Otto gare stanotte, nella NBA.
Le buone notizie arrivano per i fans dei Celtics, e di Mike D’Antoni. Le cattive per quelli di Gallinari, e dei Cavs. Abbiamo privilegiato da raccontarvi, nel dettaglio e nelle prospettive che aprono, le gare di Celtics e Rockets. Le altre andranno in rapid fire.
TD GARDEN, BOSTON. MIAMI HEAT 108 – BOSTON CELTICS 112
Jae crowder, #99 dei Celtics, è una delle magie di Danny Ainge, che lo ha sfilato ai Mavs in cambio dei resti di Rajon Rondo, e ha dotato Boston di un numero 3-4 che si piazza tranquillamente a ridosso dei grandissimi, subito dopo James, George, Green, Durant, Leonard. Crowder entrava in questa gara avendo sulle spalle un periodo di scarsa precisione al ttro, ma mantenendo numeri impressionanti circa la sua importanza per la squadra. Quando è in campo lui i Celtics erano +292, con lui fuori -98, e la statistica ha allargato ancora più il differenziale dopo il plus/minus positivo di 16 stanotte. Jae ha stabilito il suo season high a 25 con soli 13 tiri, aggiungendo 6 r, 1 a, 2 rec e 2 stoppate. Altra grande gara, la migliore dell’anno, è stata quella di Amir Johnson, finora non alla sua più brillante stagione. Lui, uno degli ultimi a passare tra i pro direttamente dalla high school, non ha sbagliato nemmeno un tiro (14 con 5/5 da 2, 1/1 da 3, 1/1 ai liberi) e ha fatto il possibile per limitare il supercentro degli avversari, Hassan Whiteside (15+15) mettendoci anche rimbalzi e assists (7+5). I Miami Heat, che sono all’ottavo posto della Eastern Conference in questo momento, potrebbero stabilire, se come probabile centreranno i PO, un record di assoluta bellezza: i primi nella storia a centrare la post-season a partire da un momento nella stagione in cui erano sotto di 19 gare rispetto al 50% di bilancio W/L. Gli Heat, attorno a Gennaio, erano arrivati a sprofondare 11-30, ma da allora sono 24-8; il record avrà ancora più importanza perché ottenuto in una stagione partita sotto presagi davvero infausti. La perdita di Wade (per un errore manageriale ammesso dallo stesso Pat Riley); la perdita di Bosh (continua formazione di coaguli nel sangue che ne hanno impedito l’impiego) con polemiche (lecite, ma non giuste) da parte del giocatore contro la franchigia; infortuni a ripetizione tra cui quello per tutta la stagione di Justise Winslow. In un simile panorama sarebbe stato semplice, come fanno molti, lasciarsi andare a fondo e provare ad arrivare ultimi, per avere speranze maggiori di prima scelta al Draft 2018. Invece gli Heat, guidati magistralmente da coach Spoelstra, che sta dipingendo il suo capolavoro con questa stagione molto più che coi due anelli vinti grazie ai Big3, si sono messi in palestra, hanno trovato nel control game “modello Eurolega” il loro gioco perfetto, e hanno dato, come ha detto un commentatore USA, una sonora lezione a tutti coloro che ormai pensano la NBA solo con la mente dei ragionieri e dei passacarte, mirando a limare sul monte ingaggi, distruggendo squadre buone per provare (senza riuscirci, vedi Phila) a farle diventare ottime attraverso quinquenni di sconfitte. Quindi, per amore del Gioco, dovremmo tutti pensare a un LET’S GO HEAT per quel che stanno insegnando. Tornando alla gara di stanotte: si è risolta solo nei secs finali, quando Boston è riuscita a gestire, tra reciproci viaggi in lunetta e palle perse, un piccolo capitale di 4-6 pti che i biancoverdi avevano costruito rimontando dopo essersi trovati -15 a metà secondo quarto. Importantissimo, al limite della tripla-doppia che gli conferiamo ad honorem, Al Horford (7-10-8), e come sempre fondamentale anche il lavoratore più oscuro che si conosca: Marcus Smart (7-3-9) con tanta difesa e il reboff più importante. Per Miami, invece, oltre al citato Whiteside, l’ha quasi vinta la panchina, che ha fornito 54 pti, soprattutto con i Johnson’s: il giovane Tyler (24-4-2 con 3 rec) e il veterano James (20-5-6 con 1 rec e 2 stoppate), mentre il back-up di Whiteside, Willie Reed, ha dato 7+6 con 3/3 al tiro. Da segnalare che una squadra che gioca lenta come Miami ha tirato ben 91 volte, 14 più dei Celtics che al contrario di solito vanno vicino ai 100 tiri per gara: inutile dire che la differenza l’han fatta le percentuali, quasi 54 globale per Boston, poco sopra al 45% Miami. Aggiungete un meccanismo di squadra che solletica quello di Golden State: 32 assists su 41 canestri sono roba consueta al TD Garden. Con questa W i Celtics si portano pari a Cleveland nella Eastern Conference, e il calendario dei Cavs è parecchio più duro di quello di Boston, poichè prevede 10 gare con 6 trasferte tra cui San Antonio, e 3 back-to-back games. Se ci leggete con costanza, questa cosa delle 29 sconfitte pronosticate per Boston e 30 per i Cavs dovreste ricordarla….
