Otto punti quando mancano 19 ore all’inizio delle FINALS 2023.
1 – CONTENTA. Le Conference Finals sono state prima amate poi odiate e quindi temute dalla NBA, ma alla fine sono state uno spot enorme per l’Associazione. Qualche dollaro in meno adesso, ma mucchi di $ in più per il futuro e aura di infallibilità sulle decisioni recenti. Pensateci. Partenza dalla ipotesi (molto labile) di Finals NYK-LAL o, più concreta e graditissima, LAL-BOS; arrivo a GS out, Knicks out, WCF Finals composte di 4 prodotti invece che 7 vinte dai Nuggets, franchigia nell’ultimo terzo tra le più valutate (da Forbes). Incubo assoluto. Invece. Finals inedite, concetto sempre positivo; ECF da assoluta leggenda: quarta rimonta da 0-3 nella Storia, prima volta nella Storia che la rimontante aveva #7 in casa; Celtics out ma Heat in, a dire che viene premiato il lavoro (non che a Boston siano fermi: la squadra l’hanno costruita dal Draft e quasi senza trade) minuzioso e certosino di una franchigia di città preminente negli USA, guidata da un duo (Riley / Spoelstra) capace di arrivare alla fine con 5 undrafted nella rotazione degli 8; sono Finals uniche anche per il primo 1 vs 8 dei tabelloni e per il primo approdo di una formazione dal Play-In: che geni possono dire di essere, nelle stanze NBA, essendo stati capaci di inventare una formula che scova nelle pieghe profonde della classifica una squadra che non sarebbe nemmeno entrata ai PO tre anni fa?
2 – CELTICS. “Vivere è sfidare. Non ha senso starsene riparati al sicuro. Per ottenere qualcosa si deve essere pronti al cambiamento” (Miles Davis, The Birth of Cool). Questa massima deve guidare il management dei Celtics per il futuro. I Ragazzi Fighissimi non vincono. O meglio, vincono ma non arrivano in fondo. Dal 2017, sette stagioni, Celtics alle ECF 5 volte, vinte 1. Quindi, OK: ok il tradimento di Udoka, ok la terna con Scott Foster e Tony Brothers per #7, ok l’infortunio di Brogdon… MA è evidente che qualcosa deve cambiare, e non si tratta di tecnica. Le occasioni di cambiamento non capitano sempre, vanno afferrate. Per una serie di coincidenze Giannis è sostanzialmente libero, Luka è semilibero: i due costano Ta(n)tum, ma vanno almeno esplorati. Opinione personale: gli unici che non lascerei partire di questi Celtics sono Brown, White, RobLob.
3 – NOBILTA’. A proposito di ECF: dal 2010 sono 14 stagioni, quindi 28 squadre. Per 14 volte una di quelle 28 è stata o Celtics o Heat. Il 50% dell’EST recente sono loro, il 14% LeBron/Cleveland.
4 – DAME. Una delle cose che porterò come estratto di questa stagione sarà il comportamento di Lillard, campo e fuori. Sul campo i 71, un mark nella Storia che gli mancava. Fuori: il non essere fuori, non essere via da Portland, rimanere attaccato alla franchigia e alla città (se resiste).
5 – LIQUIDE. È l’era del “liquido”. Lo sono i contratti di lavoro, le teorie, il gender eccecc. Non scappa lo sport. Zona liquida, per esempio. Sono liquidi i GS Warriors, i Kings, i Celtics. Anche gli Heat, in maniera diversa. Liquidi perché non possono fare altro. “Liquido”, nell’accezione considerata, è aggettivo pericoloso: si fa presto a passare da “dotato di capacità di adattamento” a “essere nulla”. MIA ha una sola vera forza, che rende efficace la massa liquida: è sempre coesa. Oltre a ciò, gioca le gare, con tutta evidenza, lasciando il punteggio in prospettiva: giocano in realtà il singolo possesso. Poi la gara finisce. Poi il possesso dopo. E la gara finisce. E così via. DEN è squadra assai classica, al di là della mole di talento a disposizione: ha due smontatori per eccellenza, che saranno la vera chiave per minare la coesione degli Heat. Gordon e KCP sono il tesoro che varrà ai Nuggets il primo Anello. E così vi ho anche fatto il pronostico.
6 – PELINKA. Altra cosa da portarsi via del 22/23: il ritorno di Rob il Belloccio. Silenziata (grazie Jeanie Buss) la negativa influenza di James, in 3 giorni, gli ultimi 3 prima della trade-deadline, Pelinka ha (ri)fatto la squadra. No, più precisamente: una squadra quasi da Titolo. Ha scelto lui anche Ham, che è la rivelazione della stagione tra i coach. Occhio a questa coppia.
7 – TEAM USA. Non mi interessa “prima” sapere chi andrà a comporre il Roster di T-USA: la parte interessante è il “dopo”. Chiedersi come e perché hanno tenuto x e non y, oppure cosa ha spinto k fuori dalla lista– troppo tonno nei sandwich? Per questa volta faccio un’eccezione: spero che Banchero vada in T-USA. Così qui la finiscono di richiamarsi all’onore di patria e a tutte le altre corbellerie che si sentono dire a proposito di PB e del suo intreccio con Azzurra. Aggiungo che desidero anche Embiid vada a finire nel roster: per tacitare quelli che parlano di inutilità dell’inclusività. Né Banchero né Joelone sono minimamente figli sportivi delle loro nazioni, non hanno ricevuto nulla da Italia e Camerun, e sono cittadini (anche) USA.
8 – NURSE, GRIFFIN, SERGIO. Nick e Adrian, head e primo assistente difensivo (all’attacco pensava Scariolo, favorito per tornarci) dell’Anello Raptors 2019, si sono spartiti i due lavori più interessanti. Interessanti, non migliori. Le conferme di un rebuilding di MIL arrivano anche dalla scelta di Adrian Sr (papà del compagno di Banchero a Duke, ora ad ATL), un primo lavoro da head tipico in situazioni del genere. Un allenatore vero, dopo gli anni assurdi del coaching… liquido di Doc Rivers, per i Sixers: Nick Nurse è alla prova decisiva della sua carriera. Se è vero che ha già un Anello, è vero anche che non si è mai trovato lontano da TOR, a suo modo un’isola felice nella NBA. PHI è esattamente l’opposto. Un luogo in cui DOC J e Moses Malone hanno vinto un solo Titolo, Iverson e Larry Brown nessuno. Auguri.