Infortuni e defezioni condizionano fin dalla pre-season le possibilità delle squadre NBA: eccone un esempio.
EASTERN CONFERENCE #9: MIAMI HEAT. Tre dichiarazioni di Pat Riley riassumono l’estate di Miami, e il suo futuro. La prima è quella in cui si dice responsabile per l’addio di Wade. Il franchise player degli Heat fin dal 2003 non è mai stato, per giochi del destino, il meglio pagato, di volta in volta superato da Shaq, LeBron, Bosh. Quest’anno gli avevano proposto un contratto con soli due anni garantiti, quindi è emigrato, tornando alla natìa Chicago. Riley ha ammesso di aver affrontato la pratica-Wade troppo sicuro della sua volontà di rimanere a South Beach. Così, immediatamente dopo aver firmato Hassan Whiteside per 4 anni e 98 milioni totali, a Miami si son trovati vedovi. La seconda dichiarazione riguarda il futuro: Riley individua in Whiteside-Richardson-Johnson-Winslow uno “young talented core” su cui incardinare le prossime stagioni. A Miami hanno svecchiato: via Wade, Deng e Joe Johnson. Purtroppo Josh Richardson (una delle scoperte del nostro sito, primo in Italia ad averlo “battezzato” dopo una sontuosa prova in regular season vs Boston: primi anche su HW, abbiamo un fluido favorevole verso la Florida) ha subìto un infortunio ai legamenti del ginocchio destro, e starà parecchio lontano dal campo. La sorpresa viene da Tyler Johnson, a lungo corteggiato dai Nets: gli Heat han deciso di pareggiare una corposa offerta di BKN per questa combo-guard bianca dai mezzi fisici impressionanti, ma ancora lungi dall’essersi affermata; lo stipendio chiama 50×4, curiosamente divisi (per ragioni di cap room ed exceptions varie) in due anni a 6 milioni e due anni a 19. Il reparto guardie è completato dai due europei Dragic (eredita quasi in toto le chiavi del gioco) e Udrih, e dall’ennesima reincarnazione di Wayne Ellington, talento forse un po’ sopravvalutato ma non banale. Uno spazio tutto suo merita una delle leggende dei nostri commenti: Dion “Grandine sulle Vigne” Waiters. Le insolitamente discrete prove di Dion negli ultimi PO con i Thunder non hanno portato la riconferma, ma garantito un posto in Florida: non è regione vinicola, ma siamo ansiosi di poter di nuovo assistere alle sue 24 giocate sbagliate per averne una giusta. Il reparto lunghi è coperto dalla mole di HW, cui fan da back-ups Haslem o McRoberts o Willie Reed. E poi c’era Chris Bosh. La terza dichiarazione di Riley escude che in futuro giochi per gli Heat. Dagli esami effettuati da parte dello staff medico di Miami sono state confermate le incognite sulla guarigione dai problemi di densità del sangue che lo han tenuto fuori dai giochi nella seconda parte delle ultime due stagioni, dopo gli ASG’s. Ora la vicenda ha avuto un suo epilogo: resta da vedere come e se verrà transato il contratto del giocatore o se verrà scambiato con altra franchigia; è praticamente certo che Bosh presenterà un contro-parere di propri medici opposto a quello dello staff degli Heat. Il reparto forwards prevede la promozione di Justise Winslow (stagione da rookie iperpositiva, ottimo QI cestistico dimostrato), il tentativo Babbitt, tiratore bianco a metà strada, anche fisica, tra Korver e Ryan Anderson, il buon innesto da Toronto di James Johnson e un altro che prova a reincarnarsi: Derrick Williams, uno dei giocatori con la più ampia forbice tra mezzi e rendimento, soprattutto per colpa di una concentrazione spesso indegna. Il coach rimane Spoelstra, e continueremo a “godere” del suo non esaltante ma efficace control-game appiccicoso: da segnalare, però, che uno degli assistenti più importanti, David Fizdale, è passato all’età adulta andando a prendere il posto di head coach a Memphis. PAYROLL: 101 milioni, presto calanti ad 88 il prossimo anno. Monte ingaggi di media portata così come medie, a cavallo dei PO, sono le potenzialità di questi Heat.
