Altri 12 punti per addentrarci nella parte finale della Regular Season della NBA.

1 – IN/OUT EMBIID. I Sixers hanno fatto uscire una nota il 24 febbraio: rendevano pubblico che, nonostante lo stop (ennesimo dopo l’ennesimo ritorno), la stagione di Embiid non era da considerarsi chiusa. Il ritorno era durato 2 gare. In quel momento Embiid, alla sua stagione 11, aveva giocato 452 gare su 877 disponibili: fuori per il 48.5% degli appuntamenti. Pochi gg dopo, un leak da parte di “un dirigente informato” ma anonimo, fa scoppiare la voce che PHI sia pronta a considerare la medical retirement option su Embiid, onde risparmiare la gravosa estensione triennale da 194 MM$$. Cifra assurda considerando che la franchigia ha accettato l’estensione lo scorso settembre, con Embiid sostanzialmente ancora infortunato. Cifre simili derivano dalle regole che governano le possibilità di trattenere i giocatori-franchigia. Nei pochi gg tra 24 e 28 febbraio era emerso, che come unica reale via d’uscita, molto probabilmente, Embiid ha una complicata operazione di sostituzione ossea. Colpo pesantissimo per la franchigia tra operazione, rieducazione e incertezza degli esiti sul campo: da qui il l’opzione medical retirement. Si tratta di una pratica che viene esaminata da un medico esterno nominato dalla NBA quando scadono 12 mesi dall’ultima gara giocata: 22 febbraio 2026 è la data.

2 – JARRETT ALLEN. Alle 60 partite giocate, il meno considerato delle 4 punte dei Cavs sta giocando la sua migliore stagione. Doppia-doppia di media a 14+10, la migliore percentuale dal campo in carriera, 60 giocate su 60. Qui sta il vero pericolo: non si tratta di un giocatore dalla salute di ferro, in 7 anni ha mancato una media di 15 gare/anno e spesso le sue assenze si sono protratte nei PO. Per questo motivo coach Atkinson sta tenendo Allen alla media minuti più bassa degli ultimi 5 anni: 28.5 che tengono lieve la pressione sul fisico.

3 – ASSAGGIO DI MOCK DRAFT. Con marzo iniziano le pubblicazioni, periodicamente aggiornate, del mio classico MockDraft. Abbiamo già parlato di Cooper Flagg, della possibilità che voglia rimanere a Duke più che altro per evitare di finire a WAS o CHA. Se dovesse ritirarsi dal Draft, probabilmente la prima scelta diventerebbe uno dei due Cavalieri Scarlatti di Rutgers: più probabile Dylan Harper, comboguardia di 197 cm quindi anche per la NBA con stazza di élite; l’altro, Ace Bailey, ha di certo maggiore potenziale: è una sf di 208 cm, con braccia infinite e a livello NCAA, nonché 18 anni appena compiuti, tira da 3 col 37%, segno che il materiale su cui lavorare è sopraffino… ma non è NBA ready come il compagno di squadra.

4 – RoY RUN. Dopo i futuri rookies, gli attuali. La corsa al Rookie of the Year non vede coinvolti i primi 3 scelti: i due favoriti infatti sono Jaylen Wells di MEM e Stephon Castle di SAS. Il mio preferito è Wells, perché viene da dietro essendo stato scelto al N.39 e perché gioca in quintetto da inizio stagione in una formazione ampiamente vincente (a lungo 2’ ora 4’ nella WC). Castle è più elettrizzante, il suo gioco rimane più impresso a prima vista, ma è più grezzo e meno tatticamente maturo di Wells. In un ipotetico terzetto per la corsa all’Award inserirei l’altro rookie dei Grizzlies, il sorprendente Zach Edey.

