Gara7 della Finale di Western Conference tra Warriors e Thunder è stata la partita più vista (dunque più remunerativa) della storia della TV via cavo.
Ecco quindi l’idea di 10 fermoimmagine da cui estrapolare un commento: nessuna pretesa di assoluto, poichè è stata una delle serie di PO più dense di tematiche. Solo quelle che Keith Emerson avrebbe definito Pictures at an Exhibition, e Modest Mussorgskji, il vero padre, Kartinki s Vystavki.
GLI OCCHI DI RUSSELL. Lo sguardo da folle di RW è l’esatto specchio della intensità che mette nel suo gioco, tanto da renderlo uno dei pochi esempi biologici sul pianeta capace di ambire al raggiungimento dello status di Moto Perpetuo. E’ anche esempio, però, di quel che Valerio Massimo, storico latino, affermava a proposito della impossibilità di unire il pensiero all’atletismo. Le 5 perse negli ultimi 143 secondi di Gara6, la sconsiderata gestione dello svantaggio di Gara7, quando faceva attaccare i suoi Thunder con frenesia parossistica, tanto che OKC, sotto di 6 con 15 minuti da giocare, si comportava già come avrebbe fatto sotto di 6 con 1 minuto da giocare: ecco, anche tutto questo sta in quello sguardo intenso e nella fin troppo facile critica, già da due anni espressa, al gioco di RW. Pensa Russell, accidenti…PENSA!!
UN “CINQUE BASSO” TRA KLAY E STEPHENSON. Ultima azione del terzo periodo, palla OKC. KD palleggia con lentezza, per far passare il tempo. Klay Thompson e Shaun Livingston si cambiano la guardia dello MVP 2014, e nel farlo, con calma, si scambiano un cinque basso. La tranquillità quasi bucolica dell’azione tra i due mi ha fatto capire che mai e poi mai GS avrebbe potuto perdere il controllo appena acquistato di Gara7.
KD SI SOTTRAE AL TOCCO. Mancano circa 8 minuti alla sirena lunga, KD va in panchina per rifiatare, in coincidenza di un passaggio di elevato nervosismo per un fallo fischiatogli contro. Un assistente gli parla per farlo calmare, e lo tocca sulla spalla sinistra: lui si sottrae in maniera secca al contatto, guarda davanti a sè, ed è lo sguardo dello sconfitto. Sottrarsi al tocco, in quel momento, equivale a sottrarsi a tutta una situazione sfavorevole, e può giustificare i sogni di quei tifosi che sperano che Durant non rinnovi con OKC.
2:52. E’ il primo quarto, e l’orologio indica il momento dell’ultima tripla imbucata da OKC per un tempo interminabile, che si concluderà dopo due quarti e mezzo, quando mancano 8:30 alla fine, per merito di Ibaka. Nel mezzo, solo padelle, a volte forzate in maniera incomprensibile. Non solo la difesa degli Warriors, ma tanta incapacità di leggere le situazioni in attacco da parte dei Thunder, autolesionisti nell’insistere ad attaccare a testa bassa, senza ragionare nemmeno per fare un pick and roll. Quando ricominceranno, sarà troppo tardi.
KERR GOES BRAZIL. Con un colpo di genio dei suoi, Steve Kerr ha dominato gli ultimi 120 secondi del terzo quarto grazie alla sua colonia brasiliana, in particolare grazie ad Anderson Varejao. Nel periodo detto, 4 punti di Varejao+Barbosa, un paio di rimbalzi, e due assists del lungo. Le due pietanze al tavolo sono state davvero rimarchevoli, ma il canestro di AV ancora di più: Varejao dalla punta della lunetta parte in palleggio, semina Adams e deposita. La grandezza di Kerr sta nell’aver individuato che la mobilità del centro ex Cavs (che in pratica non ha mai giocato nella Conference Final) poteva dare fastidio al pur dinamicissimo Neozelandese, che da tempo immemore non era più abituato a dover fronteggiare una partenza fronte a canestro da parte di un suo avversario diretto. Sorpresa, sconcerto, ulteriore affanno, e la sensazione che la panchina di GS fosse infinitamente profonda e inesorabilmente redditizia.
