Piccola pausa dalla cronaca nuda e cruda, se non per un paio di appunti.
Le gare di Stanotte hanno sentenziato che la crisi di Washington è davvero pprofonda: ad Orlando gli Wizards sono stati battuti dai Magic buttando via 18 palloni e un terzo dei tiri liberi (13/19). In Utah, privi di Kyrie per motivi famigliari, i Celtics hanno perso subendo la partita dell’ex di Jae Crowder (20-6-4 dal pino, con 1 rec e 1 stoppata) e lo strapotere dei Jazz sottocanestro (45-28 il conto dei rimbalzi: Horford, dove sei?). Grazie alla difesa tuttavia erano riusciti a compensare quel deficit: tra perse di Utah (18) e propri recuperi e stoppate (sommate 14) i ragazzi di coach Stevens hanno tirato 11 volte più dei Jazz (88 vs 77), solo che a basket il segreto, alla fine, è prenderci (44% dal campo Boston, 55 gli avversari).
Tuttavia oggi ci occuperemo di due nazioni alla ribalta, nella NBA come a livello internazionale, con conseguenze non simpatiche anche per Azzurra.
La nostra Nazionale, ribattezzata Azzurra da Aldo Giordani ai tempi dell’oro europeo di Nantes 1983, è in buona posizione per qualificarsi ai Campionati del Mondo. Dovesse riuscirci, in quel momento inizierebbero i dolori. Anni addietro la parte più difficile dei tornei Internazionali, venendo dall’Europa, era qualificarsi: al Torneo si sarebbero trovati infatti veri avversari solo a partire dalle fasi ad eliminazione diretta. Cina, l’Africa, gli altri continenti che non fossero Europa o Nord e Centro America presentavano ostacoli del tutto marginali. Dopo essersi qualificati contro, per esempio, Polonia-Rep.Ceca-Belgio era quasi rilassante iniziare il Mondiale in girone con USA-Australia-Cina. Non è più così. La Cina e le squadre africane (in particolare Senegal, Tunisia, Egitto, Nigeria e la sempiterna Angola) sono molto progredite, anche se mantengono, per il livello internazionale, una ingenuità di fondo che annulla il potenziale dei singoli giocatori; Iran e Messico sono veri e propri movimenti: il Messico, poi, attende una franchigia NBA a Mexico City, il che fornirà ulteriore sviluppo alla crescita del basket centramericano in genere. Impressionante, infine, è il colpo d’ali impresso da due paesi: Canada e Australia. Bei tempi, per i loro avversari, quando queste due Nazionali erano null’altro che la partita di riposante intermezzo tra due gare “vere”.
Se l’Australia aveva sempre avuto una posizione dominante almeno all’interno di due mondi: Oceania e Commonwealth, la sorpresa assoluta è il Canada. Oltre che lo sforzo a livello governativo e statale a favore della pratica sportiva in genere, la crescita canadese si deve a tre fattori: la fame di basket di alto livello, che spinse negli anni ’90 la NBA ad aprire due franchigie canadesi (Vancouver Grizzlies e Toronto Raptors); la famelica IRS, l’agenzia delle tasse USA, che ha spinto un certo numero di ex atleti (soprattutto di medio calibro) a cercare lavori o creare attività post-carriera nella più clemente Federazione Canadese; Steve Nash: uno dei migliori giocatori della Storia, nazionalità canadese anche se nato in SudAfrica. E’ immortale nella mia memoria la bellissima puntata dei Simpsons che visitano il Canada: il cartone animato di Steve Nash appare impegnato a cercare di ispirare basket nella nazionale, che è composta da tre vecchiette e dal nipote (che non ne vuole mezza di stare di lì) di una di esse. Erano i mid 90’s e la situazione reale non era molto diversa. Vent’anni dopo, sì: tutto è diverso.
Ci sono ad oggi 16 giocatori canadesi nella NBA, altrettanti in giro per l’Europa o la Cina: sono capaci di formare due Nazionali, la più debole delle quali a occhio e croce non sarebbe inferiore all’attuale versione di Azzurra. Vi propongo un roster di 15 con qualche possibile ulteriore sostituto.
