Domani a Montichiari la Fortitudo Bologna si gioca, contro la Leonessa Brescia, l’accesso sul campo alla Serie A.
Dopo averlo detto fin dallo scorso anno, dal caldo infernale di Forlì. Dopo averlo ripetuto due volte anche quest’anno, anche se non sempre in occasioni dettate dal mero piacere di vedere la F vincente. Ora è sulla bocca di tanti. A Bologna il basket non muore mai, la F non muore mai, e nelle due stagioni della gestione Boniciolli-Politi-Comuzzo ha reso reale un progetto tecnico che non ha paragoni in Italia, settore giovanile compreso. Quel che ho scritto era la millesima parte di quel che avrei voluto, perché altri e ben meno tecnici e/o critici erano i miei sentimenti. Più avanti torneremo alla tecnica: ora è il momento di rendere un po’ di giustizia all’emozione.
Non andrò a Montichiari. Una strada che per altre ragioni conosco quasi come le mie tasche. Non la farò. E’ nel motivo che mi tiene a Bologna che il dovere si incrocia all’emozione. C’è una casa da salutare, quella dove sono cresciuto. Primo palazzo di via Saffi, sopra la pasticceria. Porta San Felice. 200 passi dal numero 103, e pochi in più per arrivare in Piazza Azzarita. Anzi, in via Graziano: e chi sa capisce. C’è una casa da svuotare, prima che arrivi il giorno della vendita. E molti pezzi, mobili, scatole: portano ricordi. Saltano fuori anche i vecchi biglietti delle partite. Sì, perché solo nell’età “adulta” ho cominciato a possedere un abbonamento alla F. Prima, andavo a tutte le partite e pagavo il biglietto: perché così davo più soldi alla società. E, pur avendo cominciato a lavoricchiare abbastanza presto, è ovvio che il benevolo scuotere la testa da parte di mio padre era un: ma quanto…cavolo…mi costi? Eppure andava bene, perché, senza offesa per la matematica mai studiata e tutte le bugie alle fidanzatine, fino ai 19 anni il basket è stato semplicemente tutta la mia vita. Il basket e la F. Era talmente tanto evidente la mia passione, l’incondizionato amore, che per mio padre andava bene spendere qualche centinaio di migliaia di lire in più pur di dare corpo al mio intento di “dare più soldi”. Eccoli qui alcuni biglietti superstiti al tempo. Dentro una scatola insieme a gomme pietrificate e cards dei giocatori NBA. Ce ne è anche una che….no..purtroppo non è Drazen, ma solo Rex Walters. Mangiaebevi Fortitudo Bologna – Panasonic Viola Reggio Calabria. Me la ricordo, c’era anche mio padre. Mi ricordo tutto di quella stagione, finita con un’altra trasferta, anche quella leggenda, una delle pietre che fondano tutto quel che la F è. Se erano 2000 persone a vedere la Viola significa che parevano la metà. E ancora non c’era Teo(the)man. Massacrati, svergognati, ridicolizzati da una Panasonic che aveva i primi passi di Sconochini e l’apporto di Michael Young, quello che ha segnato ovunque qui in Italia e vinto l’ultima Coppa dei Campioni prima dell’Eurolega, col Limoges, quello che con Drexler ed Olajuwon formava a Houston University il trio della Confraternita delle Schiacciate Phi-Slamma-Jamma. “In effetti è forte”, diceva mio padre mentre gli raccontavo queste cose. Poi aggiungeva: ma Myers è meglio. Pete Myers. Che faceva tutto o quasi in quella squadra, venendo sostituito da Bonino se serviva una guardia o da Cuccoli se serviva un play. C’era in quella F anche Gino Recchia, che incrociavo quasi ogni mattina attraversando il viale a Porta San Felice mentre andavo a scuola, ma che non ho mai salutato perché era enormemente più forte di me. Ci sono partenze che si devono accettare. Accetto il verdetto del campo, perché ho dato tutto. E’ difficile lasciare andare via quella casa, non ultimo perché sta proprio lì, a pochi passi da tutto il mio mondo di allora e da gran parte di quello che è ancora, pochi passi dal mondo F. Però il dovere chiama, i lavori sono indietro e tutto deve esser fatto per bene come avrebbe fatto lui. Se andassi in trasferta, non mi comporterei in nessun modo particolarmente fuori dalle righe. Non farei casino, non ne ho mai fatto molto e mentirei se dicessi di amare le curve, nello sport. Mi metterei in un pub o anche semplicemente fuori dal palazzo parcheggiato e aspetterei. D’altronde dopo la gara ho festeggiato il primo scudetto da solo, sul terrazzo di casa, fissando, più che bevendo, una Beck’s. Mio padre, che si svegliava ad orari assurdi e per me accessibili solo come ora di rientro, si affacciò e mi chiese: sei contento? Un sorriso e un sì. Pareva impossibile: avevamo vinto. Non ci sono tanto abituato nemmeno ora. Sono più che preparato a tutte le prese in giro del caso, tanto lo so, e tutti i Fortitudini lo sanno, che nessuna vittoria è paragonabile alle nostre: vittorie, sconfitte..fa lo stesso. Non ci sono paragoni punto e basta. Col magone saluterò quella casa. Nel mio amore per la F, e nella mia totalizzante passione per il basket, di sicuro un po’ di merito va anche alla topografia. Davide Lamma ha detto che ci saranno 6000 persone anche Venerdì, solo che staranno fuori invece che dentro, e si faranno sentire più che se fossero dentro. Come ho imparato a sentire mio padre anche se non è più qui, così transitivamente mi illudo che sentiranno, Lamma e tutti gli altri, anche il mio sostegno. Io, tornando da via Saffi a dove abito ora, mi fermerò a comprare una Beck’s. Sorridetemi.