Doverosa premessa: amo scrivere di ciò che mi piace e mi fa star bene. Inutile dire della passione per il basket, non pubblicherei qui se così non fosse. Accanto a questa, coltivo però interesse e amore per l’arte, la musica, il teatro, vere boccate d’ossigeno per l’anima, la mia almeno. Quando il direttore di Baskettiamo mi ha dato fiducia per iniziare questa collaborazione, ho pensato: perché non provare ad associare in maniera un po’ originale queste due passioni della mia vita? E’ così che è nata l’idea di “4 quarti con…”, una rubrica attraverso cui vorrei raccontare, in 4 quarti appunto, personaggi del mondo della musica, del teatro, dello spettacolo che abbiano in qualche modo un legame con la palla a spicchi.

La scorsa settimana ho avuto la fortuna e l’onore di poter assistere alla commedia “Le voci di dentro” di E. De Filippo, interpretata da Toni e Peppe Servillo accompagnati da un cast di straordinari attori. Non potevo lasciarmi scappare la ghiotta occasione di iniziare la mia rubrica con un’eccellenza della mia terra d’origine e così, in un tiepido pomeriggio di precoce primavera torinese, la mia faccia tosta e la clamorosa gentilezza e disponibilità di Peppe Servillo, storico frontman degli Avion Travel, si sono date appuntamento.

PRIMO QUARTO: UN ARTISTA POLIEDRICO

il casertano Peppe Servillo

il casertano Peppe Servillo

Cantante, autore, attore. Fai di tutto e tutto bene. Qual è stato il primo amore e oggi in quale ruolo ti senti più a tuo agio?

Considero il mestiere dell’attore e del cantante molto apparentati. Chi, come me, fa riferimento per istinto e anche consapevolmente alla tradizione partenopea non può cantare senza una chiave che sia anche da attore e viceversa. In realtà però nello spettacolo “Le voci di dentro” con Toni (Servillo, suo fratello N.d.R.) è la prima volta che interpreto un ruolo da attore di prosa vero e proprio. Fino ad ora avevo recitato in film da cinema ed è molto diverso, con le sue difficoltà e abilità specifiche richieste.

Beh, come prima volta direi che la performance è straordinaria! Voglio dire… da Toni ce lo si aspetta, è bravissimo e fa quello nella vita, ma tu… sono rimasta davvero colpita dalla tua bravura. Non solo io, evidentemente, se per questo ruolo hai vinto il premio UBU 2013 (gli Oscar del teatro) come miglior attore non protagonista.

(Ride, giustamente soddisfatto).

Come si dice sportivamente, ho il fattore sorpresa dalla mia… Toni, oltre alla responsabilità di attore, ha scelto il testo, ha lavorato come regista, ha curato la messa in scena anche da un punto di vista scenografico insieme a Lino Fiorito ed è capocomico, quindi con una certa consapevolezza da impresario teatrale. Con la sua compagnia ha sempre gestito autonomamente il suo lavoro, recita un ruolo complessivo.

Ma dunque, oggi, ti senti più cantante o più attore?

Tutte e due le cose, senz’altro. Anche perché son sicuro che quest’esperienza mi ha segnato e mi segnerà profondamente, quindi resterà in me la curiosità di misurarmi col mestiere dell’attore.

In effetti ho sempre notato e apprezzato la “teatralità” nel tuo modo di stare sul palco quando canti…

Sì, io non sono un vero e proprio cantante, non sono cantante di voce… sono un interprete, per mia fortuna ho scritto con gli Avion Travel i brani che cantavo ed ho sempre pensato di propormi in una veste che ricordasse quella di un attore, perché ho scritto sempre delle piccole vicende che poi venivano messe in scena dalle canzoni.

La spinta a spaziare in diverse forme di espressione viene più dalla curiosità o dal coraggio di sperimentare “la grammatica della passione” senza preoccuparsi del rischio di non essere perfetti?

Mi stai citando “Cuore Grammatico” eh? (Brano degli Avion Travel dall’album Opplà, 1993).