Guardie: Jamal Murray, Dillon Brooks, Andrew Wiggins, Cory Joseph, RJ Barrett
Ali: Nik Stauskas, Shai Gigeous-Alexander, Justin Jackson, Trey Liles, Melvin Ejim
Lunghi: Tristan Thompson, Kelly Olynyk, Khem Birch, Dwight Powell, Kyle Wiltier
Il terzo quintetto di questo roster molla 20 punti all’Italia. Gli unici che non giocano nella NBA sono RJ Barrett, che sta a Duke ed entrerà nei Pro al prossimo Draft forse come Prima Scelta Assoluta, Melvin Ejim che dopo i successi di Venezia guadagna da emiro a Kazan, e Kyle Wiltjer (figlio di Greg) che dopo aver quasi vinto la NCAA a Gonzaga ha giocato prima per l’Olimpiacos ed ora all’Unicaja. Ho tenuto fuori, per rispettare un numero identico di giocatori per ruolo, la pf Anthony Bennett che prova a ritrovare se stesso nella G-League dei Clippers, guardie come Kevin Pangos (ora al Barcellona e lo scorso anno nocchiero dello Zalgiris dei miracoli di Saras Jasikevicius), Tyler Ennis (fino allo scorso anno NBA ed ora al Fenehrbace), Naz Mitrou-Long (G-League dei Jazz), Doornekamp (Valencia), Rathan-Mays (AEK Atene), Brady Heslip (tiratore micidiale anche a Cantù, ora Francoforte), i fratelli Scrubb (Philip a Francoforte, Thomas a Varese), Andy Rautins (figlio di Leo, solidissima carriera in Europa), Aaron Best (G-League dei Raptors), Dyshawn Thomas, ala che sta facendo benissimo a Sassari. Di tutti i giocatori citati, il più vecchio è Doornekamp, che non ha ancora compiuto i 33: ulteriore prova di come il salto del basket canadese sia stato repentino e incredibile, ritrovandosi da quasi zero ad avere un bacino di circa 40 giocatori pronti per la Nazionale. Dimenticavo: il Canada ha vinto l’ultima edizione dei Mondiali Under 19, Cairo 2017, battendo in finale l’Italia, ma soprattutto facendo fuori gli USA in semifinale. Il mondo è avvertito.
Il salto del Canada è stato impressionante, più tranquillo il procedere dell’Australia, che ha sempre avuto una posizione di preminenza in Oceania ma anche all’interno del Commonwealth (di cui però fa parte anche il Canada..): si tratta di un movimento ben costruito e di ottime tradizioni, che ha una lega non ipercompetitiva ma del tutto degna (NBL), in cui hanno giocato, arrivando in Australia come stranieri e poi stabilendovisi, i genitori di un paio di soggetti di un certo peso: Ben Simmons, Dante Exum, Kyrie Irving. Kyrie fin da ragazzino ha fatto valere la doppia nazionalità scegliendo gli USA, ma immaginate il seguente roster con lui in aggiunta: sono lontani davvero i tempi eroici di Andrew Gaze e Luc Longley.
Guardie: Patty Mills, Dante Exum, Matt Dellavedova, Kevin Lisch, Chris Goulding
Ali: Ben Simmons, Joe Ingles, Jonah Bolden, Ryan Broekhoff, Mitch Creek
Lunghi: Aaron Baynes, Thon Maker, Matt Hodgson, David Andersen, Andrew Bogut
I non-NBA sono Lisch, Goulding, Hodgson, Andersen e Bogut che giocano nella NBL australiana e Creek che gioca nella G-League dei Nets. Molto meno profondi del Canada, e l’età media è decisamente più elevata. Storicamente, però, il ricambio australiano non è rapido: il giocatore simbolo del basket aussie è Andrew Gaze, una guardia/ala sopraffina, dalla carriera capace di abbracciare 3 decenni, dalla fine degli 80’s scavalcando anche il 2000. Così vale per David Andersen o Andrew Bogut, che ha trascinato il suo corpaccione back to Sidney dove gioca ora dopo i successi (e i tanti infortuni) NBA. Dei 15 Australiani si deve dire che l’ipotetico quintetto farebbe tremare anche TeamUSA, mentre i cambi abbasserebbero un po’ la qualità: partire con Mills-Exum-Ingles-Simmons-Baynes è però abbastanza tranquillizzante, contando che il coach è uno che ci sa fare. Sì, anche gli allenatori vengono dalla NBA, ma in questo caso l’Australia surclassa il Canada: Brett Brown (head-coach dei Sixers) è dieci spanne sopra Jay Triano (assistente a Charlotte ed ex di tante squadre, Raptors epoca Bargnani compresi).