Da domani non ci darà più disparità tra Eastern e Western Conference: sono entrambe passate a celebrare le Conference Semis.

Ad Est sono state due Gara7 molto diverse tra loro nello svolgimento, eppure simili nel risultato finale, che ha premiato le formazioni di maggior talento complessivo e detentrici del fattore campo; tanto indifferente, giocare la bella in casa, non deve essere, se, prima di stanotte, la % di successo in Gara7 della formazione di casa era, nella storia NBA, del 80% (su 122, solo 24 W corsare).

AA ARENA, MIAMI. CHARLOTTE HORNETS 73 – MIAMI HEAT 106
I tifosi di South Beach erano stati dotati di banner formato A3 in cui al nome della squadra era stata aggiunta una R per formare la parola HEART. Di cuore si compone ogni impresa sportiva, ma gli Heat hanno vinto soprattutto di talento e difesa, componenti che troviamo nella partitona giocata da Goran Dragic (25-6-4), uno che a volte lascia sonnecchiare il proprio talento, e non è conosciuto come difensore. Eppure l’annulamento di Kemba Walker (9-2-6, 3/16 al tiro) parte proprio da lui, oltre che dalla leggera stanchezza dell’eroe di Charlotte e dalla leggera ansia da prestazione che ha colto tutti gli Hornets, conducendoli ad una performance davvero sotto le loro possibilità. Dragic ha iniziato segnando e sfornando assists mentre Kemba iniziava ferreggiando e perdendo palloni. BigAl (4+2 in 19 minuti, e tanta soggezione vs HW) in quintetto prendeva il suo secondo rimbalzo dopo aver trascorso in campo 16 minuti: la seconda componente del KO Hornets sta proprio nel ribadito dominio (58 a 36) degli Heat sotto le plance. E poi, ogni volta che qualcuno dei Calabroni riusciva a ronzare sottocanestro o nel pitturato di Miami, la sagoma di Hassan Whiteside gli consigliava qualche disastrosa deviazione o gli mollava una stoppata. In un VIP Lounge dell’Arena, Michael Jordan assisteva allo sfaldarsi delle speranze dei suoi Hornets consolandosi con la presenza di Scottie Pippen, Horace Grant e un bel barilotto di popcorn. La spallata definitiva iniziava allo scadere del secondo quarto, con un parziale che portava Miami al riposo sopra di 12, e proseguiva nel terzo quarto, momento in cui, con un 20-2 sempre alimentato da Dragic, Miami si ritrovava sopra di 32, con la qualificazione messa sotto chiave. 11 soli punti per Charlotte nel terzo periodo, quando anche Courtney Lee (11-3-2) si spegneva con due zingarate che non prendevano nemmeno il ferro, lui che, con 5/5 nel primo tempo, compresa una tripla, era stato il salvagente che aveva permesso ai ragazzi di Clifford di rimanere più o meno a contatto. Solo che tirando col 32% nessuno può vincere una Gara7, nemmeno perdendo solo 7 palloni, come abitudine di Charlotte, squadra che spesso compensa la mira scarsa con la disciplina. Dopo aver visto la riprovevole difesa sul pick and roll di OKC la notte scorsa, stanotte ci siamo ampiamente consolati con quella degli Heat: merito anche di un saggio accorgimento di coach Spoelstra che, nei riposi di Whiteside, non chiedeva al suo cambio, McRoberts, cose che il buon Josh non può offrire, come l’intimidazione; Spoelstra chiedeva infatti a McRoberts degli show più prolungati sull’uomo con la palla, di fatto accettando qualche penetrazione, ma impedendo a Kemba di prendere il ritmo da fuori o da 3. Nel giorno in cui diventava virale il video di Barack Obama che prendeva commiato dalla Stampa USA imitando le ultime parole di Kobe (“Obama out”), il giocatore preferito del Presidente ai tempi dei Bulls, Luol Deng, giocava un’altra signora partita, contribuendo come solo lui sa fare su entrambi i lati del campo: 15-8-4 per l’uomo dal Sud Sudan, alla fine. Degli Hornets salviamo tutti e nessuno, perchè la prestazione di stanotte è stata deludente, ma la stagione no: il lavoro di Clifford li ha portati a violare tabù che erano da tempo diventati vere e proprie scimmie sulla spalla, per il superamento del turno diamo appuntamento al prossimo anno. Appuntamento molto più vicino per gli Heat, che viaggeranno verso Nord.
Serie 4-3, Heat alle Conference Semis.

