Un grande giornalista diceva che il possesso di una notizia non è nulla se non si vede la storia che c’è dietro.
Il protagonista della storia che, con delicatezza, sobrietà e leggerezza, vorremmo raccontarvi è MarShon Brooks, i personaggi che lo accompagnano sono i suoi allenatori passati e quello attuale, le sue passate squadre e quella attuale. La notizia, ovviamente, è il suo rendimento non eccelso.
Che Brooks sia stato una stella del basket collegiale non è una novità: che tipo di stella? Non del tipo Fab5, trend setters se mai ne sono esistiti; non del tipo comune ultimamente, un anno e poi via nella NBA a miracol mostrare, e nemmeno del tipo “fedele discepolo di un grande guru”, dato che il suo coach a Providence è stato licenziato al termine dell’anno da senior di MarShon.
Il nostro protagonista è stato una stella del tipo più sfortunato per quanto riguarda il futuro successo nei pro: un grande realizzatore (questo termine avrà un significato decisivo nel complesso della storia), primo della BigEast e secondo della Nazione, giocando per un ateneo di grande tradizione (anche scolastica, e questo a volte è un danno: meglio venire da UNLV) ma in un periodo di record perdenti / stagioni deludenti.
Da Providence a Boston il passo sarebbe stato breve, ma i Celtics, dopo averlo scelto col numero 25, lo girarono ai Nets. E’ però interessante notare che due uomini a strettissima connessione-Celtic ebbero un qualche ruolo nel promuovere il grande realizzatore per farlo scegliere più alto possibile: Jay Larranaga è ora nel coaching staff di Boston, è un ex giocatore di Providence (anche in Italia tra Reggio Calabria-Napoli-Caserta) e fu contattato, ma rifiutò, per sostituire a Providence il licenziato Keno Davis; Kevin Gamble è un ex Celtic del periodo finale di Bird, e capo operazioni cestistiche di Providence. Quel che fu possibile fare per promuovere il ragazzo ed affrancarlo dalla maledizione dello scorer fu fatto.
Nei Nets ebbe una prima stagione non scoraggiante, a 14,2 pti di media, ma con percentuali abbastanza sottomarine: MarShon non è mai stato un tiratore, tanto meno da3 (fu al 33% in carriera al college con l’arco alla distanza dei bimbi dell’asilo, e circa lo stesso dato ha avuto tra i pro), e peggiorare di molto il dato da 2pti lo rese un realizzatore bisognoso di un po’ troppi tiri per mettere insieme le proprie cifre. Questo fu il parere dei Nets, che lo impiegarono molto meno nel loro primo anno a Brooklyn e che, l’anno seguente, lo scambiarono per dare inizio alla Odissea 2013-14 di Brooks. Tre volte scambiato. Tre squadre, due iper-perdenti in stagione (Boston e Lakers) ed una che definirei “fornita” negli esterni: Golden State.
La maledizione dei realizzatori collegiali aveva investito anche MarShon, un ragazzo che non ha visto mai nemmeno da lontano uno spogliatoio ed una organizzazione vincenti, che non è mai stato destinato ad essere un difensore, né un cultore delle percentuali di tiro e nemmeno, statistiche alla mano, un tiratore spot-up, da ricezione sugli scarichi, da catch’n’shoot. Praticamente, ahilui, tutto quel che gli viene chiesto nel gioco di Banchi. Unitamente al fatto che lo scorso anno, tra una trade e l’ altra, ha messo piede in campo nemmeno 60 volte, e mai per minutaggi decenti. Giovane, ma per forza un po’ arrugginito e dunque con forte necessità di minuti in campo ed autostima.
Lui, che dalla panchina è stato affossato, non è aiutato da minutaggi di 14 minuti come contro il Barcellona; per il suo pieno rendimento non risulta funzionale l’esclusione dal quintetto, o il panchinamento dopo due tiri sbagliati e un fallo in attacco assai dubbio come contro il Bayern. Forse non è il tipo di talento che potrebbe essere più congeniale a Milano, ma talento ne ha, ed infatti il canestro e la tripla dell’inizio della vittoria in Germania sono stati suoi, e consecutivi. Certo un tiratore di quelli precisi e noiosissimi, una versione solo appena più atletica di un Lauwers qualunque, sarebbe più consono (non vogliamo parlare di utilità o di opportunità di certe scelte, immaginiamo che la società abbia ponderato il suo acquisto) al gioco di Milano, ma se lo sport è una sfida, allora questa è quella che si para davanti al coaching staff di Milano: MarShon è quello le cui caratteristiche sono illustrate dalla sua-nostra storia, può e deve migliorare lui, ma può farlo anche chi lo allena, evitando che il finale diventi la solita, un po’ trita, parabola della contrapposizione tra uno che difende ed è molto devoto al sistema e uno che non difende tanto ed è un po’ anarchico.