Altri 53 minuti per gara2 della Finals, prima volta nella storia che succede nelle prime due partite.
La seconda partita ha onorato la prima e l’ha superata: un autentico capolavoro, una sceneggiatura pronta per Cannes, Berlino e il Sundance. Di sfuggita, segnaliamo che la serie è ora pari: Cleveland ha fatto 1-1, e si porta alla Quicken Loans Arena il tesoro di aver annullato tutto quello che la stagione di assoluta bellezza dei Golden State Warriors aveva costruito. La serie non può avere pronostico, ma ora è come se i Cavs avessero vinto 70 partite in regular season, e non 53.
LeBron James ha un’anima melò: il temperamento melodrammatico è uno dei lati irritanti del suo carattere. Le Decisions, i Ritorni, le pause e i sospiri durante le interviste, intesi a sottolineare i propri sforzi e sacrifici, la voce fonda e a volte sul filo di rompersi, i capitomboli immotivati dopo contatti minimi, le mossette di dolore dopo uno zigomo appena (e soltanto forse) sfiorato….c’mon, son tutte cose che dette e fatte da Hulk risultano ridicole anzichenò. Eppure, a volte, sul parquet come in un testo teatrale, anche l’insopportabile vena melò sforna un’opera, una partita, memorabile. Come molti capolavori anche questo si è giovato di una o più contaminazioni, la più sorprendente delle quali è stata, per gli Warriors, che la lingua in cui si è recitato non è stato basket NBA puro, ma un dialetto imbastardito da tanto, tantissimo gergo Eurolega. I Cavs hanno un consulente speciale in materia, è il loro allenatore David Blatt, che ha risposto sul campo alla più che imbarazzante domanda di una cronista della Bay Area che gli aveva chiesto se si sentisse a proprio agio su un palcoscenico importante come quello delle Finals. Il buon David aveva risposto, con divertita accondiscendenza, che non era certo la prima finale che gli toccasse giocare..Questa serie finale, in particolare, ha la fortuna di giocarsela avendo in roster una personalità di assoluta invadenza come LBJ, ingombrante come solo MJ e Kobe negli ultimi 20 anni, però…che giocatore. Con quel telaio e quella tecnica ti sorprendi nel constatare che abbia messo a segno solo 47 (11 nei PO) triple-doppie in 11 anni di carriera, ma è perchè per un sacco di tempo non ha nemmeno contemplato la possibilità di passare la palla: la necessità di far parte di un Big-Trio (a Miami come a Cleveland) si motivava con la necessità, ogni tanto, di una delega delle responsabilità agli altri due, ma non prevedeva certo la possibilità di passar loro (e tantomeno ad altri) la palla; insomma: quando sono stanco giocate voi, per il resto state buoni e tranquilli – questo era più o meno il concetto, e gli assists, giocoforza, languivano. Quest’anno, pianpiano, qualcosa è cambiata. Ha dovuto scoprire, complice una partenza di squadra orribile, il linguaggio meticcio del proprio coach: LBJ nelle interviste, tra una pausa ad effetto e un’occhiata storta, sempre miranti a far intendere di essere lui il capo, ha iniziato a dar credito a Blatt, e a seguire sul campo le sue idee. Ha constatato che gli altri 2 Big sono meno egotici e glamour di quelli che lo accompagnavano a Miami, e che Kyrie e Kevin potevano prescindere da lui molto meno di quel che potevano (e volevano) Chris e Dwayne. La summa di questo processo si è avuta stanotte, in assenza degli altri due. Perchè, sì, stanotte la gara dei Cavs e di James è stata un momento apicale della storia della NBA, come il tiro di MJ sopra-di sotto-di fianco a Craig Ehlo, o lo scarico (con annessa predizione di sciamanesimo cestistico) di MJ a Steve Kerr. Le fredde cifre dicono 39-16-11, in 50 minuti. Diventano appena tiepide considerando che da LBJ son dipesi almeno 61 dei 95 punti dei Cavs. Cominciano a scaldare il mio cuore laminato di parquet pensando che i ricevitori di quegli 11 assists rispondono al nome di JR Smith (un pazzo diventato savio, ma solo parzialmente, alla corte di James), Mozgov (un Russo dal nome di battesimo ingombrante, echeggiante quello di un Dio caraibico), Dellavedova (un Australiano d’America cresciuto a rosario e basket nel cattolicissimo St. Mary’s College). LeBron James prima della stagione 2014-15 non l’avrebbe mai fatto, non avrebbe mai passato la palla a giocatori simili, e avrebbe chiuso con 53 punti, la sconfitta, la richiesta di compagni migliori. In questo, oltre che nel rendimento, sta il suo capolavoro di questa annata e di questa partita. Avendo nominato i tre co-protagonisti, osserveremo che Mozgov è stato tenuto fuori da Blatt per tutti i finali 16 minuti (OT compreso) pur in una giornata che per il Timoteo caucasico si è chiusa a 17+11 in 29 minuti. Durante la partita mi domandavo se uno degli errori di Kerr non fosse quello di proseguire con lo smallball (Bogut fuori quanto e più di Mozgov) al cospetto di un coach che il 4 tattico, o stretch 4 che dir si voglia, lo ha visto, sui campi di Eurolega, nascere, e che ha nutrito e creato la fortuna e la storia di quel tipo di basket (David Blu-thental e Maccabì dovrebbero dirvi qualcosa). L’Australiano, invece, come una mosca rimaneva attaccato a Steph Curry, e non è stata solo colpa di una giornata storta il 5/23 finale, compreso l’air-ball sull’ultimo possesso, del figlio di Dell. Dellavedova ha giocato una partita di faticosa solitudine: in difesa era sempre faccia a faccia con Curry, lo teneva lontano dagli altri Guerrieri e insidiava e rendeva difficile ogni linea di passaggio e ogni ricezione; specularmente, lui stesso era isolato dai propri compagni, e chiunque abbia giocato sa bene che non è semplice mantenere una simile concentrazione, tanto meno lo è se poi, nella metà offensiva, non sei esattamente la prima opzione e la palla la vedi di rado. Matty dal mondo down-under ha giocato quindi una gara davvero da encomiare, e si è fatto trovare per una tripla, un rimbalzo offensivo e due liberi segnati proprio nel momento in cui più importava. JR…beh lui ha provato a far vincere i gialli: fouled out, 4 falli dei suoi 6 erano o su un tiro da 3, o per un and 1, o per regalare due liberi a metà, tutto negli ultimi nove di gioco supplementare compreso. Stasera ha prevalso il suo lato distruttivo, ma i suoi 13 punti non sono stati certo inutili. In staff e giocatori di Golden State, una sola volta in vantaggio, di un punto, negli ultimi 29 minuti, il sentimento prevalente è parso essere la sorpresa. Sorpresa nel constatare che la famiglia perfetta pareva non trovare il modo di funzionare al meglio davanti al rebus proposto da quel basket di melassa e legacci che i Cavs stavano imponendo. Gli Warriors hanno atteso se stessi, e, come in gara1 erano riusciti a trovarsi negli ultimi 8 minuti e poi nel supplementare, in gara2 non sono arrivati che 3 minuti e 33 secondi davvero degni di loro, quelli finali dei tempi regolamentari a partire dal momento in cui LBJ con una tripla da 8 metri aveva fatto segnare +11 Cavs. Il capovlgimento non è riuscito, stavolta, e la sorpresa di nuovo è stata molta, nei ragazzi di Kerr, nel vedere che LBJ non è più quello che conoscevamo tutti. In gara1 si era messo a sparare da 3 (il suo 2/8 finale dall’arco era in realtà 2/4 fino al sorpasso Warriors), stanotte ha cercato degli 1vs1 stile duello western, sbagliandone alcuni, portandone alla retina altri, ma soprattutto trovando compagni liberi e pronti a segnare. Il fratello Splash più bravo stanotte è stato Klay (34 con il 50% al tiro in una simile corrida sono una prova davvero eccezionale), ma anche lui ha esitato nel finale, lasciando a Steph le responsbilità che Steph prende sempre, ma che stanotte non erano per le sue spalle. Thompson dovrebbe fare un po’ di scuola alla LBJ University, e diventare, quando necessario, meno pulito e gentile: per il resto, è un campione. Dopo aver atteso quasi 72 ore tra gara 1 e 2, ora le due a Cleveland saranno separate da 48 ore soltanto: si gioca martedì e giovedì, e non sarà semplice, perdurando questa intensità mostruosa per giunta impiegata per 53 e non 48 minuti. In ogni caso, ricordate: stanotte è stata una di quelle notti NBA.