La Farragut Academy è situata a St Petersburgh, Florida.
Il nome onora David G. Farragut, primo ammiraglio della US Navy “riunificata” dopo la Guerra Civile. E’ una High School con qualifica da Prep School (quinto anno “parauniversitario”, lo stesso sfruttato quest’anno da Thon Maker per passare pro senza fare il college), di impostazione prettamente militare: la parola “onore” figura numerose volte nel sito della scuola. Da lì, dopo 4 anni alla Mauldin HS, è uscito nel 1995 un diciannovenne destinato a fare la storia della NBA, anche fuori dal campo. Kevin Garnett. KG ha annunciato il suo ritiro dal basket giocato, e una rapida somma consente di dire che ha passato nei suoi 40 anni di vita più giorni dentro che fuori dalla NBA: 7759 giorni da NBA, 6979 prima di entrarvi; significa che, ora che si è ritirato, dovranno passare altri 2 anni e 50 giorni prima che il conto sia pari. Basterebbe questoper definire che pezzo di storia sia KG per la Associazione, quale sia stata la dedizione al Gioco. Alla sua apparizione furono molti gli scettici, che vennero smentiti, non in maniera rapida e semplice, ma con il lavoro e progressivamente. Una NBA molto diversa da quella odierna lo accolse. Una NBA dove lui era solo un “Kid”, mentre tutti ripetevano che quello fosse un affare da “Men”. Anche Kobe dovette, con meno pressioni perché KG aveva in qualche modo aperto la strada, sottostare a quella legge, mentre LeBron, nel 2003, ebbe un’accoglienza del tutto diversa, e i ragazi di oggi che arrivano a 18 anni sono idolatrati da subito. KG ha aperto la strada, e la sua fatica è stata superiore e per tutti. Molti vedono nella sua entrata tra i Pro l’inizio della fine del College Basketball come era stato inteso fino allora, e forse la sua fine tout-court. KG è stato un 2.11 con la dinamicità di una guardia, l’aggressività di un minimosca portoricano, l’eleganza di uno che abbia frequentato la Julliard School of Performing Arts. E’ stato equivalente come attaccante e come difensore, come realizzatore e come stoppatore, come assist-man e come rimbalzista. E’ stato totale. E’ stato fedele e di parola: scelto al N. 5 dai Minnesota T’Wolves nel 1995, ha chiuso la sua parabola proprio in Minnesota, facendo in tempo ad onorare vestito della casacca azzurrognola la morte dell’allenatore che lo lanciò in quintetto: Flip Saunders. Dopo aver portato la franchigia a livelli mai prima raggiunti, l’ha lasciata per l’unico posto dove il suo profilo adunco poteva atterrare, Boston. Per raccogliere una sfida forse ancora più difficile: riportare il titolo ai Celtics dopo 22 anni. E’ vero, erano i Celtics dei BigThree (altra usanza NBA al cui inizio KG ha contribuito), ma nessuno nega che, senza di lui, nulla sarebbe accaduto a Boston. Lui ha portato l’indole guerriera, lui il guerriero capace di sconfiggere la maledizione della squadra del 1986: forse la più perfetta macchina da basket mai esistita, dopo la quale, però…nulla. E ancora, trasferendosi a Brooklyn, è stato parte di un doppio primato. La trade che ha portato lui e PP ai Nets è stata innanzitutto il più sublime atto d’amore che una città tifosa abbia mai tributato a un suo idolo: la sublimazione per di più del tutto sincera della frase che in tanti abbiamo usato come scusa, “ti lascio perché ti amo troppo e meriti di essere felice”, vai, prova a vincere un altro titolo lontano da me. In secondo luogo verrà ricordata perché, per portare le due stars dei Celtics ai Nets, la dirigenza broccolina ha messo insieme la trade più disastrosa di sempre, condannandosi a un decennio di sconfitte, dal momento che nel “Dream Team” messo in piedi solo KG e PP volevano davvero vincere.
Le stats potete trovarle ovunque, quel che ci preme di far ricordare di KG è che lui è sempre stato solo ciò che voleva e doveva essere. Lui ha percorso la sua strada non sempre facile, innescando una miriade di prime volte e record che hanno cambiato la NBA. Per molti aspetti la NBA odierna è una pura conseguenza della carriera di Kevin Garnett. Sufficiente?