Magic OUT, dunque, ma non finisce così.
L’uscita di scena di Magic Johnson non risolve i problemi dei Lakers, che erano solo in parte legati al modo dell’ex loro giocatore di interpretare il nuovo lavoro. Ecco le cose che di certo conosco di Magic, di LeBron James, e del futuro dei Lakers.
- Spesso la prima cosa che Rob Pelinka, GM dei Lakers e quindi in linea di comando sottoposto di Magic, faceva entrando al lavoro era urlare: Magic? Dove sei? C’è Magic? Per sottolineare che, ancora una volta-un’altra volta-per la enne volta, Magic non era in ufficio
- Il lavoro di Magic era quello che nella NBA si definisce Chief of Basketball Operations (CBO). Il titolo di Magic era differente: PBO, President of BO. Per non chiamarlo President and Chief avevano raggruppato i titoli creandone uno nuovo. Non ha funzionato.
- Danny Ainge, CBO dei Celtics, va in ufficio tutti i giorni o quasi, guarda centinaia di video di giocatori ed altre situazioni all’anno, osserva di persona decine di giocatori, viaggia per palestre e palestrine, partite e partitacce, acquisisce giocatori più che lasciarli andare. Un President, nelle squadre pro USA, ha invece compiti di rappresentanza, stringe alleanze, trova denaro, viaggia, presenzia, fa sentire la propria voce con la Lega: era questo il lavoro di Magic, sarebbe stato favorito anche dal suo mito e dalla sua personalità. Invece non ha funzionato nel ruolo molto più tecnico e “day-by-day” che gli era stato ritagliato.
- Il risultato è stato privare i Lakers di: Julius Randle, D’Angelo Russell, Jordan Clarkson, Ivica Zubac e di rivelare a tutta la squadra eccetto LeBron James che erano ritenuti inutili e sacrificabili sull’altare dell’arrivo di Anthony Davis. Parlo di Lonzo Ball, Brandon Ingram, Kyle Kuzma, 8 prime scelte future, Rajon Rondo, Javale McGee, Kenatavious Caldwell-Pope, Lance Stephenson. Alcuni talenti indiscutibili, alcuni veterani con Anello alle dita, 8 anni di futuro gialloviola.
- L’unica cosa che Magic ha fatto, usando il suo lato “Hollywood”, è stata portare a L.A. LeBron, che a sua volta è giunto per amplificare il proprio lato “Hollywood”, non solo per il basket. Da qui i dubbi sulla reale dedizione di James al destino dei Lakers, i paragoni impietosi con Kobe, la chimica mai creatasi con l’ambiente losangelino più interessato al basket che al contorno, la chimica mai trovata con i compagni. Non coi giovani, non coi veterani: tutti, youngsters e vets, con personalità spiccate, per nulla disposti ad agire (come tanti hanno invece fatto in passato) da servitori di LBJ, e in attesa che James aiutasse loro in difesa prima di andare a raddoppiare o chiudere per lui. Contro James anche la durata del contratto: 4 anni, ma in realtà 3 perché l’ultimo è in player option; significa che potrebbe liberarsi dopo la stagione 20/21, ovvero quando potrebbe arrivare (e arriverà anche se non lo meritasse) nella NBA suo figlio, creando l’opzione father&son ovunque fosse possibile averla, un altro momento di attenzione parossistica e romanzo “eredità e sentimenti”, cose che LBJ adora avere su di sé. LeBron first, non Lakers first: era questo quanto percepito da quasi tutti.
- Space Jam 2. La prova di questo “livello ulteriore” e quasi preponderante rispetto al basket anche nell’importanza assunta per James dal sequel del film che aveva protagonista Jordan e poi Ewing-Barkley-Bogues-Larry Johnson-Shawn Bradley. Per ora solo Blake Griffin e Boban Marjianovic sono sembrati entusiasti all’idea di poter comparire nel film, molto meno contenti della telefonata di proposta sembrano esser stati Steph e lo Pterodattilo Greco. Kobe avrebbe riso di gusto, e poi probabilmente accettato di comparire nel film per consegnare uno scettro a James.
- Troppa Hollywood, poco basket. E’ Los Angeles, certo, ma sotto Pat Riley, nell’epoca dello ShowTime retto dal Magic giocatore, erano gli attori ad andare al Forum, non i giocatori a voler esser parte degli Studios. Il ribaltamento non può che nuocere al risultato cestistico.
- Ora che Magic se ne è andato sono due gli scenari possibili. Il primo vede James prendere la guida di tutto ai Lakers: arriva un “suo” coach (per esempio Lue), arriva un “suo” GM al posto di Pelinka (per es. Griffin), arrivano giocatori del suo agente Rich Paul per fare massa e difendere, arrivano una o due Stelle (Kyrie e Davis, o Butler, o Middleton) per fare in modo che sia quasi impossibile non raggiungere le Finals. Secondo scenario: i Lakers si privano di James e puntano sulla ennesima ricostruzione, privilegiando i propri giovani leoni. Richiederebbe molto coraggio, perché alcuni li han già persi (vedi punto 4) e altri hanno sfide più serie del basket (la malattia di Ingram). Però riporterebbe il basket al centro del mondo gialloviola.
- Lasciando da parte il valore cestistico, che presumiamo essere quasi intatto, il valore hollywoodiano di James è molto calato e lo stesso vale per il suo valore di compagno di squadra. No PO, crollo del mito della inviolabilità fisica del giocatore, crollo del mito delle mille stagioni consecutive ai PO e delle 9 Finals di seguito, crollo del mito della sua capacità di piegare tutti al proprio volere: sono stati sufficienti un pugno di millennials che han preferito vedere l’impegno di LeBron prima di mettere il proprio corpo/talento/ego al suo servizio.