Quarto derby stagionale e quarta sconfitta per una Virtus Roma che si ripresenta, dopo quella che doveva essere un fruttifera pausa del calendario per l’All Star game di Livorno, esattamente come la avevamo lasciata nell’inquietante secondo tempo contro Casale e nella gita premio di Voghera. Il primo tempo contro Ferentino, in cui la truppa di Caja ha messo a segno ventidue punti, si ventidue e non pensate ad errori di battitura o di lettura delle statistiche, è probabilmente una delle robe più agghiaccianti viste al Palazzetto dello Sport olimpico negli ultimi anni. Una sorta di breve film dell’orrore iniziato , dopo un avvio di schermaglie (8-8 al 5’30), in un secondo quarto in cui la squadra di coach Ansaloni ha preso il largo grazie all’eccellente impatto dalla panchina dell’ex Treviglio, Carnovali (15 punti con 5/8 da tre), e praticamente conclusosi nei primi quattro minuti della terza frazione. Quando Ferentino ha raggiunto le diciassette lunghezze di vantaggio, partendo dal +13 dell’intervallo lungo (22-35), senza fare nulla di trascendentale ma calando di fatto il sipario su una gara durata troppo poco rispetto alle velleità e speranze iniziali romane. Non deve trarre in inganno la valanga di triple di Voskuil (16 pt.) e Callahan (17 pt.), probabilmente gli unici due insieme a Meini a salvarsi nella Caporetto capitolina, capace di riportare Roma sul -7 in un paio di occasioni poco prima dell’ultimo riposo. Il tiro dalla lunga(12-25), è stata infatti l’unica arma offensiva di una squadra che al momento ha poche alternative per fare canestro. E dal momento che il gioco cambia, ma chi controlla l’area controlla anche la partita, improponibile pensare che la Virtus possa fare qualche cosa di più con il solo Tenente a lottare nel pitturato. Soprattutto quando in campo si presentano una Piovra Olasewere in versione moscardino, un Flamini la cui condizione è meno decifrabile di un Bartezzaghi o Ghilardi, ed un Benetti costantemente sottomesso anche solo e soltanto dalla presenza e pedigree del “figliol prodigo” Angelo Gigli (doppia/doppia da 12+10 in ciabatte).
Ferentino, pur priva del Bullo di Cecina rimasto in tuta per gli acciacchi dell’età, ha capitalizzato al massimo l’esperienza e classe di un Tim Bowers costretto a fare gli straordinari in regia, ma pimpante e tronfio come lo scorso anno, quando ad Amaliadas si guadagnò l’erezione di un monumento degno del miglior Saddam Hussein nella piazza principale della cittadina dell’Elide. Raymond poi, che ha giocato a Xavier e nel 2012 ha anche vinto uno scudetto in Georgia, si è gonfiato il petto facendo un figurone da 20 punti e 4/6 da 3, permettendosi numeri che quest’anno difese più attente e navigate gli avevano concesso con il piffero. Tutto ciò al cospetto di un Artiglio schifato giustamente in sala stampa dalla prova, ma soprattutto dall’atteggiamento iniziale dei suoi uomini. Tradito da qualcuno che probabilmente non avrebbe meritato una vacanza, dopo il tragico pomeriggio della Befana contro Tortona.