TOYOTA ARENA, HOUSTON. OKC THUNDER 125 – HOUSTON ROCKETS 137
Parlando di meccanismi di squadra, veniamo a quello di Mike D’Antoni ai Rockets: metà dei tiri presi nei primi otto secs dell’azione, metà dei tiri totali sono triple. Se ci prendono, i Rockets sono i prossimi a mettere alle dita l’Anello. Se ci prendono, come per esempio stanotte. 55% da 3 e, soprattutto, 75% da 2. Quando si dice che le triple aprono il campo, ecco: l’esempio della gara di stanotte è perfetto in ogni scuola di basket del pianeta. Certo, davanti ai Rockets c’era l’equivoco cestistico più amato dai fans. Diamo volentieri lo MVP dell’anno a Russell Westbrook, perché si sbatte come un dannato, si vede quanto adori giocare, e fa gare eccezionali, che stanno producendo, messe una dopo l’altra, una stagione eccezionale. Ma non grideremmo al miracolo, ecco tutto. Molti lo fanno, soprattutto tra i commentatori italiani, ma la stagione di OKC non ha nulla di clamoroso o eccezionale. E il punto debole è lo stesso che è anche punto forte dei Thunder: la personalità di Russell Westbrook. Il fatto che OKC sia costretta a giocare a Russ-Ball invece che a Basket-Ball. Non è così debole, OKC, non è così scarso il contorno di RW. Solo che giocare a basket è una roba diversa da quella che fanno loro. Sono certo migliorabili, ma se foste una Stella, andreste ad Oklahoma City per giocare con uno che a malapena la passava a Durant? Temiamo che il livello “subito sotto le star” sia quello massimo dei gocatori che potranno arrivare il Oklahoma, quindi sarà meglio che nel MidWest si torni a giocare a basket, a sfruttare adeguatamente il talento di giocatori come Oladipo, Kanter, Adams, Sabonis, e dei nuovi arrivi Gibson e McDermott. Houston, che ha un signor GM come Morey, ha per esempio due giocatori che sarebbero oro per OKC e il suo un po’ sopravvalutato GM Sam Presti: parliamo di Eric Gordon e Lou Williams. Rimanendo sui GM: è vero che le regole salariali della NBA e la volontà dei giocatori non gli hanno lasciato molto spazio di manovra, ma sul tabellino di Presti nello scorso triennio dobbiamo comunque registrare i seguenti “meno”: Harden-Durant-Ibaka, mentre su quello del suo collega del Texas (grande amico ed allievo di Danny Ainge) registriamo questi “meno”: Asik-Howard-Parsons, ovvero un omone gregarione del tutto neutro, la Barbie Svogliatella, il Re delle Assenze per infortunio. Chiaro il concetto, credo. Stanotte i Rockets (privi di Ryan Anderson) hanno dominato nonostante nel quarto periodo abbiano dovuto subire una mini-rimonta dei Thunder: purtroppo per Houston, Harden ha dovuto lasciare il campo per un brutta botta al polso sinistro rimediata cadendoci sopra proprio nell’azione in cui aveva messo dentro i punti 136 e 137 chiudendo la gara, a una quarantina di secs dal termine. Pare che le condizioni di JH non siano serissime, ma il giocatore non è stato dichiarato ancora “cleared” per la prossima di Houston, giovedì: e sarebbe una gara imposrtante, vs Golden State. Harden 22-5-12, i già nominati Gordon e Williams 24 e 31 rispettivamente, con Sweet Lou a 7/8 da 3, mentre un filo peggio ha fatto l’altro compagno Ariza (24-6-6 con 6/8 da 3, e 3 rec a impreziosire la gara per il Marine di Houston). Ovvia 3Doppia per Westbrook con 39-11-13, ma non gli facciamo torto se ricordiamo i 12 con 6/7 ma solo 17’ in campo di Gibson, oppure il 9/12 per 23 pti di Kanter o il fatto che Oladipo abbia sì fatto 15 con 15 tiri, che non è un dato bellissimo, ma è stato compresso in 29 mins: tutte cose che hanno più a che fare con Russ che con Basket.
RapidFire: nella gara per i posti nei PO della Eastern continua la caduta dei Falchi, sconfitti persino dai Brooklyn Nets (23+7 di Gemello Brook), mentre perdono i Bucks vs Chicago che riprende un po’ di speranza di accesso alla post-season (ma Milwaukee, ora sesta, è 15-8 dal ritorno di Khris Middelton quindi la daremmo per sicura partecipante ai PO), mentre i Pacers battono i Sixers con 17+16 di Myles Turner. Ora dal quinto posto Hawks, Bucks, Pacers nell’ordine hanno tutte lo stesso record e 36 sconfitte, Miami 38, Bulls 39. Diamo fuori i pur vittoriosi Hornets (contro Phoenix, 8+2 del Beli). Ad Ovest pessime notizie per Gallinari rientrato (11+5 con solo 6 tiri presi in 24 mins): i Nuggets hanno perso contro New Orleans (Monociglio 31+15) e contemporaneamente i Blazers battevano a LA i Lakers (Lillard 22-7-5): ora Denver e Danilo sono fuori dai PO, con lo stesso record di Portland al momento privilegiata dai confronti diretti: mercoledì prossimo la prova della verità, con il confronto a Portland tra le due squadre. Golden State (Iguodala vintage a 20-7-4) ha regolato la difesa dei Grizzlies nel quarto periodo consentendo a Memphis solo 13 pti, e per finire ClipperTown ne ha fatta una delle sue perdendo di 1 in casa vs Sacramento (Collison 19 con 8/11) facendosi rimontare 11 pti di vantaggio nel quarto periodo.