AIR CANADA CENTER, TORONTO. INDIANA PACERS 84 – TORONTO RAPTORS 89
La Canadian way of life mal si adatta ai PO NBA, ma quest’anno la squadra dei dinosauri è troppo forte e troppo organizzata per deludere ancora al primo turno. Tutti noi abbiamo un amico che si chiama Roberto (lo scalatore Cesare Maestri diceva che a lui pareva tutti gli americani che incontrava si chiamassero Bob), io ne ho due, ma uno in particolare tifa Pacers. Sarà stata una brutta doccia scozzese la gara di stanotte, per lui. Giochiamo con un po’ di numeri. DeMar DeRozan (30-5-2, ma con 32 tiri…) aveva 15pti di media nella serie, con % dal campo rivedibili: 15 era il suo bottino at the half stanotte. Ne metteva altri 13 nel terzo quarto, e terminava la gara con 30: il conto è semplice, solo 2, e dalla carità, nel periodo finale, quello della Grande Paura per i Raptors. Dopo aver toccato il +16 quando mancavano ancora 8 minuti alla fine, i dinosauri erano a 83, i Pacers a 67. Da quel momento tra ferri, perse, sciocchezze varie, Toronto subiva un 15-2 che poneva Indiana sotto di 3. E, in realtà, in possesso della gara. Interveniva però una sciocchezza di Paul George (26-12-1, con 3 rec ma anche 7 perse) a compromettere le speranze Pacers: The Revenant, blandamente raddoppiato a 3 metri dal canestro nell’angolo destro dell’attacco, invece che tirare, saltava e passava a Mahinmi sotto canestro; il lungo (anche un po’ spinto da DeRozan) non controllava la palla e la gara tornava a ridere ai Canadesi. Istinti, paure, centimetri, spintarelle: la rimonta di Indiana arrivava corta per questione di pochissimo, e faceva terminare una stagione comunque positiva per la fanchigia alla cui scrivania siede Larry Bird. Il Grande Uccello aveva detto che la sua non era squadra da Playoffs profondi, e così è stato; aveva anche detto che i pezzi da aggiungere sono un realizzatore/tiratore per sostenere George, uno stretch four, e un lungo intimidatore: la buona notizia è che l’ultimo pezzo forse è stato già trovato nel rookie Myles Turner, che ha tutte le caratteristiche del rim protector, anche se non del rimbalzista da medie in doppia cifra. Toronto tira un numero di sospiri di sollievo pari almeno agli abitanti della città (con l’area metropolitana si arriva a quasi 6 milioni), e aspetta le due gare contro gli Heat a partire da Martedì. Supera l’ostacolo stabilendo un record: gli 11pti segnati nel quarto periodo sono il minimo nella storia NBA per una squadra che passa il turno in Gara7, tanto per dire da che miracolosa cruna son riusciti a passare stanotte; è anche la prima volta che superano un turno di PO sulle 7 partite, perchè il solo precedente (2001, Vince Carter Era) successo fu guadagnato quando il primo round era ancora al meglio delle 5. I Raptors devono ritrovare del tutto Lowry (stanotte 11-4-9, ha tirato in maniera vergognosa come in tutta la serie, ma ha infilato il lay-up che ha fermato il 15-2 avversario) e uscire da logiche di gioco ormai molto prevedibili. Il momento migliore, nel terzo quarto, è stato dettato infatti non solo dal rush di DeRozan, ma anche dalle responsabilità realizzative che si è preso Pat Patterson: 9 dei suoi 11 totali realizzati nella frazione, e la nostra impressione è che il pur legittimo innamoramento di coach Casey per il rookie Powell stia troppo penalizzando l’uomo uscito nel 2010 da Kentucky. E se, infine, Valanciunas facesse pace coi tiri da mezzo centimetro, sarebbero di certo punti guadagnati.
Serie 4-3, Toronto accede alle Conference Semifinals.

ORACLE ARENA, OAKLAND. PORTLAND TRAILBLAZERS 105 – GS WARRIORS 118
Prima di tutto: il -12 finale è il minimo distacco tra la due squadre a parte le battute iniziali. Gara dominata da GS, senza Steph, ma con una squadra che funziona come una fiaba Disney. Parliamo dell’uomo chiamato a sostituire Steph: Shaun Livingston (12-4-6). Stanotte ha tirato un po’ peggio, però entrava in questa partita avendo, da starter, 14pti di media col 60%. Parliamo delle doppie-doppie: Barnes 10+12 con 2rec; Bogut 10+12 con 2rec e 3 stoppate, tra cui una sontuosa su un tentativo di hammer-jam di Plumlee: per il ragazzo da Duke 1-12-6, tanto per dire quanto sia meritata la fama di miglior centro difensivo della NBA per l’Australiano. Passiamo alle triple-doppie: 23-13-11 con 1 rec e 3 stoppate per Dray-G. Veniamo alle questioni di famiglia, per notare che lo Splash Brother rimasto ha segnato 37 (con 5-5 e 2 rec), e chi aveva paura che GS non avrebbe avuto la stessa efficacia dall’arco senza Curry, beh: Klay senza Steph segna di media 7 triple a gara. Tutti gli Warriors hanno fatto un passo avanti dopo l’infortunio a Steph, e stanno rendendo indolore l’attesa del suo ritorno. I Blazers hanno subìto quando contava, e si sono riavvicinati solo nel momento in cui Kerr ha stabilito di ammainare un po’ le vele nel quarto periodo. La frustrazione ha giocato un brutto scherzo a Gerald Henderson: il figlio di Gerald Henderson è venuto a contatto (ampiamente fortuito) con Varejao, e non ha creduto nemmeno per un millesimo di secondo alla non volontarietà da parte del Brasiliano. Sprovvisti di modulo azzurro per la constatazione amichevole, i due prima si son presi un tecnico, poi, con Varejao in panchina e Henderson in campo, han continuato a beccarsi, finendo espulsi entrambi. Non intelligentissimo nemmeno il giocatore degli Warriors. Lillard ha segnato tanto ma con tanti tiri (30 con 26) e nessun Blazer è stato autore di una gara da ricordare, se non forse Crabbe, che almeno ha sparato dritto (15-6-3 con 6/9). La seconda, per come è andata la prima, non farà accelerare i tempi di recupero di Steph; per quel che riguarda i Blazers, si ha l’impressione che, a meno di colpacci improbabili, puntino tutto sulle due gare casalinghe per mettere pressione a GS.
Serie 1-0, GS mantiene il vantaggio del campo.