WESTERN CONFERENCE #9: HOUSTON ROCKETS. Onestamente siamo andati all’analisi anche con il cuore: è la nuova squadra di coach Mike D’Antoni. Il roster di Houston ha parecchi punti deboli, principalmente nel pitturato, ma presenta anche una notevole sintonia con il gioco preferito del coach, e nessun dubbio gerarchico su chi sia titolare e chi no, o su chi, oltre all’ex play di Milano, comandi in squadra. James Harden. Atteso a un nuovo e deciso decollo dopo un’annata che ne ha in parte smussato la fama, per colpa della disillusione che presto nella stagione ha ammantato le ambizioni della franchigia, persa prima dietro le bizze dei giocatori contro coach McHale, poi dietro le strane idee tattiche del nuovo coach Bickerstaff, e infine dietro al “o io o lui” che ha coinvolto LaBarba vs LaBarbie (aka Dwight Howard). La maggiore addizione, dunque, per i Rockets è la guida del pino sommata alla sottrazione di DH, che ha portato chiarezza nel locker. Non dimentichiamo l’arrivo di Ryan Anderson, lo stretch-four più trendy dell’estate. Eric Gordon, da Nola, di fatto rimpiazza Jason Terry nelle rotazioni, e potrà dare anche qualche minuto da pg. In generale i Rockets hanno qualche problema in regia, dove sono carenti o di fosforo (il titolare Beverley) o di fisico (il millenario Prigioni) o di attitudine al ruolo (Gordon), o di talento (Ennis, arrivato da Milwaukee in cambio di Mike Beasley), ma le dichiarazioni del recentissimo Media-Day hanno chiarito che molti minuti da pg saranno pietanza per LaBarba, quindi ogni discorso diventa secondario. Le grandi domande convergono verso il reparto lunghi. L’ingombro di DH verrà fornito dall’ultima incarnazione NBA di Nenè Hilario, mentre si attendono progressi da Capela e Harrell, e qualche vagito dal nigeriano Onuaku, un tipo à la Ezeli, ma con nessuna esperienza. Nel gioco di D’Antoni lunghi atletici, verticali, veloci sono benvenuti, e pazienza se sono un po’ piccoli o carenti di stazza. Per far tornare i conti, oltre ad Harden ed Anderson, saranno fondamentali Ariza e Brewer, mentre siamo curiosi di vedere all’opera, finalmente, Sam Dekker, scelto lo scorso anno al primo giro ma poi plurinfortunato. PAYROLL: 92 milioni, 22’ globale della Associazione, ma non buone notizie, dal momento che, con l’assetto attuale, nel 2019 i Rockets avranno 54 milioni impegnati su due soli giocatori, a fronte di uno spazio salariale che, anche a cap innalzato, non dovrebbe superare i 120 milioni. Harden ed Anderson dunque costeranno quasi la metà del monte stipendi disponibile, rendendo difficile allestire un superbo contorno ai due. Il budget dovrà quindi essere distribuito con precisione certosina, se si vorrà elevare al titolo di contender la squadra: rango che chi ha in roster James Harden deve inseguire per forza, onde evitare di perderlo. Questa impasse è probabilmente dietro ai lunghissimi e per ora infruttuosi discorsi circa il nuovo contratto di Donatas Motiejunas: i problemi (seri) alla schiena certo incidono sulle trattative, ma, considerando che D’Antoni ha dato pollice su al Lituano e che il giocatore sarebbe il cambio ma anche il completamento di Anderson, un’offerta inferiore ai 3,5 milioni, come quella fatta dai Rockets, è davvero molto bassa, per non dire inaccettabile.