Tempo di NBA Awards, qui a Baskettiamo.

Luca Morucci ed io, avendo idee differenti, abbiamo deciso di raddoppiare i riconoscimenti, dando le rispettive preferenze su chi è stato il Migliore nella NBA nelle varie categorie.

La chiamata più difficile è quella per il MVP stagionale. In generale ho seguito la regola di premiare non solo le prestazioni ma anche le circostanze: quante e quali difficoltà i candidati hanno dovuto affrontare in stagione, da che livello erano partiti, e infine in che misura il loro rendimento si è riversato su quello delle loro squadre.

 

MOST VALUABLE PLAYER. Penso che il premio vada a James Harden. La presenza della Barba è la pietra angolare degli Houston Rockets di quest’anno. Vero, il sistema “seven seconds or less” di Mike D’Antoni è stato importante, così come la resurrezione di Gordon. Ma Nulla di quello che Houston ha costruito sarebbe stato possibile senza Harden. Che non ha compagni particolarmente migliori di Westbrook. 29.1 – 8.1 – 11.2 sono i numeri, cui aggiungere il 44% complessivo al tiro, il 35% da 3, 1.5 recuperi a gara a fronte di 5.7 perse. Tenendo conto del saldo perse-recuperate, la ratio assists/palle perse è 2.66, e questo è il dato che, unito al quasi 53% nel tiro da 2, rende meglio l’idea della utilità complessiva di Harden, superiore rispetto ai due più reali suoi antagonisti, Westbrook e Thomas.

PRIMO QUINTETTO ALL-NBA

Isaiah Thomas-Harden-Westbrook-Leonard-Gobert

SECONDO QUINTETTO ALL-NBA

Lillard-Curry-Antetokounmpo-James-Davis

 

ROOKIE OF THE YEAR. Dato che non esiste un numero di partite minimo per l’assegnazione del riconoscimento, e dato che nelle 31 gare giocate ha fatto vedere cose mirabolanti, il Titolo va senza alcun dubbio a Joel Embiid. Non c’è proprio storia. Anche se riconosciamo i meriti dei due vassalli: Malcolm Brogdon e Dario Saric. Piuttosto, noterei come i 3 migliori rookies siano un giocatore scelto 3 anni fa e che non aveva mai potuto giocare per infortuni vari, un giocatore scelto due anni fa e lasciato a maturare in Europa, e un giocatore scelto al secondo giro di quest’anno. Non pervenuti, o pervenuti maluccio, i primi due del Draft 2017, Simmons e Ingram.

QUINTETTO ALL-ROOKIE

Brogdon-Valentine-Jaylen Brown-Saric-Embiid

 

DEFENSIVE PLAYER.

Scelta difficile, da spartirsi tra un giocatore sempre sotto i riflettori come Draymond Green, uno ipersottovalutato come Marcus Smart, ed uno emerso prepotentemente in questa stagione, Rudy Gobert. Alla fine diamo la palma al Francese. Ci piace premiare l’emergente e rendere omaggio al sottovalutato, prima di dare il giusto riconoscimento anche a Dray-G. Gobert ha sommato 14+12.8, e ha mollato 2.6 stoppate per gara; ha dominato la NBA in difensive plus/minus, e ha la maggior percentuale di azioni difensive vincenti della sua squadra, che è la terza nella NBA come rating difensivo. Se si sottraggono le palle perse alla somma di recuperi e stoppate, si ottiene un saldo positivo di 1.4, quindi riteniamo il centro dei Jazz del tutto adeguato.

QUINTETTO ALL-NBA DIFENSVO

Marcus Smart-Avery Bradley-Ariza-Green-Gobert

 

MOST IMPROVED PLAYER

Anche qui la scelta è stata davvero difficile, in particolare perché quasi tutti i giocatori tra cui pescare partivano già da una piattaforma di eccellenza. Antetokounmpo? Gobert? Isaiah Thomas? James Johnson o Dion Waiters degli Heat? La capacità di fare letteralmente TUTTO sul campo da basket ci ha fatto scegliere il Nostro Grande Grosso Pterodattilo Greco. I numeri? 22.9 – 8.8 – 5.4, con 1.9 stoppate e 1.6 recuperi, a fronte di 2.9 perse. Tirando il 27% da 3 (unico dato in cui è rimasto in linea con le % in carriera, senza migliorare), il 55.5 da 2. Nelle W la sua % di tiro è il 73%.

 

6TH MAN OF THE YEAR

Uno di quei premi in cui si parte già con un favorito assoluto, ogni stagione che il Cielo comanda: Jamal Crawford. Quest’anno, per fortuna, ci sono stati molti più contendenti, e la guardia dei Clippers non ha ricevuto il nostro voto. Noi andiamo con Eric Gordon, che, arrivato a Houston nel silenzio più totale, ha fatto onde vere sia come back-up di Harden, sia riuscendo a giocare tranquillamente insieme alla Star dei Rockets. Raramente si è visto un back-court offensivamente più efficace della coppia Gordon-Harden. Ricordiamo solo i 31 minuti di utilizzo medi, e il 37% da 3, peggiorati nel finale di stagione da un aprile condotto al 32.5%. Non dimentichiamo nemmeno CJ Miles, calato dopo l’AllStarGame, Lou Williams, che ha visto interrotta la sua candidatura dal trasferimento a Houston, Marcus Smart, che offre sempre una spinta ai Celtics, e Iggy, per quanto ha fatto in occasione dell’infortunio a KD.

 

COACH OF THE YEAR.

Nessun dubbio. Ci dispiace per Mike D’Antoni, ma la nostra ferma intenzione è dare onore al lavoro di Eric Spoelstra a Miami. Un capolavoro. Non solo non ha dato corso al tanking che tutti consigliavano Miami di adottare, ma ha riunito un gruppo privato per motivi diversi di Wade e di Bosh. Ha dato un gioco che tutti hanno ammirato per precisione di esecuzione, ha combattuto contro infortuni a quasi tutti gli uomini più importanti: Winslow, Richardson, Waiters. In particolare Dion Waiters è stato un giocatore che il coach ha letteralmente trasformato da negativo a positivo, così come ha ridato fiducia a James Johnson, che è diventato un protagonista assoluto della NBA di Marzo e Aprile. Record per partite rimontate (19) per tornare al 50% di record in tutto lo sport pro americano. PlayOffs mancati essenzialmente per abuso dei riposini da parte delle squadre che affrontavano i concorrenti di Miami nel finale di stagione. Un monumento a coach Spoelstra, che, tra  l’altro, in un’epoca in cui tutti lamentano la sparizione delle bandiere, non ha mai lavorato altro che per gli Heat, e sono più di 20 anni in vari ruoli, dalla gavetta alle stelle.