Finita la Stagione NBA, non ci trastulliamo con i pagelloni delle Finals, la mano di LeBron e tutte le altre amenità.
Dopo le nominations pubblicate durate i PO, ed in anticipo rispetto alle scelte che effettuerà la NBA, ecco le mie scelte per i migliori della stagione.
Coach of the Year. Senza nessun dubbio ci tuffiamo su Brad Stevens. Vince senza il suo secondo miglior giocatore. Poi senza il suo miglior giocatore. Fa progredire al primo livello o al gradino immediatamente precedente Jaylen Brown, Tatum, Terry Rozier. E’ il migliore nei giochi chiamati sulle situazioni specifiche, come rimesse e tiri allo scadere. Allena la squadra, fa crescere i suoi uomini, e chi se ne va vede diminuire la propria efficacia (IT4 e Crowder). Regala ad Aaron Baynes un tiro da 3 (quasi il 50% per l’Australiano nei PO). Potrei continuare, ma non credo sia necessario.
Sixth Man of the Year. Siamo in linea generale contrari alle ripetizioni, e lo siamo stati ancora di più quest’anno perché tra i possibili pretendenti avevamo inserito anche Marco Belinelli (la parte di stagione ai Sixers è stata davvero magistrale) o un giocatore che la cui efficacia per primi in Italia abbiamo scoperto: Fred VanVleet. Tuttavia la stagione di Eric Gordon non è in alcun modo accantonabile: 18 pti col 36& da 3 e una eFG% al 54%, oltre al fatto di essere stato l’ultimo per davvero ad arrendersi a Golden State. Il premio è suo con merito.
Most Improved Player. Tanti pretendenti (Jaylen Brown, Terry Rozier, Dejounte Murray), ma uno spicca su tutti, perché il miglioramento è stato sensazionale: da mezzo incapace in declino nonostante la giovane età ad AllStar in meno di 10 mesi: è stato il percorso di Victor Oladipo. Sparito nelle spire costrittrici del malefico Russell Westbrook (che rende peggiori i compagni di squadra), appena allontanatosi da OKC è rinato portando i Pacers a 12 mins dall’eliminare LeBron James, e costruendosi una stagione da leader, lui che in Indiana ha fatto anche il college.
Defensive Player of the Year. Sappiamo di attirarci probabilmente molte critiche con questa selezione, ma non ci sono molti giocatori nella storia capaci di dominare e cambiare le partite tirando spesso sotto al 30%. Marcus Smart ha portato a livelli raramente visti la difesa 1 vs 1 e di squadra, sia tecnica che psicologica (indimenticabile lo sbrocco di Harden nella gara al TD Garden). Contando sul fatto che Dray-G ha vinto l’Anello, lasciamo a Smart l’onore.
Rookie of the Year. La generazione di rookies del 2018 è un po’ spuria, perché ad essa si associa Ben Simmons, che non ha giocato nell’anno della sua reale scelta. Una presenza ingombrante, che si somma ad una infornata di talento che è stata paragonata, con ragione, a quella del 2003: Wade, James, Anthony stanno tramontando proprio mentre arrivano Tatum, Simmons, Mitchell, Kuzma, Lonzo. Dato che questi Awards tengono conto della Regular Season, non possiamo non dare il Titolo a Ben Simmons. BS non è solo un talento immaginifico, ma secondo noi è anche un vero GameChanger, il primo dopo gli anni di Steph. Notiamo però che, se ci fossero anche i PO nel conto, Ben non avrebbe il premio..
Most Valuable Player. Le discussioni sarebbero infinite. I parametri su cui basiamo le nostre scelte non sono solo numerici, ma esaminano anche l’importanza del giocatore all’interno del contesto in cui si trova. La responsabilità che pesa sulle sue spalle. Molti daranno il premio ad Harden, con un sacco di ragioni al loro attivo. Ma ci sono stati tre giocatori, secondo noi, ancora più decisivi, senza i quali la franchigia non esisterebbe o quasi: parliamo di Anthony Davis, Damian Lillard e Giannis Antetokounmpo. Nell’anno precedente all’ingresso nella NBA dello Pterodattilo Greco la franchigia del Wisconsin veniva data cedibile per 400 MM$$: ad Ottobre 2017, pochi giorni prima dell’inizio della stagione, Forbes rivelava che il valore dei Bucks era di 785 MM$$. Raddoppiato o quasi, e ancora non avevano raggiunto i PO come hanno poi fatto. Sappiamo che non si tratta di tavole e canestri, ma Antetokounmpo è più di un semplice giocatore, è l’architrave sia sul campo che fuori, e visto che le cifre, dopotutto, non ci fanno sembrare dei pazzoidi (26-10-5, col 53% dal campo, 1.5 stoppate e 1.4 recuperi) diamo a lui il MVP 2018.
Restano due Side-Awards, non ufficiali ma presenti anche nella NBA.
Lo Steal of the Draft è di certo Kyle Kuzma, scelto dai Lakers col numero 27 e rivelatosi un giocatore NBA-ready come pochi: 16+6 con quasi il 37% da 3, e spesso ha messo in ombra il ben più reputato Ingram.
Il Comeback of the Year va invece con enorme piacere a Rajon Rondo, giocatore per il cui gioco e per la cui insolita personalità ho, lo ammetto, un debole. Dopo la gloria di Boston era incappato in un periodo assai brutto. Litigioso e indolente a Dallas, senza un vero scopo il suo passaggio a Chicago e Sacramento, nei Pelicans ha trovato, all’ombra di Monociglio Davis, il posto del leader “di sponda” che a lui tanto piace, sfoderando gare spesso ottime, a volte straordinarie (come quella dei 25 assists vs i Nets a Dicembre, ma anche i 21 serviti nella unica W dei Pelicans nella serie di PO vs Golden State), e sempre riuscendo a calibrare la sua personalità non proprio tranquilla con il bene e le esigenze della squadra, portando Nola alla prima serie di PO vinta (quella vs i Blazers) nell’era del nome “Pelicans”.