Ecco le franchigie senza speranza per la stagione NBA che inzia.
MINNESOTA T’WOLVES. Agghiaccianti. Alla fine giocheranno insieme D’Angelo Russell e Rubio, che insieme a Karl-Anthony Towns sono il terzetto di veri giocatori NBA in mano al coach più enigmatico della NBA: il giovane Saunders, il figlio del compianto Flip… vi ho dato il tempo per ricordarne il nome. Ryan, che non si capisce se sia un genio incompreso o un comico bluff: Rubio dice la prima. Aggiungete un pezzetto di Okogie e Beasley, e avrete più o meno un quintetto: il nazionale di Nigeria si è già detto pronto per un ruolo à la PJ Tucker, ovvero una guardia che gioca centro. Sperabile lo farà sul serio, altrimenti avremo un 4 titolare rispondente al nome di Jake Layman. E’ una formazione poverissima di talento, nonostante la Prima Scelta Assoluta Anthony Edwards, e anche abbastanza corta nelle rotazioni: la metto come fanalino di coda e mi permetto di dubitare, nonostante il faraonico contratto vergato (132 x 4), che KAT resti a Minneapolis ancora a lungo. Mi dispiace che sia finito qui uno dei miei NBA players preferiti: la calamita per rimbalzi Ed Davis.
HOUSTON ROCKETS. Ibernati. Nonostante voci di colloqui serene tra la Star ribelle Harden e coach Silas, considero HOU tra le peggiori 6 con o senza la Barba. Positivo che il nuovo management dei Rockets abbia cominciato a restituire al roster una conformazione decente, lontana dalle idiozie dantoniane, mettendo sotto contratto due lunghi veri, anche se densi di incognite. Il sempre in rampa di lancio (ma mai in decollo) Christian Wood e il grande, sfortunato e incasinato, DeMarcus Cousins, la personificazione del concetto di incognita. Hanno incamerato Wall al posto di Westbrook: l’ex Kentucky ha le sinapsi di una vera pg, rispetto a Russ. In ogni caso i Rockets sono al momento un accumulo di giocatori che “avrebbero potuto” essere grandissimi e altri “ancora abbastanza giovani” di medio valore, guidati da un coach nuovo alla prima esperienza da Head: ricetta per una stagione di tanking purissimo e ricostruzione.
NEW YORK KNICKS. Incomprensibili. Domanda a bruciapelo: cosa serve assolutamente nel basket odierno? Le triple. Cosa manca assolutamente ai Knicks? Esatto: le triple. I sei principali esterni di NY hanno media complessiva inferiore al 31% da 3 in carriera. Oltre loro, si salvano solo Reggie Bullock (oltre il 38%, ma media minuti in carriera inferiore ai 20) e il rookie Immanuel Quickley, che al college ci prendeva ma nei pro chissà. Continuando a fare di tutto per non vincere, i Knicks hanno assunto un coach come Thibodeau, che sembra poco adatto al nucleo giovane della squadra e alla stampa della città. Rischiano di disperdere l’ennesimo piccolo nucleo di talento, che in effetti esiste e per ora resiste, anche se solo RJ Barrett è di un altro pianeta tra gli esterni. Gli altri sono tutti lunghi o ali: Mitchell Robinson, Obi Toppin, Julius Randle, Kevin Knox. Playoffs quasi impossibili se non esplode Ntilikina in pg.
CLEVELAND CAVS. Dormienti. Apparentemente ai Cavs fanno schifo i giocatori di collegamento: solo guardie o lunghi, o quasi, nel roster. Collin Sexton, Osman, il rookie Okoro, Darius Garland, Dante Exum, la cariatide Dellavedova: sono tutti lo stesso giocatore, in pratica, con lievi differenze fisiche e nella capacità di gestire il pallone o di realizzare. Altro lato: Love, Drummond, Thon Maker, Javalone McGee, Bolden, Nance jr. per un numero già di 12 giocatori, in cui gli elementi di collegamento, appunto, si riducono ad essere Kevin Porter jr. e Dylan Windler. Un roster strano, con elementi forse demotivati come Bimbone Drummond ed altri ampiamente avviati a fine carriera, come Love. Poco nerbo, per questi Cavs: possibile un tanking serrato fin dal principio.
CHICAGO BULLS. Da motivare. Il roster dei Bulls non manca di un certo talento e nemmeno di una discreta razionalità strutturale. Quel che fa difetto è una meta, la concentrazione totale e per 82 gare verso l’obiettivo dei Playoffs. In questo senso l’arrivo di coach Billy Donovan potrebbe segnare una svolta, ma difficilmente avverrà quest’anno. CHI ha un bel quintetto: Satoransky, LaVine, Porter, Markkanen, Carter jr. e anche qualche cambio di valida esperienza: le ali Young e Temple, oltre a un secondo anno in attesa di esplodere: Coby White, una sorta di riedizione di Vinnie Johnson The Microwave, ma in point guard. Un ruolo importante potrebbe assumere Daniel Gafford, mezzo lungo filiforme che, numeri alla mano, è uno dei migliori stoppatori per minuto giocato della NBA. Purtroppo le buone news finiscono qui, perché cambi dei lunghi sono Felicio e Kornet, delle guardie Valentine e Arcidiacono.
DETROIT PISTONS. Vecchi e malati. La situazione dei Pistons è quella di un team i cui due migliori giocatori hanno perso quasi 150 partite complessivamente negli ultimi 3 anni: Derrick Rose è il numero uno della lista “carriera rovinata dagli infortuni”, Blake Griffin è di certo nei primi dieci. Hanno registrato qualche arrivo positivo come Jerami Grant e Plumlee da Denver, o Delon Wright: purtroppo non bastano per fare arrivare questa squadra ai Playoffs. Anche perché, dopo esser stato mandato via da Toronto, coach Casey ha confermato di essere un buon coach, ma incapace di veri picchi.