Ed Opening Night fu!
E’ tornata la NBA, grazie al Cielo, per dimenticare certe robe obbrobriose viste tra Serie A1 e Champions League. La inaugurazione stagionale vedeva le due più forti dell’Est affrontarsi al TD Garden mentre a Oakland, prima che Warriors e Thunder si affrontassero, c’è stata la consegna ufficiale degli Anelli e l’addio dato alla Oracle Arena con la presentazione del plastico definitivo della futura casa dei Campioni in carica: la Chase Arena, locata a San Francisco e non più al di là del ponte, che avrà una superficie di 84000 mq: lo Stadio Meazza ci entra 11 volte, per dare un’idea di come il basket sarà solo il pretesto di un complesso che dovrebbe annichilire la parola “futuristico”. Sono state due gare simili nel non aver regalato discese ai vincitori, ma diverse per il modo e il tempo in cui le W sono arrivate.
A Boston sia i Celtics che i Sixers si presentano con i quintetti che avrebbero sognato di poter schierare lo scorso anno: Brad Stevens può finalmente far partire Gordon Hayward (10+5 con 4 rec) al ritorno dal terribile infortunio nella Opening Night (5 mins di gioco..) del 2017, e coach Brown dispone di Markelle Fultz (5-3-2, -16 di +/-), out quasi tutta la scorsa stagione. Questo significa, rispettivamente, Baynes e JJ Redick inizialmente seduti. Dai primi 10 possessi escono solo un canestro per parte e il resto sono palle perse, tendenza che si mitigherà nel corso della gara, ma intanto nei primi 10 mins i Sixers perdono 6 palloni (3 Embiid) e Boston 4. I primi minimi vantaggi per i Celtics arrivano tutti dalla differenza tra il rendimento di Tatum (8 punti nel quarto) e di Ben Simmons, che prende rimbalzi e serve assists, ma sbaglia i tiri dalla media che, nei video dei suoi allenamenti estivi, infilava sempre. I due coach attingono alle panchine con leggero anticipo rispetto al solito: è inizio stagione, e ha un senso questa cautela. Fare uscire Redick (16 ma con 17 tiri) dal pino permette a Phila di tenere il passo dei Celtics, anche perché Kyrie Irving (7-4-7, 3 perse, 2/14 al tiro) non segna (chiuderà scoreless il primo quarto) e l’unità priva sia di lui che di Horford (9-4-2 con 5 stoppate) non riesce ad attaccare come si deve: i cervelli di Kyrie e Al sono ancora molto più evoluti di quelli di Rozier e Smart. Per non parlare del primo impatto, disastroso, di Baynes: l’Australiano si fa mangiare in testa sia da Embiid (23+10 ma con 21 tiri, e 5 perse) che da Amir Johnson, non trattiene un paio di palloni in attacco e spara solo una tripla, senza casa. Il merito maggiore dei Sixers è tenere sempre in campo Ben Simmons (19-15-8 con 4 rec, ma 5/11 ai liberi) che tampona i buchi lasciati dai compagni e serve assists di fattura divina (un no look reverse per Fultz e uno in mezzo alla gambe per Covington). Contando chi sta girando bene e chi no nelle due formazioni, era però facile notare come il mancato decollo di Boston dipendesse da % di tiro orribili (sotto al 35%), e non dal gioco: pur tirando malissimo e segnando solo dopo un minuto di secondo quarto i primi punti dalla lunetta, Kyrie aveva +9 di +/- e tutto il quintetto dei Celtics era positivo in questo dato all’intervallo lungo. Elemento tattico di una certa novità nella difesa dei Celtics: nel primo tempo, sui post-basso di Embiid, coach Stevens ha usato quello che tra Smart e Rozier si trovava sul lato debole come una safety del football americano, tenendo il giocatore da subito molto staccato dll’avversario diretto sul perimetro, e lasciando che una delle due sue guardie andasse non a raddoppiare il centro camerunense, ma aspettasse ad intervenire quando Embiid aveva iniziato il movimento di 1 vs 1: da questa situazione è nata la stoppatona di Rozier che abbiamo scelto come simbolo e foto della prima notte NBA. Gordon Hayward? Bene ma non benissimo: non ha fugato tutti i dubbi sul completo recupero fisico, anche se è andato in doppia cifra ci è parso molto meno dinamico e più lento di come lo ricordavamo. Tanto è che, infatti, alla ripresa, in quintetto c’era Baynes e non lui. Mossa vincente. Introdurre Baynes permetteva di dirottare Horford su Simmons, riproponendo il mis-match che tanto aveva fruttato a Boston nella serie di PO 2017; contemporaneamente rendeva meno intasato il perimetro (e Kyrie si sbloccava un po’) e arrivavano frutti anche offensivi dall’Australiano (2 triple piazzatissime piedi a terra, tirando col sinistro spostato indietro come negli anni ’50). Le tre costanti della gara per Boston erano la grande prova di Jayson Tatum (23-9-3, 8/12 da 2, roba finissima, giocatore le cui frontiere di sviluppo forse sottovalutiamo), la consistenza dalla faccia sporca di Marcus Morris (16+10 con 2 rec, è l’unico che Brad Stevens lascia marcare isolato in 1 vs 1 Ben Simmons, senza aiuti o raddoppi) e l’alternanza 1disastro/1 capolavoro di Jaylen Brown (12-5-2). Alla fine, complice anche un’accellerata corposa del rendimento di Rozier (miglior +/- di tutti a +22), i Sixers hanno rivelato gli stessi difetti degli scorsi PO nei confronti dei Celtics: sono meno squadra, più leggeri, più morbidi (e senza Belinelli ed Ilyasova). I Celtics hanno dominato i secondi 24 mins, obbligando Phila a un 21 quasi periodico nei punti segnati per quarto (eccezione i 24 del terzo periodo), stritolando i Sixers come un maratoneta africano sa di poter mollare i rivali dal km 35 in poi. Prova dello sforzo triturante ma anche riposante dei Celtics è nei minutaggi: i 9 uomini più usati vanno dai 19 mins di Baynes ai 30 di Horford. Nessun 38 e nessun 12: la rotazione ha generato massimo impulso ma anche decente riposo; nei Sixers troviamo 43 per Simmons, 37 Embiid, 34 Covington: ovvio abbiano ceduto nel quarto periodo. Finale 105-87 Celtics.
