa dose di confronto tra loro stessi e con gli altri. In una parola: “crescere”.

Il mini basket, per come lo intende Lei, è più sport, gioco o aggregazione?

Il Minibasket, per definizione della Federazione, è “giocosport”. Personalmente ritengo sia esattamente l’unione di tutti e tre gli elementi. Sport perché oggi più che mai i bambini hanno bisogno di muoversi e sperimentare le capacità motorie e cognitive. Ricordiamo che queste sono le generazioni che sanno utilizzare i tablet a 5 anni e non conoscono la differenza tra camminare, correre e strisciare! Apprendere una disciplina sportiva li può accompagnare in tutta la pubertà e l’adolescenza fornendo la giusta dose di stimoli e competitività ma, soprattutto, regole. La carenza di regole certe, nel nostro mondo, spesso disorienta molto i bambini ed i ragazzi. Lo sport deve restituire queste regole, anche attraverso il semplice “regolamento tecnico” che, seppur ovviamente adattato, già compare per i giovanissimi. Deve essere gioco perché se non ci si diverte insieme niente è possibile; questo ci aiuta anche ad inserirlo in una scala corretta di priorità della “vita”. Vincere o perdere una partita regala gioia o dispiacere, ma tutto ciò deve fermarsi lì. Aggregazione: questa è  la parola che per noi del minibasket deve essere un totem. Non esiste minibasket senza aggregazione, non esiste squadra senza aggregazione. La meraviglia del nostro settore è che si gioca tutti insieme: non esistono differenze di genere, di razza, di religione, di colore, di nazionalità. Quello che dobbiamo trasmettere ai bambini, grazie alle regole dello sport,  è che tutti siamo uguali ed ognuno di noi fa e deve fare del suo meglio per portare tutta la squadra all’obiettivo. Le righe del campo, le regole del palleggio, per esempio, sono uguali per tutti. Noi abbiamo la grande fortuna di poter insegnare ai bambini che, insieme, si è più forti che da soli, appoggiarsi ad un compagno, seppure più “debole”, a volte, è meglio che stare solo contro tutti. Una grande responsabilità educativa.

Capitolo famiglie e genitori, ci racconta quale dovrebbe essere l’atteggiamento migliore?

I genitori e le famiglie sono una grande risorsa della società civile. Le difficoltà che si incontrano spesso sono gestire il naturale senso di protezione dei genitori verso il proprio figlio e la dinamica di squadra. Io chiedo sempre ai genitori di darmi fiducia. E’ una grande sfida, ma dalla porta dello spogliatoio il bambino viene accolto dal suo Istruttore e dalla sua squadra. Il genitore ha il grandissimo compito di sostenere, incitare, rinforzare il percorso del proprio figlio e lasciare agli Istruttori il lavoro sul campo. E’ un lavoro molto impegnativo, per entrambi, ma appassionante ed assai gratificante. Non ci nascondiamo che, spesso, i bambini non rispondono agli stimoli come vorrebbero i genitori, sia dal punto di vista “tecnico” che comportamentale, quindi la collaborazione e l’interazione personale con le famiglie deve essere stretta. E’ però necessario che la famiglia capisca che esiste un confine oltre il quale non è bene andare. In una squadra di minibasket, come in una senior, il gruppo diventa entità autonoma, con un istruttore/allenatore attento e dedicato, i problemi vanno risolti insieme o si impara a risolverli insieme. Il “momento partite” meriterebbe un capitolo a parte, mi limito a sottolineare che ciò che accade, sempre più spesso sulle tribune è vergognoso, a dire poco: esibizioni di genitori che sono “coach” dei figli o ultras senza limiti. I bambini soffrono tantissimo di questi atteggiamenti. Loro non hanno malignità, se non gliela trasmettono gli adulti stessi. Con il cuore, dico a tutti: lasciamo che si divertano, lasciamo che si sperimentino, anche sbagliando, lasciamo che il loro Istruttore in panchina trasmetta loro gli strumenti per crescere, lasciamo che vivano le loro sfide liberamene insieme ai compagni.

