Concluso il PRIMO QUARTO CON PEPPE SERVILLO: un artista poliedrico si riparte con la rimessa per il… SECONDO QUARTO: GLI INIZI, LA PROVINCIA, LA FAMIGLIA
Sei cresciuto personalmente e artisticamente a Caserta. Che influenza ha avuto ed ha la tua città nella tua vita artistica e personale?
Io devo puntualizzare che vivo da vent’anni a Roma, però a Caserta sono cresciuto. Eravamo un gruppo di adolescenti, di giovani uomini che condividevano questa curiosità e questo mi ha aiutato molto nel percorso di formazione; il confronto con gli altri, il poter dare vita a una piccola impresa, la nascita degli Avion Travel, la partecipazione alla prima compagnia di Toni a fine anni ’70, inizio anni ‘80… tutto questo è stato anche favorito dalla piccola città di provincia in cui è più facile l’incontro, che viene in qualche modo favorito anche da una dimensione in cui c’è un’offerta minore rispetto alle grandi città. Alle volte questo può anche risultare dispersivo, mentre nella dimensione di una piccola città è stato più facile coltivare nella quotidianità certe passioni e certi interessi. Toni è riuscito anche a realizzare tutto ciò che ha fatto fino ad ora restando in una piccola città, con una compagnia di attori napoletani. La città di riferimento professionalmente e lavorativamente è Napoli, però Caserta è e resta per lui la sua città, così come lo è per me. Vent’anni fa sono poi andato a vivere a Roma e devo molto anche a questa città, in particolare per quanto riguarda alcuni incontri che nella musica per me sono stati molto fortunati e importanti, come quello con Javier Girotto, Lilli Greco, con produttori artistici, con musicisti, di recente con artisti come Nicola Piovani. Tante occasioni, insomma.
Tornando ad oggi, è emozionante recitare “in famiglia”, con tuo fratello? Come si mescolano i vostri rapporti artistici e personali?
E’ indubbiamente emozionante. La scelta però è stata determinata dal desiderio di mettere la nostra complicità di fratelli al servizio del senso di un testo che vede protagonisti due fratelli. Non abbiamo coltivato un pretesto o cercato un’occasione per mettere in scena noi stessi in quanto fratelli, no. Abbiamo cercato un’occasione che drammaturgicamente fosse sensata e dove il dato biologico caricasse di suggestione la narrazione, la rendesse affascinante e curiosa.
Ma nella realtà voi siete come i due fratelli Saporito (i protagonisti de “Le voci di dentro”)?
(Ride)
No, no, assolutamente, altrimenti non riusciremmo a fare 200 repliche all’anno come ci capita… c’è un rapporto di grande affetto che ci lega, così come ci lega anche agli altri fratelli, siamo in quattro. Siamo una famiglia sanamente meridionale.
Tanta arte in una sola famiglia… ma da piccoli con cosa vi hanno nutriti? A parte gli scherzi, in che radici affonda questa vena creativa e artistica?
La nostra è una famiglia di grandi spettatori. Mio padre e i suoi fratelli amavano il teatro, il melodramma, il cinema, quindi da bambini noi siamo cresciuti condividendo questo gusto, questa curiosità, questi interessi e poi da lì è nato il resto.
Vi hanno sostenuto nelle vostre scelte?
Diciamo che ci hanno “lasciato fare”, che può sembrare la risultante di un atteggiamento distratto e in realtà invece è forse l’atteggiamento più sano che induce dei ragazzini a tentare un piccolo sogno. Ci hanno lasciato fare. Non hanno né assecondato in modo morboso, investendo delle velleità personali, né hanno censurato. Questo secondo me è molto sano.
to be continued…
(Nel terzo quarto focus sul rapporto con la palla a spicchi)