
🏀 4° QUARTO: ULTIMO POSSESSO
BANDIERA
Il nome Boosta ti rappresenta ancora? È una bandiera che scegli di sventolare o che a volte vorresti ammainare?
No, ogni tanto la vorrei ammainare, anzi cerco di ammainarla il più possibile. Poi in realtà è funzionale. È una parte di me, se ci rifletto, mi ha accompagnato per tanti anni ed è anche una sorta di costume da supereroe, nel senso che nel momento in cui salgo sul palco faccio quello e sono quello. O meglio, più che farlo lo sono ancora perché ho ancora quella parte lì. Però è limitante come tutte le cose molto identificative. Come Superman con la sua tuta. Non perché io sia Superman, ma il concetto è che sono fiero di quello che ha raggiunto. Mi diverto ancora a essere Boosta, ma le proporzioni delle mie anime all’interno sono sempre un po’ variabili. Questa ricetta crea poi l’uomo e la consapevolezza di quello che sei è inevitabilmente variabile con gli altri.
Quindi oggi sei più Davide?
Oggi sono più Davide, sì.
BUZZER BEATER
Mancano pochi secondi alla fine della partita, hai in mano la palla per il tiro decisivo. Sei più quello che se lo prende o che la passa?
La tiro. La tiro, perché alla fine vale parecchio. Mi piace l’idea degli ultimi secondi, mi piace anche sapere che dopo quello che hai fatto le cose finiscono. Quando per esempio sono molto in ansia perché devo fare uno spettacolo, o devo consegnare qualcosa, io ho sempre questa grande consapevolezza che tanto poi il giorno dopo comunque l’ho fatto, alla fine anche in questo il palco ti aiuta, perché il palco comunque è una partita continua e sei abituato a gestirla quella roba lì. La responsabilità del tiro? Te la prendi nel momento in cui sali sul palco, che sia con gli altri, o anche da solo. Comunque vada, non è che puoi andare in crisi e la partita si interrompe, devi comunque finirla sempre, quindi tanto vale tirare.
C’è un momento della tua carriera che consideri il tuo buzzer beater, quel canestro decisivo che ha cambiato tutto?
È stata una scelta nel giorno uno, al minuto uno della prima partita. Nel momento in cui stavamo per fondare i Subsonica mi avevano offerto di imbarcarmi in nave, andare a fare il pianista sulla nave a vent’anni, 22 per l’esattezza, e mi offrivano tipo sei mesi, crociera ai Caraibi, vitto, alloggio e uno stipendio alto per un ventenne che non aveva mai guadagnato niente. È stato proprio nel momento in cui stavamo facendo il primo demo lì ho parlato con gli altri e alla fine ho scelto di restare. È stato un bel buzzer beater.
AMBIZIONE
Che cos’è per te l’ambizione oggi? Ti senti una persona ambiziosa, e se sì, in che modo cerchi di esserlo?
La mia ambizione è quella di continuare a fare quello che faccio, facendolo in maniera sempre più importante, e per importante intendo necessario. Io credo che la musica sia uno strumento, uno strumento necessario. Vorrei farla più bella possibile, o meglio più profonda possibile e che rimanga nelle persone che l’ascoltano e possa essere loro utile ad attraversare anche solo un momento. Anche il concerto, io lo sento come una grande responsabilità, perché comunque le persone ti dedicano un’ora e mezza del loro tempo, che a volte è fatto di attesa, è fatto di viaggi e di spostamenti… In quell’ora e mezza, che tu sia al pianoforte o con i Subsonica o un DJ set, non è importante. Le persone scelgono di condividere il loro tempo col tuo e io di questo sento molto la responsabilità. Credo che sia fondamentale l’ambizione di essere sempre più… importante. No, importante non è l’aggettivo giusto, però decisivo sì, decisivo per me, perché finché riesco a farlo così, finché riesco ad approcciarmi in questi termini, ho voglia di cercare. Non mi sento assolutamente arrivato, vorrei fare ancora più cose, vorrei fare musica ancora più bella, vorrei imparare di più, vorrei scrivere ancora meglio, voglio continuare a crescere e vorrei che quello che faccio facesse parte anche per un attimo della vita delle persone. Vorrei che il mio lavoro fosse utile alle persone. Io non salvo vite, ma forse, come dire, con qualcosa di quello che ho fatto ho aiutato il tempo di qualcuno. Questa è la mia ambizione.
