
🏀 3° QUARTO: IL GIOCO INDIVIDUALE
FAST BREAK – URGENZA
E allora eccoci, parliamo di questa urgenza. Quanto è importante l’urgenza espressiva nella tua creatività? C’è una necessità espressiva che senti ‘a canestro aperto’, senza possibilità di rinviare?
Se non ci fosse l’urgenza non farei quello che faccio, o meglio, vorrei essere così onesto da non fare quello che devo fare se non avessi urgenza di farlo. Per adesso c’è ancora, ho ancora urgenza di fare tante cose, sento la necessità di guardare, di scrivere, di raccontare, di sorprendermi. Questo, ecco, è l’unico consiglio che sento di poter dare ai ragazzi più giovani. Se tu vuoi vivere di musica puoi farlo in qualche modo, se vuoi essere famoso è una cosa diversa, un corollario. Ed è un corollario, non una certezza, mentre curiosità e urgenza devono essere i due motori fondamentali, senza quelli non hai veramente speranze. Poi vuoi vivere di musica? Puoi fare il fonico, puoi fare le produzioni. Ci sono mille modi e credo che ci sia comunque un disegno del cosmo per chi vuol fare musica da qualche parte. Non credo invece che ci sia un disegno per chi vuole diventare popolare. Adesso invece c’è tanto questa confusione. Se scambiamo la popolarità col successo, è un peccato, perché il successo è fare quello che AMI nella vita e farlo sempre, e aver voglia di farlo ed essere nella condizione di poterlo fare. Quello è il successo. La popolarità ogni tanto ce l’hai, ogni tanto no, e va bene così. Se io a cinquant’anni mi sveglio ancora facendo quello che amo, ho uno studio in cui faccio musica e guardo i miei strumenti, vuol dire che sono una persona di grande successo, perché realizzo ancora il mio sogno dopo tanti anni.
RUOLI
Tu sei un artista eclettico, ti esprimi in tanti modi diversi, dalla musica alla scrittura alla fotografia, hai perfino fondato una casa editrice. A parte il musicista, che immagino sia il principale, qual è il ruolo in cui ti senti più a tuo agio? E c’è qualche altra forma espressiva che non hai ancora esplorato, ma ti piacerebbe?
In realtà io ho avuto la fortuna di fare tutto quello che pensavo mi servisse per raccontare e che pensavo di essere in grado di fare, mi sono sempre espresso con forme di comunicazione di cui fossi consapevole e convinto di fare bene. Per me poi le cose possono piacere o non piacere, ma non mi sono mai posto limiti. È come avere una tavolozza di colori per cui tu hai solamente i colori primari. A un certo punto, lavorandoci, cominci ad avere pronte tutte le sfumature che ti servono. Quindi una volta può essere una composizione strumentale, una volta può essere un racconto breve, una volta un romanzo, un’altra ancora è un programma radiofonico. Quando hai un’esigenza di racconto, scegli lo strumento migliore per mettere in pratica quello che hai in testa e io ho avuto il privilegio di poterlo fare. Non so cos’altro vorrei fare, non ho tanta manualità, forse mi piacerebbe imparare a scolpire, quello lo trovo molto affascinante, ma non l’ho mai fatto, penso che i risultati forse potrebbero essere anche divertenti. Tornando alla musica, anche suonare strumenti che non sai suonare, a cui non sei abituato, è cambiare ruolo. Io non sono un chitarrista, ma ho un buon modo di suonare. Mi piace quando suono la chitarra perché non faccio le cose come le fanno i chitarristi, ho un’altra visione dello strumento: il mio, il pianoforte, è orizzontale, la chitarra è messa proprio diversamente. Adesso ho comprato un violoncello, non sono un violoncellista, ma mi affascina l’idea di mettere le mani su un violoncello.
SFONDAMENTO O STEPBACK
Di fronte a una situazione complessa, sei più uno da sfondamento, cioè testa bassa e ti butti o più uno da step back, ovvero fai un passo indietro per vedere la situazione con maggiore chiarezza?
Uhm… no, non c’è una strategia unica, immagino esattamente come nello sport, non c’è una strategia unica per vincere una partita. La partita è fatta di tante partite al suo interno. Ci sono dei momenti in cui devi fare necessariamente un passo indietro e aspettare e altri momenti in cui c’è bisogno di forzare. E quando scrivi è la stessa identica cosa.
Io amo gli ultimi secondi. Ho bisogno delle deadline perché se no è come scendere in campo per giocare una partita fino allo sfinimento. Invece sai che a un certo punto quella roba lì finisce e tu entro il fischio finale devi aver portato a casa il risultato. A me quello piace.
Quindi sei uno che fino a che non è sotto pressione non le fa le cose?
Eh, io mi perdo, perché sono curioso, sono una farfalla, quindi facciamo questa cosa, poi quella, poi adesso non mi va e faccio quell’altra ancora. Invece quando hai una scadenza, devi consegnare una cosa, basta, vai dritto.
C’è stato un momento della tua carriera in cui hai fatto uno stepback, una pausa consapevole, per vedere con un po’ di distacco dove volevi andare?
Forse di quello ti rendi conto dopo, nel senso che quando la tua carriera diventa lunga la guardi a ritroso e, esattamente come quando scrivi, ti rendi conto di quello che hai fatto.
No, non c’è un momento che ricordi particolarmente, ma ho ben chiaro che la nostra storia, la mia storia è fatta di momenti in cui ho spinto e momenti in cui ho aspettato.
To be continued…