5 – CHAUNCEY-B. Zitto zitto, nell’angolino NW, Billups sta dando qualche forma ai Blazers: indizi si stanno sommando. Dal 19 gennaio sono al 70% di W e occupano la prima posizione nelle stats sulla difesa contro le triple (primi per minor numero di triple sia concesse che realizzate dagli avversari); sono primi nella striscia, ma anche al 4’ posto su tutta la stagione, per punti da reboff (un paio di decimi sopra i 16); hanno il giocatore che guida la NBA per sfondamenti subiti ed è stato Defensive Player di febbraio: Toumani Camara, il Belga da Dayton U scelto nel 2023 dai Suns e poi tradato a POR. Il roster dei Blazers è decisamente spostato verso gli esterni: nel tempo, gli infortuni frequenti dei lunghi, in particolare Ayton e Williams III, hanno dato alla squadra una “forzata” impronta di modernità imponendo una line-up leggera per 4/5 corredata da un lungo pesante, in questo caso il rookie Clingan. Altro dato: il commitment dei due giocatori più valutati, Jerami Grant e DeAndre Ayton, è da valutare, è possibile vengano scambiati per dirigersi verso lidi meno lontani dalla conquista di un titolo (Grant ha 30 anni). Il cuore del futuro di POR è formato da un trio di guardie come Simons (sg), Sharpe (combo), Henderson (pg) e da un trio di ali: Avidjia, Camara, Jabari Walker. I lunghi come detto sono un’incognita: tra infortuni e possibili partenze, solo Clingan sarà di certo nel futuro prossimo dei Blazers.

6 – SCOTTIE-B. In the North sta crescendo un talento notevole, capace di dare alle partite un’impronta fisica che va oltre le pure stats. Scelto da TOR nel 2021, è quindi al quarto anno nella NBA. Ha sempre visto aumentare minuti, tiri e responsabilità, fino al 23/24 erano migliorate ogni anno anche le sue medie e percentuali. Ora, 24/25, i Raptors hanno terminato il repulisti e iniziato il vero processo di rebuilding: medie e percentuali di Barnes risentono del contesto peggiorato, da tabula rasa; esempi: da 47.5% a 45% dal campo, da 8.2 a 7.8 rebs. Però il suo impatto è enorme, nessun GM negherebbe di essere disposto a quasi tutto per averlo a roster. La sua completezza lascia stupiti: 19.8 – 7.8 – 6.1, con 1.5 rec e 1.1 stoppate; sa fare vivere insieme fisicità animalesca e tecnica di alto livello. Ha appena esteso il suo contratto con un 175 MM x 4 anni, quasi un max contract per la sua categoria di anzianità nella NBA.

7 – CHRISTIAN-B. Tutti considerano i Nuggets “corti”, troppo per arrivare profondi nei PO. Hanno ragione, ma DEN sta mettendo nel proprio corpo un giocatore che non era garantito sarebbe arrivato ai livelli alti. Christian Braun è fiorito più o meno all’improvviso. Per un bianchetto ha atletismo inconsueto, non è più solo un soggetto che difende e tira qualche tripla. I numeri del suo sbocciare: 10 quintetti nei primi due anni, 58 (su 60) nel 24/25; percentuale dal campo da 46 a 57; +1.5 rebs +0.6 ass e pti/gara raddoppiati a 15.1 su 10 tiri. La sfrontatezza e la fiducia sono ovviamente molto aumentate e si può dire che, ora, Braun è a un passo, in quanto giocatore perimetrale bianco, dal livello di Herro, Wagner, Reaves e si è già lasciato molto dietro i Divincenzo e simili.

8 – JIMMY-B. Pensavo fosse una trade fatta più per vetrina che altro. Per non dovere ascoltare nessuno dire che GS non provava a rendere lieto il finale di carriera dell’infinito Steph. Invece. Jimmy Butler ha ripreso non solo a fare numeri, ma a incidere sulle W. Forse per lui funziona così: dopo un certo numero di anni, 2 o 3 o 4, ha bisogno di cambiare aria. Si era reso insopportabile a Minnie, ha replicato a Miami, ora forse non farà in tempo a esserlo anche in California: ha 35 anni e mezzo. Da quando è a GS la squadra con lui in campo è 10-1. Ha garantito un +/- di +82, ha avuto 3 gare con 0 palle perse, è andato 9 volte in doppia cifra: non ha tirato particolarmente bene (57/126 dal campo, comprensivo di 4/24 da 3). L’ultimo dato però dice perché sia stato finora un innesto chiave per GS: le triple non sono un problema, da quelle parti; Butler è determinante per la dimensione del realizzatore “classico”, sollevando da tanto lavoro e tanto rischio fisico Curry. La difesa, pur non essendo più quella dei tempi di Chicago, è comunque garantita da Jimmy-B.

