Il numero 4 e il numero 3 di ogni Conference saranno le posizioni più interessate al cambio di regolamento che la NBA ha adottato riguardo la composizione del seeding dei PO. I Campioni Divisionali, infatti, non saranno più titolari d’ufficio dei primi tre posti : farà fede, invece, la posizione generale. Se un Campione Divisionale avrà il settimo record, tale rimarrà nel tabellone dei PO, e non avrà più diritto al terzo posto; la vittoria divisionale, inoltre, non sarà il primo fattore di tie-breaking tra due squadre, ma verrà dopo la valutazione degli scontri diretti. Come evidente, si tratta di una riforma con effetti “intra-Conference”, che risolve il meno grave dei problemi, ossia lo squilibrio interno, ma non affronta il problema vero: lo squilibrio, in realtà in via di diminuzione, tra Est e Ovest. L’effetto immediato è che le Divisions diventano in sostanza una mera ripartizione su base geografica: questa riforma dei regolamenti potrebbe dunque preludere a una riforma anche del sistema del calendario, per diminuire o raggruppare il numero dei voli cui le squadre sono soggette, al fine di gestire meglio le spese di franchigia e diminuire, secondo gli studi medici commissionati dalla NBA, anche il numero di infortuni e di loro ricadute. Ed ora, mentre il 27 Ottobre è sempre più vicino, ecco la quart’ultima puntata del nostro Power Ranking.

WESTERN CONFERENCE #4: LOS ANGELES CLIPPERS. La profondità del talento dei Clippers è ENORME. Il loro 11’ potrebbe essere Austin Rivers e il 12’ Cole Aldich, o CJ Wilcox. Stabilito ciò, dobbiamo ricordare che sono pur sempre i Clippers. Clippertown, capitale del Regno dei Paperini. La città dove il centro titolare, e alla peggio terzo miglior centro della NBA, decide di andar via affermando che il motivo N.1 dell’addio è che non regge più la stizzosetta e superbina stella della squadra, reputatissima pg un po’ sopravvalutata in particolar modo tenendo classifica del rendimento nei momenti chiave. Però il suddetto centro ad un tratto fa…marcia indietro, following the money accetta l’offerta dei Clippers e torna a mettere il borsone in quel locker sulla cui serenità, già così, non sarebbe lecito scommettere. In città, inoltre, arriva anche un uomo vero, giocatore eccezionale anche se allo spirar di carriera, con Anello al dito e esperienza di convivenza tra star, noto anche col nick di CaptainAmerica; con tweet pieni di emoticon inizia a prendere in giro il balletto dei due neo compagni di squadra, smorzando le tensioni, ma anche sottolineando implicitamente che, pur appena arrivato, non ha intenzione di lasciare le chiavi della palestra in mano ad altri. Lontano dall’essere un “pet player” Paul Pierce ha tuttavia un forte legame col coach Doc Rivers, avendo i due vinto un Anello a Boston nell’epoca degli Orginal Big Three.In palestra, poi, arrivano anche un certo Lance ed un tal Josh, Stephenson e Smith di cognome, noti per essere tra i rompiscatole più efferati della NBA (Detroit paga anche quest’anno Smith per tenerlo FUORI da Motown), nonché per essere posizionati in fondo alle più recenti classifiche del QI cestistico. Non manca nemmeno il figlio del coach nello spogliatoio… Clippertown fornisce anche quello, senza dimenticare che il coach stesso non ha certo poche responsabilità nella clamorosa uscita di scena dei Clippers agli ultimi PO, in cui eran diventati temuti e rispettati dopo aver fatto fuori i Campioni, gli Spurs. Temuti e rispettati PRIMA di farsi eliminare dai Rockets partendo da un vantaggio di 3-1; nel Regno dei Paperini sono altresì coscienti che il loro coach è l’unico allenatore ad essere riuscito 2 volte nella controimpresa appena descritta (l’altra volta allenava Orlando, 2003), sulle 9 totali in cui dal 1968 al 2015 è accaduta una roba simile. Per fortuna a Clippetown giocano anche giocatori di ego controllato, dedizione commovente e rendimento altissimo, per cui, grazie a Blake Griffin, Jamal Crawford e compagnia, il testosterone e l’egotismo altrui vengono tamponati e diluiti. Non così tanto da far andare il Clippers oltre il 4’ posto ad Ovest nelle nostre previsioni. Payroll altissimo: col rinnovo di DAJ siamo quasi a 95 milioni, il che vuol dire “vincere o esplodere”.

EASTERN CONFERENCE #4: MILWAUKEE BUCKS. La prima notizia è che, alla fine, Giannis Antetokounmpo ha smesso di crescere: entrato nella NBA come 6.9 ora è 6.11, di fatto una delle sf più incredibili per combinazione di fisico, tecnica ed atletismo. In realtà può giocare sia da 2 che da 4, e sta mettendo insieme un bel tiro da 3. Lui è solo una delle ragioni che a nostro parere rendono i Bucks una delle squadre più interessanti da considerare, sia nel presente che in prospettiva futura. Talento giovane? Oltre al Greco trovate Jabari Parker, che avrebbe vinto a mani basse il titolo di miglior rookie nel 2015, se non si fosse fatto male; Michael Carter-Williams, pg, ma di quelle in grado di entrare in tripla doppia ogni partita; Khris Middleton, che al suo secondo contratto nella NBA ha già saputo meritarsi un quasi max; Tyler Ennis, che gioca pg ma ha mezzi atletici che lo possono spostare fino in sf nonostante sia solo 6.3 e infine il rookie Rashad Vaughn, buon talento da UNLV, marchio di fabbrica che di solito coincide con “NBA ready”. Facendo i conti sono 128 anni in sei, media di poco oltre i 21: futuro. Talento nel fiore degli anni? La prima risposta è Greg Monroe, arrivato dalla free agency a riempire il buco sottocanestro, atavico problema dei Bucks derivante principalmente dalla impossibilità di gestire Larry Sanders, devoto più al THC che al basket, e dalla difficoltà di John Henson ad esplodere definitivamente secondo potenzialità. La seconda risposta è Greyvis Vasquez, arrivato da Toronto: ha sufficiente talento per stimolare MCW o rubargli il quintetto quando il ragazzo dovesse steccare. Talento di contorno? Bayless, Miles Plumlee, O’Bryant the Third lo forniscono, e non dimentichiamo che potrebbe essere l’anno del definitivo ritorno ai livelli che gli competerebbero per OJ Mayo, giocatore disperso nel sottobosco di infinite trade, e recuperato da coach Jason Kidd. Proprio l’allenatore è forse la garanzia principale di successo per Milwaukee: mai troppo amato dai media nella sua verione in giacca e cravatta, JK in realtà ha fatto vedere di saperci fare tantissimo nella doppia versione GM-coach. Al roster sono iscritti anche Chris Copeland e Dwight Powell, che faranno il 14′ e il 15′ del roster, ma entrambi, Copeland soprattutto, hanno visto già abbondantemente campo nella Associazione, rendendo i Bucks non solo talentuosi, non solo giovani, ma anche profondi. Payroll medio: milioni 74,5 in cui tutte le figure principali sono a posto per tre o quattro anni.