Dopo le celebrazioni e gli annunci, invece, ad Oakland gli Warriors hanno prima dato l’impressione di poter disporre abbastanza agevolmente dei Thunder, poi hanno dovuto faticare parecchio, perchè nel secondo tempo Paul George ha rimesso nell’armadio il proprio sosia scarso (1/8 al tiro nel primo tempo, alla fine 9/23 per 27-2-5) e ha iniziato a segnare e difendere, tirandosi dietro tutta la squadra. Assente Russell Westbrook per l’operazione di pulizia al ginocchio destro (la quarta dal 2013), assente anche Roberson che sta perfezionando senza prendere rischi il proprio recupero. Quintetto quindi per Patrick Patterson (7+5, appena sufficiente) e abbastanza sorprendentemente per Terrance Ferguson (bocciatissimo, nulla in 27 mins, zero personalità). Steve Kerr presenta i suoi BigFour più Damion Jones (positivo con 12-3-2, 3 stoppate e 6/7 al tiro), che è il solo centro puro nel roster di GS: la mossa non è priva di significato, perchè indica che la la squadra si sta preparando alla presenza (fine Novembre?) di Cousins. Alcuni dati per chiarire come giocheranno i Californiani quest’anno. I primi 20 punti sono arrivati da 11 tiri: 9 segnati, 8 generati da un assist; 6 pti da due triple, 14 da canestri nel pitturato, solo 3 segnati da una guardia (tripla di Steph), sia Jones che Looney, i due lunghi, già a segno: non solo talento, ma suprema distribuzione; il primo tiro (non canestro: tiro) preso come jumper da 2 è stato di Durant, che lo ha imbucato, quando erano passati quasi 9 mins del primo quarto: si trattava del tiro numero 20 della partita per GS. O triple o schiacciate/lay-ups: è questo il ritmo di Kerr, che è assai simile al credo del collega bostoniano, pur snocciolato in maniera differente. Il problema che avevamo evidenziato nel ranking prestagionale si è puntualmente presentato per gli Warriors: la panchina. Più che discreta nei lunghi, presenterà problemi nelle guardie: Iggy e Livingston si gestiranno in RS, e Cook o McCaw (assente stanotte come Nick Young) non sono garanzie. Queste difficoltà, sommate alla brutta notte al tiro, in particolare di Klay Thompson (5/20 con 1/8 da 3, ma tutta GS è andata male nelle triple: 7/26, registrando però il 50% da 2, 35/69), hanno permesso ai Thunder del secondo tempo di tornare in partita e di restarci, grazie anche alle belle prove di Adams (17+11), Noel (7 rebs e 1 stoppata, quel che gli viene chiesto, in 12 mins) e Grant (7-2-2 ma tanta difesa ed energia). L’esordio di terzo quarto per OKC è stato pazzesco: 5/5 con due triple di George, 2 triple su 3 di Schroeder (buon esordio 21-9-6, career high a rimbalzo) e 5 pti senza errori anche da Adams e Patterson, per un 22-9 che ricompattava la gara. La difesa di OKC si è confermata ottima, come lo scorso anno: a fare acqua è il gioco offensivo di coach Donovan, che si risolve troppo spesso in forzature di 1 vs 1 centrale di George, o, se fosse stato in campo, di Westbrook. A 8 mins esatti dalla fine i Thunder erano sotto solo di 2, 87-89. Altro dato di come abbia funzionato solo nel finale la difesa degli Warriors: in 40 mins avevano concesso ad OKC gli stessi punti che i Celtics avevano concesso ai Sixers in 48. Da lì, in poi, però, la difesa tornava quella “modello Finals”, grazie soprattutto alla presenza di Looney (10-10-2 con 2 stoppate), e OKC, fino a che ci sarebbe stata gara, avrebbe segnato solo 10 pti, per poi chiudere a 100; i colpi vincenti per GS venivano da un And1 di Steph (32-8-9, inizio da 5/5 da 3, poi rovinato da 0/4) e da un lay-up con sacrificio fisico, finendo violentemente a terra dopo il deposito, di KD (27-8-6 senza metterla da 3, 0/5). Finale 108-100 Warriors. A margine registriamo l’involontario (probabilmente) definitivo requiem alla carriera di Carmelo Anthony lanciato da Chris Webber durante il commento alla gara: parlando della partenza di Melo da OKC, ha voluto sottolineare che comunque Anthony resta uno dei migliori “open shooters” della NBA, ovvero: uno dei migliori a tirare da libero. Grazie mille. E addio.