9 – GIANNIS, JOKER o SHAI? L’ultima uscita di Jokic con la prima tripla doppia a 30-20-20 rimane negli occhi e nelle menti per definirlo MVP 2025. Però sono almeno due i concorrenti, e visto che solo uno dei 3 non ha mai vinto il premio… Sono tutto dalla parte di SGA, perché la NBA ha bisogno di leggenda (quella dell’Incomprensibile Serbo è bellissima) ma anche di volti nuovi e nuove legittimazioni. Quindi 1) Shai 2) Joker 3) Giannis 4) Tatum 5) Cunnigham.

10 –IL BOLLINO DI KG. Kevin Garnett ha detto la sua su MVP (Shai) e su Tatum: in soldoni “ancora è troppo fighetto”. Non strano il “fuoco amico” per l’ambiente di Boston, in cui, come accade a SanAntonio (pto seguente), spesso la gloria passata è invalidante rispetto ai progressi o successi del presente.

11 – SPURS & POP. Due momenti molto difficili per SanAntonio. Popovich non tornerà per questa stagione, lo avevamo già intuito tutti. La prossima, chissà. Ma questo è un avvenimento, pur non felice, che gli Spurs devono usare come shock positivo per uscire da sé stessi. La Spurs culture è più la Pop culture, in realtà, ma ogni fase arriva a un termine. Politica, letteratura o sport, il termine è quando il protagonista principale non ha più la capacità di adattarsi (o imporsi) ai tempi. Pop è datato, il modello Spurs della creazione tassello-per-tassello è datato: oggi servono tempi più rapidi; non i Big3/4, ma, come è successo per il l’Anello di Boston, uno shock (la boiata di Udoka) da volgere in accelerazione positiva: arrivo di Mazzulla, togliere la bambagia a Brown e Tatum, trovare un paio di trade-chiave. Dall’arrivo di JRue, White e Porzingis al Titolo non sono passati 12 mesi. Molto diversa la tegola caduta su Wemby: il problema ricorda quello di Bosh, che alla lunga portò il giocatore al ritiro. Victor è più giovane, l’episodio sembra meno grave. Speriamo.

12 – RANKING PER L’ANELLO. A due settimane di distanza dal Power Ranking che li vedeva sesti nella corsa al Titolo NBA, la domanda è: quanto davvero sono vicini i Lakers all’Anello? Con una striscia di 8 W che li ha portati al secondo posto nella WC, la risposta è una sola parola: continuità. La continuità sta anche nella stabilità: trovata da pochissimo in una formazione che ha visto giocare minuti ben 24 persone finora. Dall’arrivo di Doncic il quintetto migliore per plus/minus, off e def rating è quello con Hachimura e Hayes a completare Luka, LBJ, Reaves. Una gara simbolo dei Lakers positivi (e miglior difesa NBA sullo span citato) è la W vs DEN, in cui JJ Redick ha stabilito una strategia per raddoppiare e triplicare Jokic durante i suoi post-basso, col risultato di togliere moltissimi passaggi al Joker e molta efficacia a quelli che riusciva effettuare. Si è trattato di disinteressarsi quasi del tutto del Nugget nell’angolo opposto a Jokic, confidando nelle capacità di recupero e nel fatto che le braccia dei difensori aggiunti sul Serbo (Vanderbilt e Finney-Smith molto spesso) oscurassero e rallentassero le uscite del pallone. Strategia efficace e anche dura (Vanderbilt 4 falli in 6 mins, per esempio, e del tutto felice di commetterli), ben messa in opera dai Lakers che hanno fermato DEN a quota 100. Quella volta. Sono capaci di farlo 16 volte e nei PO? I Nuggets hanno perso di 23 non giocando il 4’Q (-14). Non sono riusciti, anche perché non hanno personale del tutto adatto, a giocare lo switch-hunt per colpire Doncic in difesa: squadre meno forti ma con esterni più numerosi e mobili (Charlotte per esempio) hanno demolito lo Sloveno; inoltre ricordiamo i Celtics nelle Finals dello scorso anno, e si sono ripetuti nella W del “derby della NBA” domenica 8 marzo. Hanno messo sotto LAL prima fisicamente poi dal fisico sono passati alla testa, arrivando molto in fretta al cervello di Luka (4 perse nel primo quarto). I Lakers, insomma, hanno un significativo spiraglio per l’Anello, ma non così ampio come certi risultati attuali farebbero pensare: la fatica di una serie, la cattiveria di una difesa della EC, la durezza di una squadra come i Knicks bissata due giorni dopo da BOS sono una buona simulazione dei PO, e infatti…