⏱️ SUPPLEMENTARI: FUORI DAL CAMPO
Se la tua carriera fosse una partita, che punteggio ci sarebbe oggi sul tabellone?
Io vorrei vederlo ancora aperto, quindi 86 a 84, io a 84, ma con la palla del tiro da tre per vincerla nelle mani.
Cosa ti commuove?
Aspetta, perché sto pensando che ieri mi son commosso, cosa ho fatto ieri? Allora, sì, sono andato a prendere mia figlia, era in centro ed era ora di aperitivo. Mi commuove guardare le persone in relazione, mi piace molto. In realtà mi piacciono i rapporti, forse mi piacciono più i rapporti degli altri, sono un voyeur di rapporti. Ieri, per esempio, era una bellissima giornata, c’erano questi tre amici che camminavano e chiacchieravano e ridevano e quel momento di fine giornata mi piaceva tantissimo. Ero in piazza e mentre aspettavo, me lo son proprio goduto, vedere la gente nei tavolini dei bar, le chiacchiere, la condivisione… E poi mi commuovono gli studenti, mi commuovono perché hanno tutto davanti, e da una parte è un momento molto difficile, è sempre stato così nell’esistenza di tutti, però a livello teorico hai tutto davanti, quindi ancora una vita intera che auguro a tutti possa essere veramente molto piena. Il “tutto da scrivere” mi commuove molto, sempre.
Cosa c’è oggi nel tuo spogliatoio creativo?
Un po’ troppo disordine. È come entrare in uno spogliatoio tra un tempo e l’altro, tra un quarto e l’altro, e c’è già un po’ di caos, quello un po’ mi spiace. Mi piace molto l’ordine, riesco a lavorare meglio con l’ordine, mi piacciono gli inizi più che la fine. Non ho un buon rapporto con la fine, ma ho un ottimo rapporto con gli inizi. Gli inizi hanno strada davanti.
C’è qualcosa che fai sempre prima di salire sul palco, una sorta di scaramanzia o routine creativa?
Faccio sempre un brindisi. In questo periodo, da un po’ almeno, con il sakè.
I supplementari sono i momenti delle scelte rapide, quindi ti farò ora delle domande a risposta secca, delle curiosità.
Preferisci mare o montagna?
Mare
Cani o gatti?
Cani. Ma ho 3 gatti.
Notte o giorno?
Notte
Silenzio o rumore?
Silenzio
Estate o inverno?
Estate, quando non fa caldo.
E che estate è?
(ride). Primavera, dai.
Qual è il tuo piatto preferito?
Pasta. Tutta.
E qual è il tuo posto preferito nel mondo? Un posto in cui ti senti proprio a casa (esclusa Torino però 😊)
Nord Europa. L’Islanda mi piace da matti. La prima volta che sono arrivato in Norvegia e si è aperta la porta dell’aeroporto e pioveva, faceva freddo, ho respirato forte e ho detto “che bello!”, mi sono sentito felice.
Dimmi tre cose che trovi intollerabili nelle persone?
La maleducazione, la meschinità, e la pochezza. Però forse meschinità e pochezza sono abbastanza sinonimi, quindi metterei maleducazione, pochezza… e basta, perché credo che siano il cappello di tutto.
Qual è il tuo suono/rumore preferito?
Il mare. Il mare va benissimo. Lo sciabordìo.
Che cos’è per te la meraviglia?
Non riuscire a descriverlo.
Alla fine di questa chiacchierata, mi sono ritrovata a ripensarla come si rivede una partita, cercando i passaggi chiave, le giocate di classe, gli assist, le pause.
Con Davide Dileo è stato così: un dialogo che non ha mai forzato il ritmo, ma ha saputo giocare tra profondità e leggerezza, come si fa quando si conoscono bene il campo e se stessi.
Non abbiamo parlato di basket. O meglio, non direttamente.
Ma c’era un parquet, c’era una squadra, c’era una palla che passa di mano in mano e, soprattutto, c’era quella strana cosa che somiglia al tempo e alla necessità, a cui lui ha dato una definizione semplice e bellissima: urgenza.
L’urgenza di raccontare, di cercare, di non dare mai nulla per scontato. Di essere presenti nel gesto.
E in fondo, che si tratti di una partita, di un disco o di una vita, forse è proprio questo che conta davvero.
Il tabellone è ancora acceso. Il punteggio è tirato. Rimessa, riparte il tempo, c’è ancora campo davanti.