KLAY THE DAGGER. Mancava ancora parecchio alla fine quando Klay Thompson ha infilato la quinta e penultima tripla della sua serata, da distanza siderale: il vero pugnale nel petto di OKC e tripla da record. Infatti era la ventinovesima per lui, record di triple in una serie: a 28 si erano fermati Ray Allen e Dennis Scott. Mancava talmente tanto alla fine che Klay ha avuto modo di perfezionare il record, portandolo a 30, e di vederlo poi battuto da Steph, che lo fisserà a 32 stabilendo, a sua volta, il record per numero di canestri da 3 in una Gara7: 7. E’ la prima volta che due compagni battono nella stessa sera lo stesso primato, ed è la prima volta che compiono l’impresa superandosi a vicenda, e ovviamente la prima volta che, per farlo, uno dei due infrange un altro record simile e relativo alla specialità. Questo triplo record, il record di Thompson per triple in singola gara di PO in Gara6 e infine anche la eccezionalità del fatto che gli Warriors son stati solo la decima squadra nella storia dei PO NBA a recuperare da un 1-3 nella serie, esprimono al di là di ogni dubbio o critica che tipo di sforzo han dovuto compiere gli Warriors per battere i Thunder, cui deve essere tributato ogni onore.
GLI OCCHI DI BILLY. Nel momento in cui GS mette la testa avanti di 1, le telecamere vanno a cercare Billy Donovan. Lui ha lo sguardo che ogni giocatore NON vorrebbe trovare nel proprio coach. Sguardo che cerca dentro di sè le soluzioni e non le trova. Donovan ha raggiunto un livello altissimo quest’anno con i suoi Thunder, un livello che nessuno, assistendo ad una stagione regolare senza acuti particolari, avrebbe immaginato possibile nei PO. Escluso il primo turno agevole, la stagione dell’ex allenatore dei Gators si può riassumere in una cavalcata fantastica racchiusa da due parentesi perdenti: Gara1 ad Alamo, con la sonora ripassata beccata dagli Spurs poi eliminati, e Gara7 alla Oracle, dove si sono infranti i sogni di Finale. Tanti meriti e qualche demerito per questo coach esordiente nella NBA, uno dei pochi allenatori NCAA ad aver vinto la MarchMadness in back-to-back: dovevamo forse pensare prima a questo. Infatti due titoli NCAA consecutivi (nei tempi della NCAA moderna) significano vincere di seguito 12 gare di Torneo Finale, 12 partite do-or-die: impresa per la quale bisogna essere portati anche nell’animo, ed infatti il meglio di sè coach Donovan lo ha sfoderato nei PO.
STEPH IN LUNETTA. 1:18 al termine di Gara7, Steph Curry va in lunetta. Contrariamente a quanto potreste pensare, cari lettori, si tratta di immagine affatto banale, anzi: rara e preziosa, perchè era il primo viaggio in lunetta per lui. E in tutta Gara7 sono state 8 le gite alla carità per GS, contro 17 di OKC. Alla fine della serie il conto dei liberi dice 141 a 80 per i Thunder. Il che, al di là dello stile di gioco più perimetrale degli Warriors, è un dato che lascia stupiti. Mettiamola così: anche a noi, nelle nostre carriere di cestisti alla periferia estrema del mondo del basket, è capitato di essere totalmente ingiocabili e dominanti ogni tanto, e ci siamo accorti che essere troppo superiori al contesto non conviene, perchè poi nessuno ti crede e non ti fischiano mai fallo. Diciamo che questo è quello che è capitato a Golden State.
DRAY-G COMPOSTO. Per gli standard cui ci aveva abituato Draymond Green è stato davvero molto tranquillo nelle gare seguite all’affaire del suo calcio nella parti basse di Stevne Adams. Sostanzialmente graziato dalla NBA che non lo ha sospeso, Green ha tuttavia vissuto, e dovrà continuare a farlo, con la Spada di Damocle dei soli due punti rimastigli sulla patente dei falli tecnici/flagrant, terminati i quali scatterebbe la sospensione automatica di una gara. Vogliamo credere che non sia solo per paura del ritiro della patente che il giocatore si sia calmato, ma che abbia davvero imparato la lezione: più volte in stagione, infatti, pur elogiandolo per il rendimento e per il cuore che mette in campo, avevamo osservato che urlare a OGNI contatto e protestare a OGNI decisione era comportamento che presto o tardi sarebbe stato foriero di problemi. Facili profeti. Ora calma e sangue freddo, Draymond, hai ancora la Finale da giocare…tutta intera.
GIALLO, ORO, UN PO’ DI BLU. Ultima immagine, l’Oceano Dorato della Oracle Arena. Uno spettacolo di tifo corretto per quanto non certo benevolo. Corretto per quanto non certo amico dei grigi. Corretto per quanto caldissimo. Una volta di più, ricordando anche altre Arene come quella di Toronto, una lezione severa impartita dai tifosi di basket degli USA a tutti gli altri.