In verità io avevo già lavorato con Toni quando eravamo ragazzi, l’esperienza con gli Avion Travel è nata in un ambiente che suggeriva la condivisione, la dimensione del gruppo, l’impiegare il nostro tempo di vacanza, nel senso letterale della parola, in provincia in un modo che ci tornasse utile, che ci incuriosisse, e questo è successo. Non ho avuto dei passaggi attraverso i quali ho deciso di fare questo o quello. Mi hanno spinto un po’ entrambe le cose, la curiosità, il desiderio di mettermi alla prova, la consapevolezza che ogni cosa che affrontavo avrebbe significato per me un piccolo percorso di conoscenza e tutt’oggi è così, con l’esperienza che sto facendo in teatro. Non ci sono stati dei momenti precisi, è stato un processo di formazione lungo e lento che credo e spero non avrà mai termine.

C’è qualche altra forma d’arte in cui non ti sei ancora cimentato e che vorresti provare?

No, no… – si schermisce – io non sento di dover assolvere a un compito che mi spinga oltre chissà quali limiti e mettendomi alla prova in altre discipline, anche perché ho molto rispetto della diversità dei linguaggi, rispetto anche coloro che li mescolano, però non mi sono mai ritenuto un “tuttologo”. Credo che le cose che faccio si possano sposare e leggere in una chiave unica.

Sul palco da cantante e sul palco da attore: in un caso puoi cambiare scaletta ogni sera, nell’altro tante repliche dello stesso testo. Le emozioni sono le stesse?

Cambiano. Di questo abbiamo discusso e parlato anche con Toni, perché condividiamo alcune esperienze parallele oltre a questo spettacolo specifico. Nella musica c’è sempre e comunque un’atmosfera di estroversione e di festa. Nel teatro, soprattutto in un caso come questo, di una commedia che è anche, nei toni, “nera”, amara, l’aderenza al personaggio comporta invece tutt’altro che un’atmosfera di festa. E poi il teatro è un mestiere che si esercita giorno per giorno, con una disciplina fatta di quotidianità, di capacità di soppesare sera per sera quanto si è fatto, se lo si è fatto bene, come… è un esercitarsi in piccoli scarti, in minimi cambiamenti, dove la relazione con gli altri è molto forte, dove il mettersi in scena in prima persona è ancora più evidente che nella dimensione musicale, nella quale invece (non nel mio caso) lo strumento media il rapporto con il linguaggio. Nel mestiere del cantante il tuo strumento è il tuo corpo, il tuo viso e la tua voce. Sicuramente in questo senso c’è un’aderenza forte tra il mestiere del cantante e quello dell’attore.

peppetony

Peppe insieme al fratello Toni Servillo

Non c’è mai un po’ di noia nel portare in scena centinaia di sere lo stesso testo?

Per me no, perché è una dimensione nuova. Può capitare, ma sta al capocomico, al regista nella misura in cui è presente, evitare il rischio della routine prestando orecchio a quello che fanno gli attori e alla capacità che gli attori hanno di avere ascolto di se stessi man mano che vanno avanti con le repliche. Noi siamo fortunati perché lo spettacolo sta andando molto bene e siamo a oltre 180 repliche.

L’avete portato in giro dappertutto, anche all’estero. Come funziona per la comprensione del testo?

Con i sovratitoli. Nei teatri stabili delle grandi città, all’estero come da noi, c’è l’abitudine ai sovratitoli e il pubblico percepisce il senso di quello che succede in maniera consueta. La prossima settimana saremo a Londra, siamo stati a Parigi, a San Pietroburgo, a Chicago, in Spagna…

Però è un peccato perdersi il piacere di gustare una lingua bella come quella partenopea…

Ma loro l’apprezzano ugualmente, perché poi alla fine il suono, soprattutto in una lingua potente come la nostra, è significante, comunica comunque anche un senso.

to be continued…

(Nel SECONDO QUARTO: gli inizi, la provincia, la famiglia)