In questi giorni alcuni scossoni hanno fatto tremare la terra di L.A. ma una volta tanto non si trattava di geofisica: è solo NBA.
Prima scossa. I Los Angeles Clippers, quelli che chiamavo ClipperTown frazione di Paperopoli, quelli che pagano l’affitto ai Lakers per giocare, quelli che persino Vegas per le scommesse dava terminare la stagione con un cut di 33 vittorie: faranno i Playoffs, e non per ottavi. CONTEMPORANEAMENTE, i Los Angeles Lakers, quelli allenati dal figlio di una delle leggende di (U.C.)L.A., Luke figlio di Bill, quelli di Lonzo e Ingram next KD e Kuzma Steal of the Draft del 2017, Lakers che avevano messo alle scrivanie di comando nulla meno che Magic Johnson, e a cui infine si aggiungeva il Prescelto, il presunto miglior giocatore NBA, LeBron James (mai fallito i PO, mai un’edizione di NBA Finals senza lui negli ultimi 9 anni): loro i Playoffs li guarderanno alla tele.
Seconda scossa. Crolla definitivamente il mito di LBJ, sia come atleta che come compagno di squadra. E’ di poche ore fa che i Lakers silenzieranno James per il resto della stagione per preservarne il fisico: il mito dell’invincibilità di Robocop, già fortemente incrinato dal lungo infortunio tra Natale e Febbraio, crolla sotto questa scusa pietosa, paravento al fatto che James non ne vuole mezza di finire in campo la sua stagione perdente. His losing season, la chiameranno parafrasando uno dei più bei libri sul basket mai scritti. James ha clamorosamente fallito la prima volta che è stato messo a confronto ed insieme a un gruppo di talento ma formato da nativi digitali, giocatori nati non prima del ’95 (Hart, Kuzma; Lonzo e Ingram sono ’97 come Zubac e Wagner) che hanno avuto rispetto di LBJ ma non si sono mai sdraiati al suo cospetto come facevano altri, da Wade a Jr Smith. Ragazzi che ascoltavano le prediche del Prescelto tenendo le cuffie alle orecchie e pensando che forse il loro padre rompeva meno del Prescelto, ragazzi che prima di difendere per due hanno voluto vedere se James difendeva per sé. LBJ, in un mare sconosciuto, privato di pretoriani ubbidienti e messo al centro di un progetto fatto di giovani leoni con notevole ego, è naufragato. Letteralmente affogato, ed ora, pur di non terminare sul campo questa fallimentare stagione, se ne va anzitempo con una scusetta.
Terza scossa. Poco precedente alla notizia del “ci vediamo la prossima” di James, era arrivata l’indiscrezione della reazione di Jerry West, GM dei Clippers, alla volontà dei Lakers di operare una trade che mandasse in gialloviola Mike Muscala in cambio di Ivica Zubac. Una follia privarsi del centro serbo in cambio del lungo tiratore ex-Sixers, follia talmente grande che West ha accettato in tempo reale e poi ne ha scherzato a cena con gli amici dileggiando i Lakers. Ad aggravare la sesquipedale figuretta fatta dal management Lakers, il fatto che West (l’atleta su cui è ricalcato il logo della NBA) è una delle leggende dei Lakers, una carriera da 15 stagioni semper fidelis, Titolo 1972 e MVP delle Finals 1969. Come se un colpo di mercato pro-Inter fosse messo a segno da Del Piero.
Quarta scossa. Jeanie Buss, figlia di Jerry ed erede della famiglia proprietaria dei Lakers, ha messo da un paio d’anni Magic Johnson al timone del management della franchigia. Magic finora ha fatto solo disastri. Da quando c’è lui, da LaLaLand sono andati via talenti in serie, ed altri sono stati mal gestiti e mal motivati. Detto di Zubac, anche Jordan Clarkson (che era preso di mira dalle cattiverie di Kobe, il che significa che ha talento) e Julius Randle (per problemi di bocca troppo larga) sono finiti altrove, mentre i giovani leoni (Ingram, Lonzo, Kuzma, Hart, Wagner) e quelli meno giovani e un po’ meno, ormai, talentuosi (Rondo, Javalone, Caldwell-Pope, Chandler, Lance il Pazzo) arrivati per dare solidità alla panchina in modo da ben accogliere James, sono stati di fatto pubblicamente sputtanati da Magic mettendo 7 di loro (sono 9 in tutto) in combinazioni variabili sul piatto della trade per avere Anthony Davis (e Solomon Hill, ovvero nessuno). Sette giocatori più 3 prime scelte future (non dimentichiamo questo particolare) per avere il Monociglio. Magic con quella sciocchezza ha spezzato la squadra, polarizzandola tra LBJ e tutto il resto. Una mossa che rivela che Magic non ha capito in quale basket si stia muovendo ora. Sembra simile, a livelli meno gravi e meno sclerotizzati/cronicizzati, a quei tromboni (per esempio ex grandi allenatori ormai più bisognosi di una badante che altro) che ogni tanto tuonano ancora: “ai miei tempi….se ci fossi stato io….”; sembra regolato, Magic, su un tempo ormai passato: quello dei Big3. I Golden State Warriors hanno portato il basket su un livello differente non solo quanto a tattica, ma anche quanto a management: non è più epoca di Big3, ma di Big5 (o, minimo, Four). Non solo gli allenatori hanno dovuto fare passi (avanti? di lato? Non voglio dare ora questo giudizio, la realtà è che li hanno fatti) per contrastare il basket creato da Steph, Klay, Kerr e Dray-G: ora anche i GM e CBO li dovranno fare, per adeguare il loro comportamento a quello della Warriors-culture. Magic cercando di mollare 10 giocatori (presente e futuro dei Lakers) in cambio di uno solo(peraltro spessissimo in infermeria) ha combinato un disastro, che non sarà facile ricomporre in estate. Per non parlare del fatto che lo stesso Jerry West è stato tenuto lontano, nonostante la richiesta di Jeanie Buss di partecipare alla ricostruzione della squadra, proprio dalla presenza di Magic, secondo il classico schema del pollaio e dei due galli: Bill Plaschke, del Los Angeles Times, avvertì di questo prevalere di Magic su West a Febbraio 2017, chiosando l’articolo non con una critica su Johnson ma con un apprezzamento su West: he would have been perfect, per rifare i Lakers.
E’ incredibile ed eccitante allo stesso tempo pensare che vedremo questi NBA Playoffs senza LeBron ma con sia il Beli che il Gallo.