Dal minibasket alle giovanili, cosa cambia nel rapporto con gli atleti?

Con le giovanili cambia tanto, il problema, purtroppo, che spesso cambia tutto troppo velocemente. Abbiamo, nel minibasket, un anno importantissimo che definirei cruciale, per il passaggio tra il settore minibasket e quello giovanile: l’anno dedicato alla Categoria Esordienti, ossia i ragazzi che frequentano la 1ª media. E’ l’anno in cui, per regolamento, i ragazzi si avvicinano al basket vero e proprio, giocando con un regolamento molto simile a quello definitivo che verrà applicato dalla Under 13 in poi, anno in cui si entra nel Settore Giovanile, nel  quale si comincia,  effettivamente, a puntare meno sul gioco ludico e più sullo sport. Naturalmente il passaggio da Esordiente a settore giovanile (Under 13) cambia notevolmente, a seconda della società in cui si milita; alcune società effettuano selezione, altre continuano ad avere gli stessi obiettivi “conservativi” propri del minibasket. E’ un passaggio complesso, comunque, per  tutti i ragazzi. Cambiano molte cose e soprattutto, spesso, il rapporto con gli allenatori. Se nel minibasket l’Istruttore era un punto di riferimento anche affettivo, quasi un terzo genitore, giustamente nel settore giovanile, si comincia a fare sport agonistico in modo più serio e costante e l’allenatore riveste un ruolo più autorevole. Giusto così, fa parte della crescita della persona e dell’atleta. Un ragazzino deve avere gli strumenti, tecnici e personali, per poter continuare a confrontarsi sul campo adeguatamente, pena l’abbandono dello sport. Il discorso sarebbe lungo, ma affrontare le difficoltà dell’essere in una squadra, con l’impegno e la fatica che richiedono, spesso aiuta i ragazzi anche nella vita di tutti i giorni.

Fermo restando che ogni bambino ha già la propria personalità, crescendo e diventando adolescenti, che influenza può avere il carattere del singolo atleta sullo sviluppo come cestista?

Indubbiamente notevole: si usa dire che “allenamento batte talento”. Il momento cruciale per la crescita sportiva di un ragazzo è l’adolescenza, periodo che già di per sé è assai complesso; anche per quanto riguarda l’attività sportiva, bisogna tener presenti molteplici fattori: sentirsi “arrivati”, sentirsi “fenomeni”, compagnie amicali, primi amori, interessi, distrazioni, ecc. Chiaramente alcuni atteggiamenti caratteriali possono influire negativamente anche su ragazzi davvero talentuosi. Ogni istruttore, ogni allenatore, in collaborazione con la famiglia cerca sempre di contenere, accompagnare ed indirizzare i ragazzi verso un percorso sano che porti l’atleta a raggiungere gli obiettivi massimi o comunque a mantenere il suo impegno nella squadra di basket. In questo periodo è importantissimo affiancare i ragazzi ad allenatori capaci tecnicamente e, assolutamente, maturi psicologicamente. Come i genitori anche l’allenatore non è un amico, è una figura autorevole e come tale va rispettata.

Tempo scuola/studio e tempo allenamenti si può conciliare in maniera soddisfacente senza trascurare l’uno o l’altro?

Assolutamente sì! Non senza sforzo però, non nascondiamocelo. Dimentichiamoci che si possa fare tutto senza fatica. Ma questo è l’insegnamento della vita. Per i problemi logistici, di cui si parlava all’inizio, purtroppo troppo spesso le Società sono costrette ad effettuare allenamenti in orari piuttosto disagevoli per i ragazzi e le famiglie. Però con la volontà tutto si affronta. I genitori che costringono i ragazzi ad abbandonare lo sport per lo studio, salvo ovviamente casi particolari, fanno una scelta sbagliata. Se il ragazzo/a ha vera passione per il basket e per la sua squadra, imparerà ad organizzarsi per affrontare tutti gli impegni. Sarà sicuramente complesso, faticoso, ma comunque un percorso di vita sano. Spesso si creano amicizie e passioni che durano tutta la vita e tengono lontani i giovani da comportamenti deleteri per la salute. Inoltre lo sport può aiutare tanto anche nella formazione personale.

