Quarto atto delle finali occidentali, Oklahoma sempre più in missione, sempre più vicina al compimento.

CHESAPEAKE ENERGY ARENA, OKLAHOMA CITY. GOLDEN STATE WARRIORS 94 – OKLAHOMA CITY THUNDER 118. 3-1 THUNDER

La rabbia, l’esplosività, la forza di Russell Westbrook, per la seconda volta in questa serie si riflettono tra tutti i componenti della squadra. La gara di stanotte, ed in generale le ultime dei Thunder, sono esattamente quello che non ti aspetti ai playoff, ma che vorresti vedere ogni volta che si alza la palla a due. Al di là delle cronache e delle analisi tecniche, con cui procederemo in seguito, a livelli così alti, risultati del genere arrivano per mezzo di una motivazione e di un atteggiamento particolare. Non diamo i campioni ancora per morti, perché se esiste una squadra in grado di fare ciò che non ha mai fatto nessuno è proprio questa, ma probabilità ed inerzia tendono tutte decisamente verso l’Oklahoma. La differenza è fondamentalmente mentale, da una parte gente come Andre Roberson tira con più del 50 % dal campo, dall’altra Curry 6/20. I numeri possono essere incredibilmente relativi, ma guardando linguaggio del corpo ed atteggiamenti, al momento tra le due squadre c’è l’abisso. A Steph manca qualcosa, fisico o psicologico che sia (probabilmente sia uno che l’altro), a Green anche, davanti ad un muro così imponente l’inversione di tendenza deve essere netta e decisa soltanto per poter pensare di riavvicinarsi, e senza comunque garanzie sui risultati. Oltre a ritrovarsi, agli Warriors il compito, forse anche più ingrato, di cercare di intaccare l’immensa fiducia a cui sempre più si abbraccia e si stringe OKC. Golden State non riesce a girare la palla con la solità facilità, il loro gioco è fatto di letture ed automatismi, che nel momento in cui la fiducia va via, sono i primi a seguirla. Non ci sono solo demeriti dei campioni in tutto questo, i Thunder stanno ottenendo il massimo da una superiorità fisica, che in pochi avevano calcolato come un fattore vincente, o così vincente. Analizzando i quintetti, non necessariamente quello gigante con Adams e Kanter, OKC schiera in campo Durant, Roberson, Ibaka, lo stesso Westbrook, tutti atleti sopra la media. L’intensità, e perché no anche le botte, fatte assaggiare a Curry e compagni nel momento in cui tagliano e bloccano (conoscendo Golden State dunque abbastanza spesso) sono di una quantità e qualità incredibile. In gara 3 e 4 gli Warriors hanno sbagliato un numero impossibile di lay-up, alcuni per supponenza, la maggior parte per colpa di aiuti di grandissima efficacia della difesa. Parlando della grandissima cavalcata degli Warriors in stagione regolare, avevamo già ricordato come i Phoenix Suns di D’antoni e Nash, la squadra più simile alla Golden State targata Kerr-Curry, non fossero mai riusciti a vincere per essersi schiantati contro chi era più grosso e più cattivo. Le analogie con quei Suns sono tante quante le differenze, ma dal punto di vista fisico, appare più che verosimile che ciò si stia ripetendo oggi.

Stavolta ad OKC non bastano 3 quarti per chiuderla, hanno bisogno anche di quasi metà dell’ultimo, giusto i minuti che mancavano a Westbrook per chiudere la tripla doppia (36-11-11). Le cifre di RW ricordano Michael Jordan ed Oscar Roberson, la forza e l’impatto ricordano soltanto Russell Westbrook. La differenza con la semi-perfezione di Gara 3 sta nel terzo periodo, durante il quale OKC fa i conti con la sua metà oscura (ancora abbastanza pronunciata), fondamentalmente perdendo palloni ed attaccando male, la difesa è stata sempre pressoché ineccepibile. I primi due quarti vedono ancora 70+ punti segnati (72 per precisione) da OKC, un Durant diabolico, meno spumeggiante di quello visto nella gara precedente, ma capace di guadagnarsi un sacco di fischi. Sono proprio i tanti falli subiti dai Thunder a far perdere il ritmo ai campioni, che avevano quanto mai bisogno di ritrovarlo, se poi in lunetta mandi Westbrook o Durant il danno è incalcolabile. Tra terzo (primo periodo con parziale pro-Warriors nelle ultime due uscite) e quarto periodo Russ decide di scavare ancora qualcosa nel marcio della partita, per poi consegnarla alle mani gentili di Durant per chiuderla definitivamente. Questo passaggio di consegne con conseguente cambio di ritmo è una delle cose che aveva sempre funzionato nei migliori momenti dei Thunder. 26 per Thompson e 19 per Curry con 37 tiri totali, il fratellino dello splash, sempre posato ed impenetrabile, si lascia andare a manifestazioni di sconforto; 6 con 11 rimbalzi di un irriconoscibile Draymond Green. 26-11 per KD, ancora splendido su entrambi i lati del campo, 17 di Ibaka, perno imprescindibile di questi rinnovati Thunder insieme a Steven Adams, che stanotte non completa la solita doppia doppia, ma regala sempre il dominio aereo ai padroni di casa. sfoggiando anche un passaggio dalle traiettorie missilistiche, ad una mano, per due punti facili di Roberson.