Dopo tanti anni di questo lavoro, cosa La spinge a continuare?

Passione. Passione. Passione. Voglia di far conoscere il basket. I principi di questo sport sono un insegnamento universalmente valido, anche se oggi, sono minati fortemente da una “deriva agonistica distorta”. Inoltre l’amore per i giovani e il basket, ogni bambino che riesco ad appassionare al nostro sport per me è una vittoria. Sento che ogni Istruttore possa dare tanto ai bambini e non solo da punto di vista tecnico. Per come lo intendo io, nel minibasket, noi istruttori siamo innanzitutto, degli educatori; vogliamo dare ai bambini gli strumenti fondamentali per giocare divertendosi; la squadra devono imparare a vederla come un gruppo di amici dove chiunque possa esprimersi. La dinamica del gruppo deve dare loro le basi per imparare a gestirsi e instaurare le prime importanti relazioni interpersonali. Sicuramente un obiettivo piuttosto ambizioso, che necessita di grande lavoro da parte di tutti e appoggio incondizionato da parte della Società, cosa che a Nave ho trovato in maniera totalmente soddisfacente.

Infine, una domanda, che le avranno fatto tante volte in qualità di esperta, un futuro campione lo si riconosce già da bambino/a?

Sì, si riconoscono subito, sia il talento che le caratteristiche fisiche, a volte già dai 6/7 anni. Ciò non garantisce, però che il ragazzo diventi un campione. Troppe sono le variabili che possono intervenire durante la crescita: volontà, società, allenatori, adolescenza, infortuni, famiglia, ecc.

Dalle parole di Cristina Benussi emergono considerazioni generali, applicabili ovviamente ad ogni attività sportiva. Lo sport è sicuramente una parte importante nello sviluppo psicofisico di un bambino tanto che anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità lo ha inserito come caposaldo nelle attenzioni che si devono attuare, in ogni fascia d’età, per una vita più sana e come prevenzione per diversi tipi di malattia. Il minibasket però, è un’attività fisica ma anche, come certamente altri sport di squadra, una scuola di vita e come tale va considerato. Il fattore principale che ne fa la differenza è sicuramente il “modo” con il quale viene proposto dalle società e dagli allenatori. Oltre alle capacità professionali e tecniche che ogni istruttore deve possedere per trasmettere nozioni tecnico-pratiche, a fare la differenza è l’impatto emotivo che susciterà nei ragazzini; il “come” si pone e il “come” trasmette diviene lo spartiacque tra il fare l’istruttore e l’essere istruttore. “Essere” significa mettersi in gioco, personalizzare il rapporto con il singolo per accoglierlo nelle proprie specificità e allo stesso tempo coinvolgere ogni mini-atleta nel gruppo squadra perché cominci a capire il vero significato di appartenenza. Cristina sottolinea la grandissimi difficoltà dell’essere istruttore; una persona che, ogni volta che entra in palestra, si deve mettere in gioco ed essere pronta a rivedere ogni sua certezza, per rispetto di ogni bambino e del suo gruppo e per non perderne, per strada, nemmeno uno.

L’immagine di copertina, gentilmente concessa dalla stessa Cristina Benussi, è la sintesi perfetta del suo lavoro: se si crea un buon clima, l’amicizia nasce spontanea e il gruppo/squadra si amalgama creando quei legami fondamentali per la crescita emotiva ed empatica necessaria allo sviluppo della personalità e del carattere di ogni bambino. L’unica differenza tra i ragazzi è il numero di maglia, il resto, per loro, non conta, è il mondo degli adulti ad essere imperfetto, per l’assenza, troppo spesso, di quel clima di gioco che deve caratterizzare anche lo sport, inteso, prima di tutto, come divertimento.

#basketforever